3
Nov
2009

“Giuristocrazia”- Brno chiama, Strasburgo risponde

Ran Hirschl, professore all’università di Toronto, ha rilanciato nell’ambito del dibattito accademico il termine “Juristocracy”.

In soldoni per il professore di Toronto sono sempre più spesso i giudici, a dispetto del potere legislativo, a prendere decisioni importanti. Sulle tematiche che scottano i costri di transazione per i politici sono troppo alti. Il decisionismo in termini di consenso non paga. Non aggrega consensi.  Così,  scrive Hirschl:

transfers to the courts of contested political hot potatoes offers a convenient retreat for politicians who have been unwilling or unable to settle contentious public disputes in the political sphere. It may also offer refuge for politicians seeking to avoid difficult no win decisions and or avoid the collaps of deadlocked or fragile governing coalitions.

In poche ore due decisioni fondamentali. La corte costituzionale ceca accende la luce verde per la ratifica del Trattato di Lisbona, la Corte di Strasburgo decide sul crocifisso nelle scuole pubbliche. Quando la politica langue, quando le classi dirigenti non hanno coraggio i giudici decidono. Sappiatelo.

Un piccolo appello: Hirschl andrebbe tradotto in italiano.

3
Nov
2009

Germania, Final Destination

Su Noise from Amerika si intona l’inno funebre per il nostro paese, prendendo come pietra di paragone la Germania. I dati sono del World Economic Outlook del FMI e risalgono al mese di ottobre. Come la Germania ridurrà l’indebitamento netto nei prossimi anni è  però ancora oggetto di discussione in questi giorni. E tutto fa pensare che il buco di bilancio si allargherà ancora un bel po’. Verrebbe da dire: “equilibrio” un accidenti! Che cosa induca infatti gli economisti dell’FMI (e l’autore di NfA) a credere che la Germania non sprofondi nel baratro dei debiti non è affatto chiaro. Basterebbe dare un’occhiata al dibattito politico tedesco delle ultime ore. Di tagli alla spesa non si discute più. La Frankfurter Allgemeine di ieri parla di un governo che “a tutto gas si dirige nella nebbia politico-economica”. E così sarà.

2
Nov
2009

Ecopass, che fare?

Ecopass, che fare? E come decidere? Sulla base delle preferenze degli elettori o facendo riferimento a valutazioni più oggettive? La prima strada, forse mai davvero intrapresa, sembra essere stata abbandonata. Non vi sarà alcun referendum sul pedaggio; ad un campione di cittadini milanesi sarà sottoposto un questionario più generale sulle politiche di mobilità sostenibile del Comune. Dall’altro lato, come evidenziato da Andrea Boitani su lavoce.info, non sono state finora prodotte analisi quantitative che consentano di esprimere un giudizio argomentato sul rapporto benefici / costi del provvedimento e di eventuali sue modifiche. In assenza di valutazioni specifiche del provvedimento milanese, utili indicazioni si possono trarre dall’esperienza londinese.
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2
Nov
2009

Mercato e debito pubblico italiano

La tesi che ha preso piede nel dibattito pubblico in questi ultimi mesi è che il debito pubblico di un Paese non vada misurato solo in percentuale sul Pil, ma riparametrato anche in ragione del debito privato esistente nello stesso Paese. Poiché il tasso d’indebitamento delle famiglie italiane è tra i più bassi nei Paesi Ocse – pari a un terzo di quelle della “formica” Germania – mentre il tasso di patrimonializzazione è tra i più elevati – al 2007 secondo il World Institute for Development Economics Research dell’Università ONU a Helsinki  eravamo 22esimi al mondo per reddito procapite a parità di potere d’acquisto, ma ottavi per ricchezza procapite davanti a Francia, Germania e Paesi scandinavi, e secondi solo al Giappone per ricchezza mediana per adulto, con il che si indica anche il minor grado di dispersione della ricchezza cioè la minor diseguaglianza sociale quanto a patrimonio – studiosi come Marco Fortis da mesi ripetono che in realtà la mera cifra del debito pubblico fa apparire l’Italia come più malata di quanto non sia davvero, nel contesto internazionale post Lehman (per chi volesse approfondire, qui la recensione del libro di Fortis edito dal Mulino). Se a quello delle famiglie aggiungiamo il debito delle imprese, comunque stiamo meglio di Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Olanda eccetera, sostengono i riparametratori. Non hanno convinto il mercato, però. Almeno sinora, il mercato la pensa diversamente. E poiché è il mercato, a valutare quanto “rischiano” i debiti e dunque quanto pagano d’interessi, forse bisogna tenerne conto. Ne deve tenere conto sicuramente la politica. Purtroppo, per il mercato stiamo messi parecchio peggio del Giappone. Cerchiamo di capire che cosa può voler dire.   Read More

