18
Apr
2014

Ancora contro la tassazione delle rendite finanziarie—di Natale D’Amico

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Natale D’Amico.

Continua a sorprendere la scarsa attenzione che il dibattito pubblico presta all’annunciato aumento della tassazione sulle rendite finanziarie. E proprio nell’anno in cui ricorre il 140 esimo anniversario della nascita di Luigi Einaudi, cioè dell’economista che più di ogni altro dedicò larga parte della propria attività scientifica e pubblicistica a combattere contro la doppia imposizione sul risparmio.

Riguardo agli effetti disastrosi che il livello di tassazione annunciato produce in presenza di inflazione, si è già detto (qui).

Si vuole ora contrastare l’idea secondo la quale sarebbe bene aumentare la tassazione sulle rendite per ridurre le imposte sul lavoro.

Si consideri un lavoratore dipendente, che vive del suo salario o stipendio. Una volta detratte le – troppe – tasse, il nostro lavoratore dipendente spenderà la gran parte di quanto guadagnato per vivere: pagare l’affitto, far la spesa, …

Ma, come la gran parte delle persone, anche lui tenterà di risparmiare parte del reddito guadagnato: perché ha in mente di cambiare auto; perché vuole essere un po’ più sicuro quando sarà pensionato; perché non si sa mai, ci sono sempre imprevisti; perché vuole essere in grado di aiutare suo figlio o sua figlia quando metterà su casa.

Tutte finalità non solo lecite, ma anche apprezzabili. Non v’è motivo, né economico né per così dire morale, in base al quale lo stato si debba occupare di ostacolare questa propensione alla prudenza.

Immaginiamo che il nostro lavoratore sia riuscito a risparmiare 100 euro. Se il tasso d’interesse corrente è il 5%, ne ricaverà 5 euro all’anno di rendita.

Capitale e rendita sono le due facce di una stessa medaglia: i 100 euro risparmiati producono una rendita di 5 che, scontata al tasso d’interesse di mercato (poiché il valore attuale di una rendita perpetua R con tasso d’interesse i è pari a R/i), produce un valore capitale di 100.

Ma interviene ora una tassa, per semplificare i conti, del 20% su quella rendita. Il flusso di rendimenti futuri non è più 5 euro ma 4. Sennonché il tasso d’interesse corrente non è affatto cambiato: è rimasto al 5%. E un flusso annuo di 4 euro, scontato al 5%, non fa più 100, ma 80.

Siamo tornati a Luigi Einaudi: una tassa del 20% sulla rendita finanziaria equivale a una tassa del 20% sul patrimonio.

Bene, diranno i redistributori: abbiamo introdotto, magari senza grande consapevolezza, una tassa sull’odiato patrimonio: potremo usarne il ricavato per diminuire le tasse sul lavoro.

Ma torniamo al nostro lavoratore dipendente. Ora egli paga una imposta esattamente eguale a quella di prima sull’intero reddito – da lavoro – guadagnato. IN PIÙ paga il 20% sulla parte del reddito che ha risparmiato. Il prelievo sul suo reddito – che è solo reddito da lavoro – è aumentato, tanto più quanto il nostro lavoratore risparmia.

È bene ribadirlo: così si passa dall’eutanasia del rentier di keynesiana memoria, all’assassinio del lavoratore-risparmiatore che con fatica e sacrifici, tenta di mettere qualcosa da parte per garantire a sé e alla propria famiglia un futuro un po’ meno incerto.

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9 Responses

  1. giuseppe

    Si considere un lavoratore dipendente che guadagni una barca di soldi, perché la maggior parte dei dipendenti non ha nulla da investire. e nemmeno le capacità, se non quella di farsi fregare da un operatore finanziario. Possibilmente si consideri un Dirigente Pubblico, al quale i soldi certamente non mancano. Sicuri che Einaudi sarebbe stato così d’accordo? Mah…

  2. grazie a D’Amico, condivido. Da parte mia, essendo assolutamente indispensabile esser costruttivi, segnalo, da “la filosofia della TAV”, basata sulla lezione di quel grande intellettuale del ‘900 che è stato Pier Luigi Zampetti, l’indispensabile analisi previa del PERCHE’ siamo arrivati a questo punto, e, soprattutto, COME USCIRNE, grazie a sussidiarietà e partecipazione autentica:

    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/fiatpomigliano-darcomelfi-come-mettere-a-frutto-la-lezione-di-pier-luigi-zampetti-per-risolvere-il-conflitto-tra-capitale-e-lavoro/

