Consigli di lettura per il Natale 2025
Cosa regalare o regalarsi per le feste di Natale? E cosa leggere durante le vacanze, magari approfittando di qualche giorno di pausa in più? Anche quest’anno arrivano alcuni suggerimenti dallo staff e dai collaboratori dell’IBL, che condividono idee regalo, spunti di lettura e titoli che li hanno accompagnati negli ultimi mesi e che potrebbero ispirare anche voi nella scelta di un dono significativo o di un libro da tenere sul comodino durante le festività.
Gianrico Carofiglio, Elogio dell’ignoranza e dell’errore (Einaudi, 2024)
In questo breve saggio Carofiglio prova a riabilitare due parole che nella nostra cultura suonano quasi come un’onta: ignoranza ed errore.
L’autore parte dall’idea che “la vera competenza include la percezione dei suoi limiti” e “il vero esperto si riconosce dalla capacità di ammettere la propria ignoranza”. Viene valorizzato il concetto di “ignoranza consapevole” (che si contrappone a quello di “ignoranza inconsapevole e presuntuosa”): sapere di non sapere e, per questo, tenere aperte le domande, invece di cercare certezze immediate. Carofiglio prova a scardinare l’idea che sbagliare equivalga a fallire definitivamente. Proprio quando le cose non vanno come previsto, potrebbe nascere il tentativo ragionato di migliorare, magari prendendo una diversa direzione.
Nel suo percorso logico-argomentativo, l’autore chiama in causa filosofi come Machiavelli e Montaigne, ma anche figure come Mike Tyson e Roger Federer, al fine di mostrare come l’errore sia strutturale all’apprendimento, anche in ambiti come lo sport. “Accettare l’idea che sbagliare non è una catastrofe ma un passaggio fondamentale dell’evoluzione! rappresenta !una forma di armistizio con noi stessi. Un modo per diventare persone migliori!. Anche per questo Elogio dell’ignoranza e dell’errore è un libro da leggere a Natale.
Vitalba Azzollini, fellow IBL
Pierre Boileau e Thomas Marcejeac, La donna che visse due volte (Adelphi, 2016 [1954])
Se Alfred Hitchcock non ne avesse tratto uno dei suoi thriller più riusciti, forse La donna che visse due volte, il romanzo di Boileau e Marcejeac, non avrebbe avuto il successo che ha avuto. Il volto di James Stewart e il corpo di Kim Novak sono entrati ormai a far parte del romanzo, al pari delle vertigini del protagonista.
Bisogna anche dire però che Vertigo, questo il titolo che Hichcock diede al suo ineguagliabile film, ha oscurato un aspetto del romanzo che, specialmente oggi, mi sembra particolarmente significativo: l’ambientazione. Come tutti sanno, il film è ambientato negli anni Cinquanta, mentre il romanzo è ambientato nel 1940, a Parigi, poco prima dell’invasione tedesca.
Ebbene, a rileggere oggi La donna che visse due volte, ho come l’impressione che le vertigini e l’ossessione amorosa di Flaviéres per Madeleine, la donna morta, siano anche una metafora inquietante della precarietà, dell’angoscia, del trauma della guerra. La cosa ovviamente non viene mai detta espressamente, se lo dico qui è di sicuro perché proietto nel romanzo le paure del nostro oggi, ma sta di fatto che non riesco a non pensare che la guerra sia il vero regista nascosto, l’artefice della trama e del destino dei personaggi del romanzo. Non è soltanto l’identità di Flaviéres che vacilla sospesa nel vuoto, ma anche quella di un’intera civiltà.
Sergio Belardinelli, membro del comitato editoriale di IBL Libri
Federico Rampini, Grazie, Occidente! Tutto il bene che abbiamo fatto (Mondadori, 2024)
Leggere uno dei saggi più venduti in Italia nel corso dell’anno e ritrovare, al suo interno, le migliori argomentazioni a sostegno dell’economia di mercato (chiamata dall’autore con il suo nome: capitalismo!) è stata una sorpresa a dir poco soddisfacente.
Il libro nasce dallo sforzo, ben riuscito, di mettere insieme molti fatti recenti, alcuni antefatti significativi pescati nella storia contemporanea e una buona dose della migliore saggistica internazionale per squarciare il velo di ipocrisia con cui noi occidentali ci ostiniamo ad avvolgere il discorso pubblico nei nostri paesi. Questi stessi ingredienti offrono numerosi spunti di approfondimento su temi come scienza, energia, geopolitica e che possono risultare nuovi anche a frequentatori assidui del pensiero liberale. E nonostante lo scopo sia esposto con chiarezza, nel susseguirsi dei capitoli, ciò non impedisce all’autore di tenere separati i fatti dalle opinioni, accompagnando il lettore con uno stile giornalistico chiaro e apprezzabile da varie fasce di pubblico. Proponendo inoltre riflessioni da esperienze in diverse aree del mondo (dagli Stati Uniti alla Cina, dall’Est Europa all’Africa), il giornalista e già giovane comunista Rampini parla tra le righe di come è maturato il proprio sguardo sull’economia di mercato, per poi analizzare con lucidità quei meccanismi che operano oggi nell’informazione, con l’effetto di acuire la crisi di coscienza dell’Occidente.
