17
Lug
2009

Strategica tua sorella

Privatizzazioni? No, grazie. Anche quest’anno, il Documento di programmazione economica e finanziaria (approvato mercoledì dal Consiglio dei ministri) esclude il ricorso alle privatizzazioni, se non in casi marginali. Un paragrafo (p.39) è dedicato espressamente a questo tema, inserendosi nell’analisi che il documento svolge della situazione macroeconomica e degli andamenti della finanza pubblica. In generale, l’aspetto più interessante – che si inserisce nel mix un po’ naif di ottimismo della volontà e pessimismo delle cifre – consiste nel quadro delle misure anticrisi, che effettivamente, almeno dal punto di vista dell’impatto sulla spesa pubblica e quindi delle potenziali conseguenze di lungo termine, si confermano come un saggio tentativo di non incrinare ulteriormente un equilibrio che è già instabile. Ed è dominato dal peso del debito che si fa ancor più ingombrante rispetto a un Pil in ritirata e a un deficit che torna a salire anche a causa degli interessi sul debito stesso. Il contesto, dunque, non viene giudicato maturo per la cessione al mercato degli asset e le società pubbliche. Perché?

Il documento distingue tra le varie attività dello Stato (la maggior parte delle quali abbiamo censito – proponendone la vendita immediata – nel Manuale delle riforme). In riferimento alle società quotate in borsa e partecipate dallo Stato (Enel, Eni e Finmeccanica) il documento dice che “lo Stato intende mantenere l’attuale quota di controllo al fine di presidiare settori strategici per il paese“. In particolare sull’Enel, si legge tra le righe che, per ottemperare all’obbligo di distinguere l’azionariato dell’ex monopolista elettrico da quello di Terna, dettato dall’Antitrust e ribadito dal Consiglio di Stato, il Tesoro cederà le sue quote alla Cdp (oppure a F2I), col non trascurabile side effect di incassare un po’ di quattrini. E’ una partita di giro nei fatti, ma è comunque liquidità che serve più al Tesoro che non alla Cassa. Viene invece dichiarato l’interesse a “proseguire nel percorso di privatizzazione, quale strumento che potrà contribuire… a una riduzione del debito pubblico“. Viene ipotizzata la “cessione di quote di partecipazione” in Poste Italiane e nell’Istituto poligrafico e zecca dello Stato. Più evanescente è la possibilità di “iniziative volte all’apertura ai privati del capitale di Sace“. Viene poi ribadito l’interesse (già manifestato l’anno scorso: quando la coerenza è sospetta…) a vendere un carrozzone come Tirrenia e le sue controllate, processo comunque già avviato a marzo. Infine, viene confermata, a carico di Fintecna, la ricapitalizzazione di Fincantieri, con la possibilità di “procedere al collocamento in borsa di una quota del capitale“, anche questa un’operazione già menzionata nel precedente Dpef.

Insomma, la sensazione è che il governo concepisca il mercato come qualcosa a metà tra il bancomat e la discarica abusiva: si cercano i privati quando c’è bisogno di ragrannellare risorse senza però cedere il controllo (vedi Fincantieri, Poste, e Zecca), oppure quando un’azienda è stata talmente spolpata che ne resta solo la parte bad (Tirrenia). Ora, qualunque privatizzazione, buona o brutta, totale o parziale, rappresenta comunque un passo avanti, specie se interessa società non ancora quotate in borsa. Infatti, essa richiede quanto meno l’adozione di standard più rigidi e di una maggiore e migliore disciplina finanziaria nella sua gestione, come Jacopo Perego ha argomentato su Fincantieri.

Il problema, però, è che fino a quando un’azienda non è decotta (Tirrenia, appunto, o anche Alitalia) la possibilità di privatizzarla integralmente non viene neppure presa in considerazione. Le ragioni “ufficiali” sono le più diverse: il Dpef 2010 spiega in tutte le salse che la congiuntura è sfavorevole (cioè, si farebbe poca cassa), ma quando si sarebbe potuto farne molta, di cassa, si diceva che il flusso dei dividendi era ancora più appetitoso (così, di fatto, Silvio Berlusconi intervistato da Benedetto Della Vedova alla vigilia delle elezioni politiche 2006). Dunque, viene da chiedersi cosa sia davvero strategico: il ruolo che tali imprese occupano sul mercato, oppure la formidabile leva che esse forniscono al governo in termini di influenza sul mercato stesso, potere, e dividendi? In un commento sulla Staffetta Quotidiana, Goffredo Galeazzi mette giustamente il dito nella piaga: “se lo ‘strategico’ settore energetico può trovare adeguata tutela con leggi trasparenti e con la regolazione di Autorità indipendenti, è quanto meno impraticabile (almeno per ora) la rinuncia a ricchi dividendi (quasi 2,5 miliardi da Eni, Enel e Cdp solo quest’anno) e a incassi straordinari da operazioni sul capitale“. Inutile, a questo punto, scoperchiare l’immenso e immensamente inefficiente pentolone delle municipalizzate (qui e qui, per esempio). Il problema è che l’esigenza di incassare soldi per estinguere il debito pubblico può essere una delle ragioni contingenti per cui si sceglie di privatizzare, ma non è né sufficiente né, tutto sommato, necessaria. Il punto vero, che raramente viene compreso e in Italia non è compreso né dal governo né dall’opposizione (che, temporibus illis, le privatizzazioni le aveva fatte proprio sotto lo schiaffo di Maastricht), è che c’è una e una sola ragione per cui è importante privatizzare: far funzionare il mercato. Lo spiega bene Luigi Ceffalo qui, commentando il defunto ddl Lanzillotta, ma l’argomento è in ogni caso generale e generalmente valido. Un concorrente in mano allo Stato distorce il gioco di mercato anche quando, e perfino se, si comporta in modo davvero “privatistico”, perché tutti gli altri giocatori sanno che prima o poi le cose potrebbero cambiare. E’ per questo che, in un momento di crisi in cui il gettito delle cessioni sarebbe relativamente basso, privatizzare non è meno attuale: se vogliamo dare la scossa all’economia italiana, questo dobbiamo fare. Se poi vogliamo raccontarci le favole, pensiamo pure che certi settori siano strategici. Il che è vero, ma solo in un senso: non è che lo Stato debba essere presente in un certo mercato perché il buon Dio, in un attimo di distrazione, l’ha fatto “strategico”. E’ che quel dio malvagio che è lo Stato ne ha deciso la strategicità proprio a tutela della sua presenza.

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2 Responses

  1. luigi zoppoli

    Forse la possibile cessione di Tirrenia alla Regione Sicilia, quale presidio strategico ovviamente dei collegamenti con le isole minori, costituirà un precedente per le privatizzazioni prossime venture.
    luigi zoppoli

  2. gianni Z.

    Forza Sud,alias forza italia, non può privatizzare nulla, è contro la sua natura di movimento assistenzial/democristiano/socialista.
    Vedi riforma fiscale del 1991.
    Se danno Tirrenia alla Regione sicilia, in due anni avremo il doppio di marinai. Allegria… dimezzato tasso disoccupazione.
    Gianni Z.

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