31
Gen
2022

Il divieto di allevamento di visoni e altri animali da pelliccia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Luigi Mariani, Flavio Barozzi, Giuseppe Bertoni, Alessandro Cantarelli, Francesco Marino e Angelo Troi

Dal testo della Legge di Bilancio 2022 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 dicembre 2021 (Legge 30 dicembre 2021, n. 234, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024) si apprende l’introduzione del divieto di allevamento degli animali da pelliccia (in proposito si veda il comma 980 della legge suddetta), forse grazioso regalo natalizio per le associazioni “animaliste”. Al riguardo riportiamo il comunicato dell’AIP – Associazione italiana Pellicceria, pubblicato come avviso a pagamento sul Corriere della Sera di Venerdì 24 dicembre:

Vietati gli allevamenti di visoni e animali da pelliccia. Bandito un pezzo di storia di questo paese
Un emendamento alla legge di bilancio, senza discussione parlamentare, senza alcun confronto con gli operatori, senza adeguati indennizzi, inserito in un provvedimento che dovrebbe rilanciare l’economia, cancella un pezzo del made in Italy e un intero settore produttivo. Questo con una pandemia in corso e con la Nazione nuovamente provata dalla permanenza del virus.
Gli allevamenti di visoni italiani sono un’attività legittima, regolarmente certificata, controllata. Garantiscono una produzione di qualità, sono ispezionati da revisori autonomi e seguono il protocollo WelFur per il benessere degli animali in allevamento, sistema riconosciuto dalla Commissione europea e inserito nella banca dati dell’autoregolamentazione.

Presidente Draghi facciamo appello a lei e al suo senso di responsabilità per rivedere l’anomalia operativa di questo emendamento che introduce un divieto di lavoro di uno specifico settore, senza avere alcun legame con le necessità di bilancio dello Stato. Tuteli un segmento economico piccolo ma che è un’eccellenza nel mondo.
Ricordiamo a chi ha ideologicamente votato il bando mandando sul lastrico le famiglie e i lavoratori coinvolti che ha annullato una tradizione e una cultura rurale di secolare memoria.
Il nostro grazie alle forze politiche e ai Senatori che hanno provato ad opporsi a questo “esproprio” ingiustificato.

AIP – Associazione italiana Pellicceria

Un pezzo di storia
Ha ragione AIP a parlare di “un pezzo di storia”. Infatti, l’allevamento, componente essenziale dell’agricoltura e più in generale della cultura umana, nasce con la domesticazione del lupo, avvenuta in Siberia oltre 30mila anni fa e prosegue con la domesticazione di moltissime specie, fra cui bovini, equini, suini, ovi-caprini, avicunicoli e insetti (api, baco da seta). Tale tradizione prosegue tutt’oggi anche nelle nostre città con l’esplosione dell’allevamento di cani e di gatti, il che dimostra quanto l’idea di domesticare e allevare animali sia radicata nella nostra specie, come del resto ha evidenziato il grande scrittore di fantascienza Philip Dick nel suo Anche gli androidi sognano pecore elettriche.
Dagli animali allevati l’uomo trae cibo (carne, latte, uova, ecc.), beni di consumo (pellami, lana, concimi organici, ecc.) e numerosi servizi (lavoro, attività ludiche ed educative, tutela e valorizzazione del paesaggio, ecc.).

Il problema etico e le tante contraddizioni
Il problema etico di fondo che negli ultimi decenni emerge con sempre più forza è se sia lecito o meno allevare animali o uccidere animali per ottenere i prodotti di cui sopra, fra cui le pelli. La risposta è tutt’altro che semplice, anche se il soddisfacimento di svariate e fondamentali esigenze della specie umana consente di superare molte remore (pur comprensibili); inoltre, molti di coloro che a parole si dicono contrari manifestano spesso comportamenti contraddittori, fra cui a puro titolo di esempio citiamo i seguenti:

  • i principali pet (cani e gatti) sono carnivori e dunque si cibano della carne di altri animali;
  • nessuno pare interessarsi della sorte di altri animali sociali come i topi, i grilli e gli scarafaggi, avvelenati nelle nostre città per ragioni igienico-sanitarie;
  • varie specie allevate (maiali, bovini, equini, ovi-caprini, ecc.) garantiscono fra i loro prodotti le pelli e gli stessi animali da pelliccia offrono sottoprodotti (carne, concimi, ecc.). Pertanto, accettare l’abolizione dell’allevamento degli animali da pelliccia significa creare il presupposto per l’abolizione di tutti gli allevamenti (o quantomeno di quelli che non producono cibo, ad esempio pecore da lana o capre da cashmere);
  • in un’epoca che stravede per il “naturale” si rifiutano prodotti naturali (le pellicce) in favore di prodotti artificiali (pellicce sintetiche);
  • l’utilizzo degli animali da laboratorio è oggi indispensabile per la ricerca in campo medico (test di nuovi farmaci, compresi i vaccini, test di nuove tecniche operatorie)
  • l’uccisione di animali tramite la caccia è oggi indispensabile per mantenere gli equilibri fra specie che noi, 8 miliardi di uomini, abbiamo alterato e che oggi sono messi a rischio dall’arretramento dell’agricoltura, da cui derivano vaste aree marginali abbandonate all’incolto e al bosco (in un secolo la superficie a bosco in Italia è più che raddoppiata passando da 4,5 a 11 milioni di ettari);
  • prima dell’inizio dell’allevamento, le pellicce provenivano solo da animali selvatici (agli appassionati di fumetti ricordiamo il grande Blek e i trapper), che proprio grazie all’allevamento sono stati salvaguardati e protetti dall’estinzione (si pensi a lontre, castori, volpi ecc.).

