20
Gen
2010

Libertà economica. Italia meglio, ma sempre male

Ai tempi del liceo, nulla era più crudele che veder la propria versione di greco valutata “3+”. Passi il 3: sapevi fin da principio che l’avevi fatta male. Ma quel benedetto “+” ti dava la sensazione della beffa. Ecco: l’Indice della libertà economica 2010, pubblicato oggi a cura di Heritage Foundation e Wall Street Journal in collaborazione, tra gli altri, con l’IBL, ricorda quel tipo di sensazione. Col 62,7 per cento, l’Italia migliora sia in valore assoluto (1,3 punti percentuali in più dell’anno scorso), sia in graduatoria (siamo settantaquattresimi, due posti avanti rispetto al 2009). Ma, appunto, restiamo classificati come “moderatamente liberi”, e davanti a noi stanno altri 73 paesi. Dietro di noi, in Europa, solo la Bulgaria.

La testa della classifica resta saldamente in mano a quattro paesi dell’Asia e del Pacifico – Hong Kong, Singapore, Australia e Nuova Zelanda – mentre i cambiamenti più clamorosi riguardano il mondo anglosassone: Stati Uniti e Gran Bretagna sono i due paesi che, in assoluto, vedono la propria libertà economica flettere in misura più significativa (-2,7 e -2,5 per cento, rispettivamente), in conseguenza del keynesismo anticrisi. Come conseguenza, gli Usa scendono all’ottavo posto, la Gb addirittura esce dalla top ten (assestandosi in undicesima posizione). All’altro estremo, spiccano la Polonia (+2,9 per cento) e il Messico (+2,5 per cento). Il fenomeno più importante, dunque, quest’anno sta nel radicale rimescolamento delle carte, specie nel gruppo dei paesi più liberi, che diventa sempre più europeo: nove dei primi venti paesi sono europei, e sette (Irlanda, Danimarca, Uk, Lussemburgo, Paesi Bassi, Estonia, Finlandia) stanno nell’Unione europea. Come europei questo ci riempie di orgoglio e di fiducia: come italiani, è deprimente, visto che noi restiamo fanalino di coda (è una scarsa consolazione che la Francia, 64,2 per cento, non se la passi molto meglio).

Torniamo, dunque, all’Italia. Il nostro paese soffre dei mali di sempre: una scarsa libertà fiscale (55,2 per cento, in discesa), una pervasiva corruzione (48 per cento, in discesa), una spesa pubblica disastrosa (31,2 per cento, in salita), e un’insufficiente tutela dei diritti di proprietà (55 per cento, in salita). Il miglioramento di 1,3 punti percentuali è attribuibile soprattutto ai modesti, ma significativi, progressi nella libertà di scambio e in quella di investimento: l’una è attribuibile largamente a politiche comunitarie, e quindi godiamo di un merito non interamente nostro; più o meno lo stesso vale per la libertà di investire, che risente positivamente del rigetto delle golden share imposto da Bruxelles.

Oltre a questo, vale la pena sottolineare un progresso relativo che l’Italia compie, anche se non si vede: mentre molte delle economie più libere arretravano, noi abbiamo tenuto grazie alla scelta di non cedere alle sirene degli “stimoli”. Come ha commentato Alberto Mingardi:

Siamo oggi un Paese più economicamente libero non per nostra virtù ma per vizio altrui. Viene premiato, con un piccolo segnale positivo, il buon senso di non aver messo in atto costosi piani di stimolo, ritornando a insostenibili posizioni keynesiane. Ma non è certo possibile accontentarsi. C’è una lunga china, tutta da risalire. E investire oggi sulla libertà economica è fondamentale per potere finalmente uscire dalla spirale del declino.

Quanto meno, dunque, possiamo vantare il successo di non aver perso terreno, quando molti altri – compresi quelli a cui guardavamo e guardiamo come shining cities atop a hill – hanno percorso la via lastricata di buone intenzioni. La consolazione, però, finisce qui: in valore assoluto restiamo molto meno liberi, e dunque quelle realtà, nonostante il degrado post-crisi, restano più attrattive e più libere. Vale la pena ricordare, va da sé, che quello che stiamo misurando qui è la libertà economica, non la ricchezza o la qualità della vita, che possono essere ancora maggiori in Italia rispetto ad altre realtà. Tuttavia, è nostra convinzione che vi sia un nesso molto forte tra la libertà economica (intesa come contesto) e la ricchezza e la qualità della vita (intese come risultato di quel contesto). Lo confermano le correlazioni, che restano molto alte anche nel 2010, tra la libertà economica e il Pil pro capite, la qualità della vita, la “felicità”. Ed è un monito importante quello che viene dalla correlazione, pure meno significativa nel breve termine, tra gli aumenti della spesa pubblica e la riduzione della crescita.

Queste dinamiche non vanno perse di vista, perché è probabile che nei prossimi anni si aggravino. Dal che può venire un vantaggio comparato per chi, come l’Italia, ha resistito. Ma solo se sapremo cogliere l’occasione per avviare quelle riforme, a partire da quelle fiscali, che possono curare le nostre malattie. Le ragioni, le spiega molto bene Terry Miller, curatore dell’Index, sul Wall Street Journal di oggi:

These trends are important because study after study shows a strong correlation between economic freedom and prosperity. Citizens of economically freer countries enjoy much higher per-capita incomes on average than those who live in less free economies. Economic freedom also has positive impacts on overall quality of life, political and social conditions, and even on protection of the environment. Perhaps of most significance in these hard times, Index data indicate that freer economies do a much better job of reducing poverty than more highly regulated economies.

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2 Responses

  1. roberto fantechi

    ………Economic freedom also has positive impacts on overall quality of life, political and social conditions, and even on protection of the environment. Perhaps of most significance in these hard times, Index data indicate that freer economies do a much better job of reducing poverty than more highly regulated economies………..

    hmmm! at best quite a questionable statement, take for example the usa (even though they are sliding impercettibly down), they are amongst the world worst polluters and the gap between rich and poor has been widening immensely (quite like italy)….it is a small consolation that some “small countries” are doing well as their specific weight is relatively nil

    non posso anche non notare il tono accademico della descrizione dei gravi malanni del nostro paese….nello stile di giannino senz’altro, ma un gran “bloody murder” ci starebbe bene quando il nostro valoroso consiglio dei ministri questi dati li ovviamente cestina…per non dire qualcos’altro

    saluti

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