29
Giu
2021

Odontoiatri: Ecco s’avanza uno strano emendamento

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Francesco Bruno.

In una seduta al Senato della Commissione permanente dedicate alle Politiche dell’Unione europea, un Senatore del Movimento 5 Stelle, Onorevole Pietro Lorefice, ha presentato un emendamento ad un articolo del Ddl “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2019-2020”. L’emendamento in questione, per il momento accantonato dalla Commissione, prevederebbe -per quanto interessa in questa sede- una modifica alla Legge annuale sulla concorrenza del 2017. Così recita l’emendamento:

All’articolo 1 comma 153 della legge 4 agosto 2017 n. 124, il secondo periodo è sostituito dal seguente: “L’esercizio dell’attività odontoiatrica in forma societaria è consentito esclusivamente ai modelli di società tra professionisti iscritte al relativo albo professionale ai sensi dell’articolo 10, legge 12 novembre 2011, n. 183”.

Facciamo un passo indietro. Con il comma citato nella legge del 2017, il legislatore aveva voluto estendere le tutele per i pazienti, imponendo alle società odontoiatriche (a prescindere dalla loro forma societaria) l’obbligo di avere al loro interno un direttore sanitario iscritto all’albo degli odontoiatri. Naturalmente, ça va sans dire, le prestazioni odontoiatriche devono essere rese da professionisti abilitati. 

Nulla di strano, considerato che le società di capitali rappresentano una componente fondamentale nell’offerta sanitaria italiana. Se venisse approvato l’emendamento Lorefice, nel solo mondo degli odontoiatri ciò sarebbe possibile unicamente nella forma delle società tra professionisti (”STP”). Le STP sono società particolari, perché la legge impone una serie di limitazioni e di deroghe alla disciplina tipica, volte principalmente a far emergere il profilo professionale rispetto a quelli economico-finanziari. Seppur le stesse abbiano rappresentato una novità positiva nel nostro ordinamento, che prima riconosceva solo le associazioni professionali, siamo ancora lontani da un concetto di vera imprenditorialità. Ma nonostante ciò, l’emendamento Lorefice mira a far prevalere le STP come unica forma societaria ammessa per l’attività odontoiatrica. In sintesi, ciò significa mettere fuori legge le società di capitali che oggi controllano studi o cliniche dentistiche, e che servono all’incirca l’8% del mercato, oltre ai servizi odontoiatrici resi all’interno di ospedali e altre strutture pubbliche e cliniche private (che valgono attorno al 4% del mercato). 

La scelta appare criticabile sia da un punto di vista giuridico sia economico. 

A livello giuridico, sembrano sussistere delle violazioni degli articoli 3 e 41 della Costituzione. L’articolo 3 concerne, come noto, l’uguaglianza sostanziale. Non si comprende, infatti, perché tale limitazione dovrebbe riguardare solo i dentisti, considerato che le società di capitali rappresentano una realtà pacifica nel mondo delle prestazioni sanitarie. L’articolo 41 riguarda invece la libertà di iniziativa privata. Le eccezioni previste (contrasto all’utilità sociale, danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana) non sembrano ravvisarsi nel caso di specie. Inoltre, sembrano sussistere anche profili di incompatibilità con la normativa dell’Unione europea, tesa a rimuovere ostacoli alla libera prestazione di servizi. 

A livello economico, è abbastanza ovvio che una maggiore concorrenza possa giovare alla crescita di un mercato: la concorrenza si manifesta non solo attraverso l’incremento del numero degli operatori (che, nel caso dei dentisti, non è ovviamente soggetto ad alcun vincolo) ma anche attraverso il confronto tra soggetti che scelgono diverse forme organizzative e strutture societarie. A benefiiarne sono soprattutto i consumatori, in tal caso chi ha bisogno delle cure odontoiatriche, che troverà un’offerta più ampia e maggiormente compatibile con le risorse economiche a disposizione. Inoltre, l’approvazione dell’emendamento metterebbe in crisi tante società che negli anni hanno investito molto nel settore e sono diventate delle realtà importanti, che danno lavoro a migliaia di dipendenti. Sebbene qualunque operatore economico debba fare i conti con il rischio regolatorio, in questo caso non si riescono davvero a capire le ragioni che giustificherebbero una scelta del tutto anacronistica, che danneggerebbe tante aziende. Secondo l’ANCOD (Associazione Nazionale Centri Odontoiatrici), l’emendamento colpirebbe cinquemila società, che danno impiego a diciassettemila persone, tra odontoiatri, igienisti e personale amministrativo. Senza contare l’impatto sui pazienti in cura presso i centri.

L’AIO (Associazione Italiana Odontoiatri) si è schierata a favore dell’emendamento. Secondo il segretario dell’associazione, «Da sempre la nostra Associazione è convinta che solo la STP possa conciliare esercizio dell’attività odontoiatrica e forma societaria (…)», poiché a suo dire «(…) favorisce forme societarie dove prevalgono la qualità di cura, le persone, i rapporti fiduciari».

Tutte le posizioni meritano rispetto, ma non si comprendono le ragioni per cui solo la forma delle STP dovrebbe garantire quanto suddetto. È abbastanza fuorviante pensare che ad un utente non interessino la qualità di cura, le persone e i rapporti fiduciari. Ma si tratta di elementi che potrà trovare dove meglio crede. Da un singolo professionista di fiducia, presso uno studio associato, una STP o una clinica in franchising. Quale sarebbe la ratio di ridurre l’offerta e costringere, in caso, le società di capitali a trasformarsi in STP? In tutti i casi, è bene ricordare, la struttura deve essere autorizzata e deve essere nominato un direttore sanitario – odontoiatra – che ha l’onere di garantire il mantenimento dei requisiti autorizzativi. Trasformare le società di capitali in STP non sarebbe affatto un passaggio immediato e indolore. Nelle STP, infatti, i soci professionisti devono avere per Statuto la maggioranza, mentre i soci investitori possono solo essere in minoranza. Si tratta di un forte disincentivo per la potenzialità degli investimenti interessati. 

Ma il punto di fondo dell’emendamento potrebbe essere un altro. La qualità, infatti, è valutabile da ciascuno di noi che usufruiamo del servizio e che, per fortuna, abbiamo possibilità di scegliere la miglior cura per i nostri denti. Invece, l’avanzata delle società di capitali e del loro modello di business può condurre ad un’erosione della marginalità classica della professione. Quindi è normale che ci siano dei professionisti contrari. Il problema è che la politica dovrebbe occuparsi anche di chi contribuisce a quella marginalità, ossia i pazienti. È giusto che quest’ultimi paghino il vero prezzo dell’emendamento senza che nessuno sia in grado di spiegare puntualmente – e con qualche numero – le ragioni a sostegno della modifica legislativa?

Francesco Bruno è legal manager, già avvocato, ed ha conseguito un Master in Law and Economics (LL.M.). È collaboratore di Econopoly – Il Sole 24 Ore. Le opinioni espresse sono personali e non riflettono il punto di vista della società di appartenenza.

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