20
Dic
2017

La corte Ue ha deciso cos’è Uber. E ora?

Da un punto di vista politico, la diatriba tra Uber e tassisti ha contorni piuttosto precisi: da una parte i sostenitori dell’innovazione e della libertà d’impresa, dall’altra chi difende tutele e garanzie che gli Stati hanno assegnato nel tempo a specifiche categorie e ai loro utenti. Più sfocati, almeno sino ad oggi, sono i contorni giuridici della vicenda, per una ragione principale: la difficoltà di definire Uber. Il diritto dell’Unione europea, infatti, suddivide nettamente la categorie delle compagnie di trasporti da un lato, e delle piattaforme digitali dall’altro. Mentre i servizi di trasporto non hanno ancora portato all’adozione di norme comuni a livello europeo, e pertanto la loro prestazione è soggetta alle singole normative di ciascuno Stato, i servizi di intermediazione sono soggetti all’ambito di applicazione di principi e norme comuni che ne sanciscono la libera prestazione.

Da qui nasce il problema giuridico, con implicazioni non banali. Uber, infatti, non offre direttamente alcun servizio, ma mette in contatto persone che lo offrono e persone che lo cercano. E tuttavia, da altro punto di vista, non c’è dubbio che agli utenti Uber offra un servizio di trasporto pubblico, mantenendo il sostanziale controllo sul servizio prestato dai suoi autisti, sulle sue caratteristiche e sul suo prezzo. E dunque, si tratta di un servizio di intermediazione o di un servizio di trasporto pubblico? Le conseguenze, dicevamo, non sono da poco, se solo si pensa alla quantità di norme (giuslavoristiche, sindacali, in materia di sicurezza, eccetera) cui è soggetto chi esercita un servizio di trasporto pubblico.

Poco più di un anno fa, la Corte di giustizia dell’Unione europea iniziò l’esame del ricorso presentato da un sindacato di tassisti di Barcellona, che nel 2014 fece causa a Uber per concorrenza sleale. Il nodo centrale dell’intera causa è, appunto, la natura giuridica di Uber. E oggi la Corte di giustizia ha dato il suo responso, stabilendo che il servizio fornito da Uber rientra nell’ambito dei servizi nel settore dei trasporti, e che gli Stati membri possono di conseguenza disciplinare le condizioni di prestazione di tale servizio.

Secondo la Corte, il servizio che offre Uber non si concretizza soltanto nell’intermediazione tra conducenti e utenti, ma crea al contempo “un’offerta di servizi di trasporto urbano, da lui resi accessibili segnatamente con strumenti informatici, e di cui egli organizza il funzionamento generale a favore delle persone che intendono avvalersi di tale offerta per uno spostamento in area urbana“. Senza l’intermediazione di Uber, infatti, secondo la Corte sarebbe impossibile – sia per i conducenti che per gli utenti del servizio – effettuare lo spostamento in area urbana reso possibile, appunto, dall’esistenza di Uber come intermediario. Di conseguenza, tale servizio d’intermediazione deve essere considerato “parte integrante di un servizio complessivo in cui l’elemento principale è un servizio di trasporto” e, di conseguenza, rispondente non alla qualificazione di «servizio della società dell’informazione», ma a quella di «servizio nel settore dei trasporti».

La sentenza della Corte di giustizia sarà, a questo punto, decisiva per risolvere la maggior parte delle controversie che riguardano Uber in tutta Europa. Nel merito, la strada intrapresa non è certo quella auspicata da chi, come noi, sostiene l’importanza di garantire all’economia digitale regole ‘leggere’, che non rischino di affossarne la portata innovativa incasellandone l’attività dentro schemi superati dalla realtà. Il dato positivo, però, è che se non altro la sentenza della Corte di giustizia definisce con chiarezza il campo da gioco in cui deve essere regolata Uber e, forse, l’intero settore della sharing economy. E in questo modo fa chiarezza. Se sino ad oggi buona parte della classe politica, posta di fronte alla responsabilità di regolare Uber e realtà omologhe, ha per così dire ‘buttato la palla in tribuna’, reclamando un necessario quadro europeo, oggi quel quadro europeo c’è e non lascia più alibi al legislatore.

Concretamente, Uber potrebbe ora essere obbligata, per poter operare nei vari Stati, sia a far rispettare ai propri conducenti i controlli e gli obblighi cui sono sottoposti i tassisti, sia a richiedere le licenze richieste dalle legislazioni nazionali per i taxi, non beneficiando del principio di libera circolazione dei servizi garantito dall’Ue per i cosiddetti servizi della società dell’informazione. Il che non è un problema per il servizio più comune offerto da Uber, UberBlack, ma segna invece un ostacolo apparentemente insormontabile per Uberpop, il servizio con il quale Uber mette in contatto gli utenti con autisti sprovvisti di qualsivoglia licenza. Nel lungo termine, tuttavia, è impensabile che il trasporto pubblico locale continui a essere regolato da norme scritte nel 1992. La sentenza della Corte di giustizia lascia la palla in mano al legislatore, perché finalmente intervenga. Speriamo lo faccia presto e, a quel punto, speriamo lo faccia bene.

Twitter: @glmannheimer

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