28
Ott
2014

Abolire la CIG subito: cosa serve al suo posto

Riguarda il lavoro, lo scontro più acceso tra Cgil e minoranza del Pd da una parte, premier Renzi e maggioranza del Pd dall’altra. Eppure ancora una volta il più della polemica si incentra sull’articolo 18, invece che sui maggiori problemi della bassa occupabilità nel nostro paese: il vero guaio strutturale, che porta solo poco più di un italiano su tre a lavorare, mentre in Germania la proporzione è di due su tre.

La domanda è: perché invece di far tante chiacchiere sulla tipizzazione dei licenziamenti disciplinari – solo in questo si ridurrà la modifica dell’articolo 18 attuale a chi ne gode, per il resto verrà esteso a chi non ce l’ha – non si mette la testa e altrettanta passione per esempio sugli ammortizzatori sociali? La risposta è scomoda. Perché è molto più problematico tagliare la questione con l’accetta, come pure andrebbe fatto.

Guardiamo i numeri. L’ultimo bilancio annuale dell’Inps ci parla di 23,5 miliardi di euro di ammortizzatori sociali- tra Cig ordinaria, straordinaria, in deroga, e disoccupazione – dei quali 14,5 in erogazioni dirette, e 9 miliardi di contributi figurativi. Apparentemente, una montagna di soldi. Nella realtà, non è così.

I 7500 euro procapite di spesa sociale annui italiani sono infatti di poco superiori alla media Ue, ma solo noi dedichiamo il 52% del totale della spesa sociale alle pensioni, e solo il 2,9% al sostegno della disoccupazione. La media europea Ue28 è 40% alle pensioni e 5,6% alla disoccupazione, la Francia spende il 39% in pensioni e il 6,6% in disoccupazione, la Germania il 33% in pensioni e il 4,7% in disoccupazione. Solo Croazia e Romania spendono in percentuale meno di noi per la disoccupazione sul totale della spesa sociale, persino la Bulgaria ci batte. Come è evidente, una svolta di reindirizzo al sostegno di chi perde un lavoro rispetto alle pensioni implicherebbe uno sforzo titanico, del quale nessuno si sente capace. Eppure, sarebbe necessario. E’ un modello di società, che dovrebbe cambiare (implicherebbe innanziutto ulteriori agevolazioni al risparmio finalizzato alla previdenza integrativa, NON la stangata fiscale prevista nella legge di stabilità 2015). Perché senza molti più occupati – essendo il sistema previdenziale a ripartizione cioè finanziato da chi lavora – le pensioni saranno sempre più magre o sempre più a carico di un fisco ancora più rapinatore.

Passiamo al secondo problema, quello delle risorse. Nel 2011, la risposta all’esplosione della crisi fu – d’accordo imprese, sindacati e politica – di non procedere a una riforma organica del sostegno alla disoccupazione, ma la sua estensione affiancando alla Cig ordinaria e straordinaria, concepite decenni fa per industria, edilizia e crisi aziendali, la Cig in deroga gestita dalle Regioni, per estenderne le tutele a tutti coloro che ne erano esclusi.

Non è stata una gran pensata. Le Regioni hanno confermato la loro generosa tendenza a concedere migliaia di trattamenti in deroga secondo logiche discrezionali, a volte scandalosi. Nel solo 2014 sono stati necessari stanziamenti per 1,7 miliardi per la sola Cig in deroga che – ricordiamolo – è a carico della fiscalità generale, a differenza della Cig ordinaria e straordinaria finanziate con contributi pagati dalle imprese, e “integrati” dall’Inps se necessario. Tanto il sistema della Cig in deroga ha preso a imbarcare acqua, che ad agosto sono state emanate norme restrittive sia per l’anzianità lavorativa pregressa di chi ne può personalmente beneficiare, che per la definizione stessa di impresa a cui applicarla, che per la durata massima del beneficio.