Un dibattito che non decolla…
A fronte di quanto sopra ci aspetteremmo da parte di agricoltori, agronomi e veterinari e più in generale dei cittadini una riflessione critica sull’allevamento che vada oltre l’adesione al luogo comune di impronta animalista. Tale riflessione è oggi resa più difficile da alcuni fenomeni:

  • gli agricoltori non riescono a generalizzare il problema, per cui ciascuno considera poco importante ciò che non lo riguarda direttamente;
  • la maggior parte dei veterinari non si occupa più di animali da reddito ma solo di animali da compagnia e qualcosa di analogo sta accadendo per gli agronomi, che sempre più spesso traggono reddito da attività urbane (gestione del verde, disinfestazioni, ecc.);
  • l’ambiente reale è sideralmente lontano da quello oggi percepito dalla gran massa di coloro che vivono in città. Ad esempio, il problema delle specie invasive (ungulati, cinghiali, istrici, nutrie, cornacchie, gazze, gabbiani, storni, ecc.) diviene concreto solo quando si manifesta nelle città, come nel caso di cinghiali, storni e gabbiani a Roma;
  • le organizzazioni animaliste sono finanziate dalla collettività e la loro lobby è presente e molto attiva nel nostro Parlamento ove è sorto uno specifico “intergruppo”. Viene così ad essere calpestato l’articolo 41 della Carta costituzionale, dove si afferma testualmente che “l’iniziativa economica privata è libera” e che “la legge determina i programmi e i controllo opportuni…”, siccome viene arbitrariamente ostacolata un’attività imprenditoriale invisa a una lobby che, per mero interesse, non riconosce nemmeno la validità dei controlli di legge operati dalle stesse istituzioni, ai fini del rispetto delle normative sulla sanità e sul benessere animale. Nel caso specifico della Legge di Bilancio 2022 pare essersi creato un corto circuito fra politica, organizzazioni animaliste e mondo dello spettacolo come traspare da un articolo del Corriere;
  • su internet il dibattito non ha alcun spazio in quanto le tesi favorevoli all’allevamento di animali da pelliccia non sono reperibili con i classici motori di ricerca se non dopo aver scorso varie pagine. Al riguardo segnaliamo ai lettori un sito in cui si discute del problema etico partendo dall’opinione degli allevatori di animali da pelliccia. Su internet trova invece molto spazio il fatto che i visoni possono trasmettere il Covid19. Tale tema non ci pare centrale in quanto la proibizione è stata estesa anche ad altre specie di animali da pelliccia che con Covid non c’entrano e inoltre a fronte di un’emergenza sanitaria si sarebbe potuto procedere con abbattimenti selettivi senza proibire l’allevamento. Al contempo segnaliamo, come riporta il Ministero della Salute, che “Evidenze epidemiologiche dimostrano che felini (gatti domestici e selvatici) visoni e cani sono risultati positivi al test per SARS-CoV-2 a seguito del contatto con persone infette da Covid19. Alcuni gatti hanno mostrato segni clinici di malattia”. Attenzione, dunque, che la minaccia del Covid non divenga un macigno per i nostri stessi pet, come pare trasparire da un’analisi recentemente apparsa sul Guardian.

Conclusioni
Il comunicato stampa dell’AIP, a cui va la nostra piena solidarietà, ha il merito di aver posto all’attenzione della collettività alcuni degli elementi discussi in questo nostro scritto e altri, fra cui gli aspetti economico-sociali sottesi al divieto di allevamento dei visoni e di altri animali da pelliccia e l’importanza che in tali forme di allevamento ha il rispetto delle normative internazionali di settore, ivi incluse quelle sul benessere animale.

Uno degli scriventi ha avuto contatto in passato con gli allevatori di visoni che gli hanno narrato delle violenze e dei soprusi subiti a opera degli animalisti, i quali hanno distrutto strutture e fatto fuggire gli animali, causando danni rilevanti ad attività produttive perfettamente legali. Oggi come ieri questi allevatori si attendevano di essere protetti dallo Stato che invece si è schierato dalla parte dei loro persecutori, offrendo così ai cittadini rispettosi della legge un pessimo esempio [1]. Anche alla luce di ciò concludiamo associandoci all’AIP nell’auspicare che il Parlamento ritorni sui suoi passi e non distrugga un intero settore economico in nome di pregiudizi e ragionamenti contraddittori.

***

[1] A tale proposito segnaliamo che la lobby animalista conduce ormai da anni campagne anche violente contro i circhi con animali ammaestrati, adducendo motivazioni pregiudizievoli e menzognere. Su questo tema i circhi, che vantano una tradizione pluricentenaria di allevamento di animali, sono stato spesso lasciati soli a confrontarsi con i violenti. La stessa RAI 3 sta da alcuni anni censurando gli spettacoli circensi non presentando i numeri che coinvolgono animali, nonostante la funzione culturale e sociale del Circo equestre sia riconosciuta dallo Stato italiano attraverso la legge n. 337 del 18 marzo 1968 (legge “Corona”) e la stessa Costituzione tuteli la cultura e il patrimonio artistico agli articoli 9 e 33.

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