2
Nov
2009

Meno tasse? C’è una Confindustria che non le vuole

Poi ci s’interroga sul perché e sul per come le classi dirigenti nei diversi Paesi non siano affatto eguali. Senza addentrarsi nell’esegesi storico-sociale, ci sono degli esempi che parlano da soli. Mi riferisco al “no grazie” espresso dalla BDI, la Confindustria germanica, al confuso compromesso politico-programmatico alla base della nascita del neogoverno Merkel, qui già sconsolatamente commentato dopo le prime esultanze. E dire che il programma annunciato è di ben 24 miliardi di euro in meno tasse alle imprese. Eppure leggete qui, Hans-Peter Keitel, il presidente degli industriali tedeschi, al settimanale Focus ha detto che le aziende hanno un’altra priorità. Poiché il compromesso governativo indica che si aumenterà considerevolmente la spesa pubblica oltre a tagliare le imposte, per gli industriali la priorità è un bilancio pubblico con meno deficit a costo di sacrificare le meno tasse. Altrimenti sarebbe tutto inutile, visto che bisognerebbe pagare più oneri su un debito pubblico accresciuto. Ricordo che la Germania ha recentemente posto il pareggio di bilancio nel Grundgesetz, elevandolo a regola costituzionale. Non so se Tremonti userà questa presa di posizione per dire che non bisogna tagliare le tasse. Ma non è quello ciò che intendono gli imprenditori germanici. Bensì semplicemente che, quando e se la politica scassa il bilancio per far contenti tutti, allora le persone serie devono saper dire no grazie. Anche quando il governo con la Fdp appena formatosi è più amico dell’impresa di quello di prima, coi socialisti a bordo. Applausi ammirati.

2
Nov
2009

Ma Klaus aveva già perso! O no?

La Repubblica Ceca era l’ultimo Paese dell’UE ad avanzare dubbi sulla ratifica del trattato di Lisbona. Come correttamente riportava anche il Sole24ore del 24 ottobre, il Presidente Ceco aveva chiesto al Consiglio dell’Unione una deroga in merito all’applicazione della carta dei diritti fondamentali dell’UE. Come scrive il Sole ci sarebbero potuti essere problemi su alcuni decreti “con i quali alla fine della seconda guerra mondiale furono espulsi (ed espropriati) 2,6 milioni di tedeschi della Cecoslovacchia”.  

Questa richiesta  era stata definita da Marta Dassù sulle pagine del Corriere della Sera “un ricatto”.  Non tocca sicuramente a noi spiegare nuovamente quante e quali sono le avversità di Vaclav Klaus rispetto al progetto europeo. Lo ha fatto molto bene Carlo Lottieri su “Il Giornale”.

Come consuetudine per i lettori di questo blog andiamo alla “ciccia”. Era davvero un ricatto quello di Klaus?

I leader dei 27 Paesi hanno deciso pochi giorni fa di aggiungere un nuovo protocollo al Trattato di Lisbona. Secondo questo protocollo le deroghe previste dal Protocollo 30 “shall apply to the Czech Republic”. Senza entrare nei tecnicismi giuridici connessi al problema della ratifica, è opportuno sottolineare che il protocollo 30 non prevede un regime di totale “opt-out” per ciò che concerne l’applicazione della Carta UE.