    Diffidare dalle numerose imitazioni, e dalle truffe…

  3. Francesco_P

    Colpire il risparmio attraverso la tassazione del capital gain non è solo un modo per racimolare qualche soldo allo scopo di ridurre qualche altra tassa senza incidere sulla spesa pubblica complessiva. Disincentivare il risparmio è un atto masochista perché sottrae risorse all’economia reale e sottende anche una pericolosa deriva ideologica.
    Infatti, in un sistema collettivista risparmiare è una colpa. Per caso, se un mese qualcuno riesce a mettere da parte due soldini da spendere il mese venturo, allora questi soldi devono ritornano alla collettività, ovvero nella disponibilità dei burocrati e dei capipartito. Nell’economia pianificata socialista non esiste il concetto di risparmio come motore economico. Tutto dipende dallo Stato e l’accumulazione da parte di soggetti privati è solo un intralcio al dominio incontrastato dello Stato (ovvero il Partito impersonificato dai burocrati) sull’economia.
    Non potendo applicare in pieno il regime sovietico in vigore ai tempi di Stalin, attraverso la tassazione delle rendite finanziarie si tende ad ottenere qualche risultato nella disincentivazione del risparmio.

  4. Francesco_P

    Appena scritto il mio commento, leggo: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-04-18/il-countdown-renzi-1630-oraics-decreto-bonus-091933.shtml?uuid=ABHPb9BB . La stessa notizia è riportata anche da altre fonti giornalistiche online.
    Il risparmio è diventato un bancomat a cui attingente per non affrontare i nodi di uno Stato parassitario e sprecone. Tanto meno risparmio c’è, tanto più i privati e le imprese devono dipendere dalla interessata benevolenza dello Stato, che è una proprietà privata dei burocrati e dei politici.

  5. milena

    Lo Stato considera doveroso tassare le rendite finanziarie considerandole come un nuovo reddito nonostante il capitale che ha generato tale reddito sia stato già tassato. La tassazione dovrebbe però colpire solo investimenti superiori ai 200mila euro.
    Sebbene molti non siano daccordo considero doveroso in democrazia chi dispone di più risorse debba dare di più.

  6. lucia

    Non condivido il commento di D’Amico, e mi sento di fare un appunto. Non mi sembra, quando si è trattato di tassare in maniera estremamente incisiva il risparmio immobiliare, di aver letto i medesimi commenti. Coloro che hanno deciso di investire i propri risparmi nell’acquisto di un immobile sono tassati – direi giustamente – sul reddito percepito (così come le rendite finanziarie), ma anche solo per la circostanza di possedere un immobile (questa si che è una patrimoniale!). La nostra tassazione è basata sull’imponibilità dei redditi percepiti ed è assurdo imporre aliquote più altre per il reddito d’impresa rispetto a quello proveniente da un investimento finanziario, a mio parere dovrebbero essere, quanto meno, omologati.

  7. Matteo

    Quanta sollecitudine per l’operaio sparambiatore; chi l’avrebbe mai detto?!
    Magari la forbice vera è tra tassare la rendita o l’impresa. Meglio sarebbe non tassare nessuno, ma, dovendo tassare, o si costruisce un sistema equilibrato, o accade che agli imprenditori conviene vendere, investire in borsa e starsene al caldo. Una cosa del genere di certo può piacere alle multinazionali, ma imposta qui da noi mi pare un vero tradimento della iniziativa che si è manifestata nel nostro paese e un ritorno ai secoli del latifondo e del letargo.

  8. riccardo

    Tutto quello che noto è che: persino su questo blog ci sono pochi commenti in proposito, ancora una volta ci facciamo spennare guidati da giornali TV e cartacei che continuano a cantilenare le virtù terapeutiche del NUOVO governo che, mio modesto parere, se anche fa cose condivisibili, ha una tale bava nel didiettro causato dai lecchini vari che passa la voglia di apprezzare.

  9. Franco

    Consideriamo il “lavoratore” che avrà i famosi 80euro/mese in busta paga: Gli sarà tassata la “rendita” del conto corrente che, supponiamo, ammonti a 20.000euro (se esiste veramente un lavoratore che guadagna 1500 €/mese con questo capitale in banca?!). Ebbene oggi, assumendo che il c/c abbia un interesse medio dell’1%, riceve 200€/anno su cui paga il 20%, cioè 40€/anno di tassa e sul cedolino 1500€/mese. Domani, vedrà sul cedolino ca. 1580€ ogni mese e di tassa sul suo “capitale” pagherà 52€/anno: bilancio netto + 80€/MESE e – 12€/ANNO.

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