Un libro che rinnova l’invito a non smettere di argomentare a favore della libera iniziativa e a farlo con ottimismo, soprattutto quando i propri interlocutori scalciano la palla verso contesti o paesi che “copiano il modello Occidentale e, aldilà della retorica, non si sognerebbero mai di rinunciarvi”.
Enzo Cartaregia, già responsabile comunicazione IBL
Jon Fosse, L’altro nome. Settologia vol. 1-2; Io è un altro. Settologia vol. 3-5; Un nuovo nome. Settologia vol. 6-7 (La nave di Teseo, 2021-2024 [2019-2021])
Jon Fosse ha ricevuto il Nobel per la letteratura nel 2023 “per le sue opere teatrali e la sua prosa innovative, che danno voce all’indicibile”. Raccontare la trama e i personaggi della Settologia sarebbe semplice – la prima è esile, i secondi pochi – molto più difficile è restituire ciò che trasmettono le sue novecento pagine e la portata del romanzo. Non è un errore tipografico: nei tre volumi non ci sono punti, il testo scorre come un’unica frase interrotta soltanto dai dialoghi. Il linguaggio è semplice, le ripetizioni frequenti. Potrebbe sembrare una scrittura sciatta, e invece non lo è affatto.
Come nei libri di Thomas Bernhard, anche qui si viene risucchiati in una spirale: la prosa avvolge, trascina, e lentamente ci fa entrare nel mondo raccontato, il mondo del pittore Asle. Ci si muove dentro i suoi pensieri, le sue preghiere, i suoi gesti quotidiani, il suo passato e le sue visioni. Il romanzo è più una lunga descrizione che una narrazione nel senso tradizionale del termine, un flusso che segue il ritmo della sua mente. L’unità di tempo e di luogo viene continuamente infranta: passato e presente scorrono insieme, si compenetrano; lo stesso accade tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
La costa occidentale della Norvegia fa da sfondo alla storia; le riflessioni di Asle spaziano dal ruolo dell’arte a quello della religione, e dal susseguirsi delle pagine emerge la complessità dell’esistenza: come spesso siano scelte casuali e soprattutto incontri imprevisti a determinare la direzione – e la fortuna – delle nostre vite.
Filippo Cavazzoni, direttore editoriale IBL
Miljenko Jergović, Le Marlboro di Sarajevo (Bottega Errante Edizioni, 2025 [1994])
In tempi nei quali il capo di stato maggiore dell’esercito francese ci invita a esser pronti a perdere i nostri figli in una prossima guerra con la Russia, è il caso di riflettere su cosa la guerra in effetti sia. Certo, sui libri di storia; e certo guardando le immagini che ci arrivano sempre più copiose dai luoghi nei quali la guerra c’è. Ma, soprattutto, sui testi letterari, unici in grado di distillare l’essenza della vita e della morte.
Miljenko Jergović ha scritto questi racconti brevi mentre Sarajevo era assediata. E rende la tragedia della guerra attraverso le vicende, la vita e la morte, di “persone normali”, o addirittura di “cose” (memorabile il racconto di apertura sulla morte di un cactus nano). Ci sono gli eroi, e ci sono i crimini efferati, ma “la guerra prevede oltretutto l’esercizio a una morte senza tristezza”. Anche il caffè sa di sale, perché “le lacrime possono scorrerti dentro”. Quando un figlio va a prendere l’acqua – a Sarajevo durante l’assedio mancava pure quella – occorre “predisporsi ad accogliere l’estraneo che arriva, ti guarda, si gratta la nuca e dice che la granata è caduta giusto accanto all’acqua, lì dove stava il ragazzo, e che una scheggia microscopica e apparentemente inoffensiva è finita fuori di ogni logica proprio là dove non doveva finire….”.
Ci sono aggressori e aggrediti. Ma, alla fine, “la Verità suonerà offensiva, se mai qualcuno vorrà dirla, per i serbi, per i croati e per i musulmani. I primi hanno istigato e messo in atto il crimine, gli altri, nella loro disgrazia, hanno creduto di essere nel giusto e di dover pensare e agire come i primi”. Nella prefazione Claudio Magris definisce Jergović uno scrittore epico, ma il cui respiro epico diventa breve e interrotto, “non descrive una vita intera… bensì i cinque minuti … in cui una vita si condensa e si spezza”. Insomma, grande letteratura.
Natale D’Amico, membro del comitato di indirizzo IBL
Philipp Bagus, L’era di Milei. La nuova frontiera argentina (IBL Libri, 2025 [2024])
Ne L’era di Milei l’economista tedesco di formazione austriaca Philipp Bagus ripercorre l’agenda di governo del presidente argentino Javier Milei a partire dall’analisi dell’impianto teorico che la ispira e la sostiene: un libertarismo radicale, saldamente ancorato alla tradizione della Scuola austriaca di economia e ai suoi princìpi cardine, dall’azione umana come assioma fondativo al metodo deduttivo e aprioristico come base epistemologica, fino al soggettivismo metodologico come chiave interpretativa dei fenomeni economici.