E rispetto al problema sollevato da Klaus sui “Benes decree”, ovvero i decreti che hanno espropriato gli ex tedeschi residenti in Cecoslovacchia? Il nuovo protocollo garantito dai 27 a Klaus è in sostanza inutile. Come ben spiega Steve Peers in questa analisi per StateWatch: “any dispute concerning the Benes decrees is outside the temporal scope of Community law”. Essendo stati approvati prima dell’entrata in vigore della Carta i decreti non rientrano ratione temporis nell’ambito di applicazione della Carta.

Insomma Klaus ha avuto una garanzia giuridica che non serve a nulla e che risponde ad un problema non esistente. I giornaloni hanno fatto i loro titoli.

Cambiamo tutto. Ma tanto non cambiava niente.

2
Nov
2009

Liberalizzazione dei cieli: langue pure in Africa

Yamoussoukro è una città di cui pochi, in Europa, conoscono il nome: eppure se si tratta della capitale della Costa d’Avorio e della città da cui proveniva anche colui che per più di trent’anni – dal 1960 al 1993 – ha gestito i destini di questa nazione africana: Félix Houphouët-Boigny.

Una decina di anni fa in questo centro si tenne pure un summit panafricano che avrebbe dovuto favorire, con la “decisione di Yamoussoukro”, appunto, lo sviluppo dell’aviazione del continente grazie ad un processo di liberalizzazione. Poco e niente, però, ne è derivato. Read More

1
Nov
2009

Oba-maniacs a iosa, ma i numeri dicono che…

Stamane con Alberto Mingardi ci siamo scambiati messaggi di esultanza, per il fondo del Sole 24 ore in cui si esalta Ayn Rand. Non è esattamente l’inno alle forze più energiche del capitalismo basato sull’irriducibile determinazione degli individui, al di là di ogni logica collettiva e statalista, il mantra quotidiano dei giornali italiani. Detto questo fa anche un po’ ridere, che i neodirettori di grandi quotidiani come  Sole e Stampa preferiscano sistematicamente scrivere dell’America, invece che dedicare la loro penna all’Italia. Un bel modo per trarsi d’impaccio e volare alto, senza esprimere giudizi scomodi, su economia  e politica nostrane. Quanto all’America, se guardassero i numeri l’esaltazione mediatica obamiana andrebbe fortemente ridimensionata. Irwin Stelzer dell’Hudson Institute sul Times di oggi è molto meglio di tutto il piombo italiano filo obamiano. Per almeno tre ragioni. Read More

1
Nov
2009

Psyco-media e anniversari, il 1929 e il Muro

È casuale o vuol dire qualcosa, che nel circo mediatico nazionale – ma anche internazionale, tutto sommato – l’ottantesimo anniversario della crisi del 1929 sia passata sotto pressoché totale silenzio, tranne pochi accenni a margine? Il Black Tuesday che sprofondò l’America nel terrore avvenne il 29 ottobre. Eppure sembra proprio che, da noi ma anche negli USA, l’anniversaristica mediatica prediliga nove a uno il ventennale della caduta del Muro di Berlino, con tanto di giallo del tutto irrilevante su quale varco davvero si aprì per primo, quale il sottufficiale che per primo n0n applicò gli ordini dei vertici della RDT, e via proseguendo. No, non è un caso. I riflessi condizionati dei media sono amplificatori di processi decisionali e di valutazione dell’incertezza che da vent’anni a questa parte trovano sempre maggior campo d’indagine nell’epistemologia cognitiva, nelle neuroscienze e nella cosiddetta neuroeconomy o behavioural finance, che valse nel 2002 il premio Nobel per l’economia attribuito, insieme a Vernon Smith che ci è caro, per la prima volta a uno psicologo, il grande israeliano Daniel Kahneman (per chi volesse approfondire sulle attività accademiche e di mercato in Italia, qui). E dunque che cosa di dice, la scelte dei media? Tre cose. Read More