Risposta all’ultimo Paul Krugman: coi miei soldi, no grazie!
Ci penserà la signora Le Pen a seppellire le illusioni europee? E’ la tesi sostenuta dall’ultima provocazione di Paul Krugman. Come spesso gli capita, l’amore per la battuta giornalistica effetto fa premio sul rigore di quel che Krugman è nella vita. O forse era. Un fior di economista, che ha vinto il Nobel dell’Economia nel 2008, e raramente la scelta è stata più singolare: inconsapevolmente, era come se l’attribuzione del premio indicasse la via preferita dall’accademia per uscire dalla crisi Lehman, e tutto quel che ne è seguito fino ad oggi.
Chi votò per lui non poteva sapere, con quanta casuale lungimiranza la scelta fosse azzeccata: perché Krugman è attualmente l’economista al mondo che ha forse più di tutti tre caratteristiche insieme. E’ colui che da molti anni ha più sviluppato un sesto acuminato per accrescere il proprio impatto sul dibattito pubblico, non solo negli Usa ma nel mondo intero, con i suoi due editoriali alla settimana sul New York Times da 14 anni, e nel quindicennio precedente collaborando a un’infinità di riviste ad alta tiratura. E’ un economista che “piace” e ama piacere, perché è politicamente impegnatissimo, a sinistra del partito democratico americano, e se mi sui passa la battuta quanto a politiche economiche a sinistra di quasi tutto nel mondo occidentale attuale. Infine, come molti di coloro divenuti col successo amati “a prescindere”, è molto abile nel far dimenticare sotto gli applausi le sue contraddizioni. Mica secondarie: negli anni di Bush padre era ferocemente ostile ai deficit di bilancio, ora da anni inneggia a loro favore. Ha scritto molte volte a favore del protezionismo doganale, tranne poi predicare che è meglio la svalutazione monetaria. E via continuando. Ama la provocazione, meno le critiche.
La sua ultima zampata è l’ennesima che riguarda l’euro. Di cui era tenace nemico dall’inizio, e va riconosciuto: con buoni argomenti, diffidava della volontà europea di fare davvero le riforme necessarie per aprire i mercati e renderli vasi comunicanti per equilibrare spontaneamente differenziali tanto alti di costi e produttività. Su questo, l’ho sempre pensata allo stesso modo: ci sono le testimonianze a partire dal 1996 quando ero a Liberal. Tuttavia poi Krugman è diventato difensore storico della Grecia mentitrice per 17 punti di Pil sul suo deficit pubblico, acerrimo critico della Germania e di tutti coloro che osano sostenere che l’eurocrisi è figlia anche e soprattutto dell’eccesso di debito pubblico e di presenza statale nell’economia manifestata innanzitutto attraverso una vera e propria spoliazione fiscale. E ora Krugman spara contro Draghi. E contro coloro che si illudono di poter evitare una nuova esplosione del rischio del debito sovrano dei paesi eurodeboli, attraverso le aste TLTRO e l’acquisto da parte della BCE di ABS e covered bonds. Anche su questo, si può essere d’accordo. Ma non, per quello che mi riguarda, col suo appello: ribellatevi ai tedeschi cari governi europei, e imponete alla BCE di svalutare a picco l’euro, altrimenti ci penserà madame Le Pen e seppellire le vostre speranze malriposte. Questo dice Krugman.
Con tale analisi, Krugman incarna il fenotipo di successo dell’economista di sinistra contrario al rigore. Quelli che sostengono che il debito pubblico è un non problema, le tasse alte una soluzione, insieme a stampare moneta col torchio della banca centrale, svalutando il più possibile il cambio e puntando al massimo di inflazione possibile. In Italia sono la maggioranza, ormai, a pensarla così. Non a caso Krugman qui da noi è il nume di coloro che vogliono il referendum antieuro, il pontefice massimo di coloro che con l’eponimo Piketty invocanola patrimoniale dimenticando che in Italia c’è già, sul mattone, sul risparmio e ora anche sugli accantonamenti previdenziali. Quelli che dimenticano che le crescite tumultose di grandi blocchi economici – dall’Impero britannico agli Usa – nella storia sono sempre avvenute con monete stabili e forti, e hanno iniziato a declinare quando la moneta ha preso a svalutare, e quando l’inflazione ha preso a salire. Perché la moneta debole indebolisce chi ha meno reddito, e la svalutazione alta è una tassa occulta sui poveri. Esattamente quei poveri che a chiacchiere i deficisti, gli svalutazionisti e gli inflazionisti sostengono di avere a cuore.
Con le loro proposte, sono i più poveri e i più deboli a prenderla in saccoccia. Mentre a guadagnare, con la svalutazione e l’inflazione, sono solo i più indebitati: cioè gli Stati, le banche e le grande imprese. Esattamente i tre soggetti dei quali gli economisti iper keynesiani da sempre ambiscono essere consulenti e irpiratori (non dimenticate che anche il Nobel Krugman lavorava per Enron, fu il New York Times a costringerlo ad andarsene..). Come avrete capito, chi qui scrive non è d’accordo con Krugman, e nel dirlo si espone al più classico degli inviti: zitto tu, come puoi pensare di criticare un Nobel. Ma qui non parliamo di mopdelli econometrici, bensì di opinioni e scelte generali su moneta e politica.
La dico tutta: in Francia oggi e domani può benissimo vincere madame Le Pen, visti gli errori epocali del socialista Hollande, e prima di lui del moderato Sarkozy. Come in Germania sta crescendo a doppia cifra il fronte antilatino di AfD, e da noi il fronte antieuro avanza, va dalla Lega alla maggioranza di Forza Italia a pezzi del Pd fino a SEL. Che cosa succederà, in caso di vittoria di Le Pen e di altri anti euro? Semplice. L’euro si restringerà rispetto agli attuali 18 membri, non senza passare per una crisi devastante sui mercati se non si riuscirà prima a contrattare clausole di exit in grado di contenere le inevitabili ondate speculative, e il rischio di default argentini a ripetizione. Ma a quel punto chi resterà nell’euro sarà più forte. E chi ne uscirà avrà Stato forte espropriatore e poveri più poveri. Un’Italia con più Stato e ancor meno produttività, drogata da svalutazione e inflazione NON mi interessa proprio,.
Piacerà a Krugman e a tutti i numi tutelari della sinistra e della destra populista e statalista, questa prospettiva di cui sarebbero artefici e consulenti. A me, come povero contribuente italiano, non piace proprio. Cambiare le regole europee sì, giocare al tanto peggio tanto meglio coi paradossi no grazie. Fatelo a piacere coi vostri studenti e lettori. Ma non con i miei soldi.