Il punto è che la Cig in deroga resterà ancora nel 2015. Ed è questo il secondo errore, che andava rimediato con il Jobs Act e che ancora si può rimediare, nei decreti attuativi della delega. La scelta giusta è non solo quella di passare all’ASPI per tutti (nel 2013 Aspi e MiniAspi hanno pesato per un poco più di un quarto del totale degli ammortizzatori sociali, ma gli ultimi dati di agosto-settembre 2014 li vedono paradossalmente in calo rispetto al crescere della Cig sul 2013). Quel che serve soprattutto è incardinare al più presto un sostegno universale al reddito su una vera strategia di rioccupabilità, fondata su una capacità vera di intermediare domanda e offerta di lavoro rottamando gli attuali uffici provinciali del lavoro, con formazione obbligatoria e sostegno al reddito negato se il disoccupato in formazione dovesse rifiutare i nuovi lavori offerti. Oggi non abbiamo un vero sistema formativo volto alla rioccupabilità, e ce n’è un bisogno assoluto visto che oltre metà dei 3 milioni di disoccupati lo è da più di 12 mesi, cioè o non ha o ha perso le skills richieste dalle imprese.

Chiudiamo con altre cifre. La legge di stabilità stanzia un miliardo e mezzo per il passaggio all’Aspi per tutti prevista nel Jobs Act. E’ evidente che stiamo parlando di una cifra totalmente inadeguata, in aggiunta al monte contributi versati dalle imprese per Cigo e Cigs, per finanziare il vero passaggio o a un sistema di tutela universale volto alla rioccupabilità. A maggior ragione perché quel miliardo e mezzo deve anche finanziare ancora la Cig in deroga, che continua.

Ci piacerebbe molto, vedere proposte e controproposte su tutto questo. Invece no, si oppongono anatemi tra correnti di partito. Peccato, con tutto il rispetto dipende molto più da cose come queste che dai licenziamenti disciplinari, se in dieci anni riusciremo a creare 7 o 8 milioni di posti di lavoro non sostitutivi rispetto al turnover, ma nuovi nel senso di “aggiuntivi”: perché questa è la vera sfida e di di questo, come ordine di grandezza, c’è bisogno.

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4 Responses

  1. Rino G. Marchetto

    Servirebbero queste dure riforme. Ma bisognerebbe trovare le risorse tagliando l’enorme spesa improduttiva in modo molto piu veloce di quello che si sta faticosamente e pavidamente facendo.Il parlamento e pieno di zavorre politiche e culturali. Presto ci saranno le elezioni e magari con un altro parlamento si potra’ fare qualcosa di meglio. Per il momento non mi sembra ci siano le condizioni per fare gran che. Contrariamente a quanto ci racconta il nostro primo ministro, questa NON e’ la volta buona.

  2. Dante

    Io nutro dei fortissimi dubbi sulle capacità italiane di gestire la nuova fase dei centri per l’impiego.
    Queste nuove funzioni richiedono delle doti di coordinamento e organizzazione tra varie istituzioni che sono utopia per la sgangherata macchina burocratica e anche mmi consenta per la mentalità cialtronesca italica.
    Non crede ?
    saluti.

  3. Norah Fleming

    E rivedere la disoccupazione tenendo conto: 1- dei lavori stagionali, anche quelli sindacali,(qualche mese di lavoro e qualche mese a casa con la disoccupazione…farebbe gola a tanti) 2- del reddito personale, per evitare che gente con redditi altissimi e lavoretti saltuari per hobby percepisse poi un sussidio

  4. adriano

    I suoi ragionamenti sono sempre interessanti ma non mi convincono.Cambiare per cambiare non serve Cig,Aspi sono sigle vuote.Devono essere riempite con le risorse.Di tutto si parla tranne dove reperirle nella misura necessaria che non è certamente quella citata.C’è chi dice di tagliare la spesa,eliminare gli sprechi e cosi via nella speranza.Nessuno accenna alla possibilità negata dell’intervento pubblico.In una crisi come questa rifiutare a priori le opportunità dell’odiato intervento statale,può fare liberismo ma non aiuta la razionalità.Bisogna conciliare i due sistemi.Incaponirsi con la moneta unica irreversibile sperando di diventare tedeschi quando fra le due possibilità è maggiore che loro diventino italiani,non risolve i problemi nè inizia ad affrontarli.Gli amici americani hanno inondato di dollari il sistema ottenendo solo risultati apparenti ma almeno ci provano.Noi balbettiamo su un QE che non si farà mai o sull’acquisto di alcuni titoli.Con queste premesse penso che di crisi si continuerà a parlare per un pezzo.

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