Bagus segue il percorso intellettuale di Milei attraverso gli autori che ne hanno maggiormente segnato la formazione – Ludwig von Mises, Friedrich Hayek, Hans Hermann-Hoppe, Jesús Huerta de Soto, tra gli altri –, fino a delinearne il profilo di primo capo di Stato apertamente e coerentemente libertario: non “un semplice riformatore liberale”, ma “un anarco-capitalista filosofico” (p. 215) in piena regola.
La traduzione italiana, curata da Guglielmo Piombini e arricchita dalla postfazione di Rainer Zitelmann, autore de La forza del capitalismo. Un viaggio nella storia recente di cinque continenti (2020) e di Elogio del capitalismo. Dieci miti da sfatare (2023), anch’essi pubblicati dallo stesso editore, testimonia l’attenzione costante di IBL Libri verso la circolazione di opere che contribuiscono a ripensare il liberalismo economico e il capitalismo nelle dinamiche politiche contemporanee.
La tempestiva traduzione risulta quantomai opportuna poiché, pur senza eludere l’aporia tra teoria e prassi, il libro si rivela uno strumento utile per chi voglia comprendere le potenzialità teoriche – e le sfide applicative – di un esperimento politico che tenta di tradurre un impianto dottrinario d’impronta radicale in programma politico. E dice molto, in controluce, sulla ricezione del libertarismo nell’America Latina contemporanea.
Arianna Liuti, redattrice di Lisander
Alexis de Tocqueville, Il pauperismo, a cura di Mario Tesini (Edizioni Lavoro, 1998)
Ci sono libri che uno rimpiange di non aver letto prima. La raccolta di scritti tocquevilliani intorno al tema del pauperismo, curata da uno dei più fini studiosi del pensatore francese, Mario Tesini, è tra questi.
Si tratta di un testo che si può ormai reperire solo nelle librerie antiquarie, ma la cui lettura è fondamentale non solo per comprendere le riflessioni di carattere economico di Tocqueville, ma soprattutto l’anima del suo liberalismo. Poche volte come in questo caso, è l’introduzione del curatore a valere da sola l’acquisto. Lo studioso bolognese mostra quanto il liberalismo di Tocqueville fosse distante da quello di liberali “integrali” come Charles Dunoyer o Frédéric Bastiat. Il suo, detto brutalmente, era meno ottimistico e più realista: influenzato da Jean-Baptiste Say ma pure dal più scettico Alban de Villeneuve-Bargemont.
Come osserva Tesini, l’attitudine “«”inconfondibilmente tocquevilliana”»”, cioè complessa e problematica nei riguardi dello sfaccettato mondo umano, emerge con nitore in tema di economia.
Carlo Marsonet, redattore di Lisander
Claudio Giunta, Il pop e la felicità. Esercizi di ammirazione (Mondadori, 2025)
Dal secondo dopoguerra, ovvero da quando è stata tecnicamente possibile, si è sviluppata una cultura di massa “sovrabbandonante, mutevolissima, estremamente diversificata e di qualità straordinariamente alta”. Di solito, l’intellettuale della cultura di massa pensa, o dice di pensare, esattamente il contrario (“io non ho la televisione”). Ogni tanto ne appare qualcuno che, prima di giudicare, legge, guarda e ascolta.
In questo libro Claudio Giunta vi racconta come Diego Abatantuono abbia improvvisato lui le sue battute migliori (“Sapete voi quale è dei romani, la città diciamo la più grassuttella?”), riflette sul perché I Soprano sono la più bella serie Tv di sempre, vi dimostra che la differenza abissale fra Battisti-Mogol e Battisti-Panella non è quella che pensate voi e vi spiega anche perché Who is Afraid of LIttle Old Me? è una canzone magnifica.
Leggetelo e, se siete fra i pirla che hanno tenuto comizi sul perché Bob Dylan non avrebbe mai dovuto vincere il Nobel, avrete di che pentirvi della vostra superficialità pseudo-colta.
Alberto Mingardi, direttore generale IBL
Evgenij Zamjatin, Noi (Mondadori, 2020 [1924])
Nel corso del Novecento, proprio durante il pieno dominio delle ideologie che promettevano il paradiso in terra, compare nella letteratura un fatto nuovo: il vecchio genere utopico di Platone, Moro, Bacone e Campanella subisce un completo rovesciamento. Davanti all’angosciante visione di un potere statale divenuto onnipotente, alcuni scrittori iniziano a porsi non il problema della costruzione dell’utopia, ma anzi di come evitarne la realizzazione. Dal genere utopico si passa quindi al genere distopico, generalmente ambientato in una utopia negativa dove la creazione della società perfetta ha prodotto il peggiore degli incubi.
Il primo dei grandi autori distopici del XX secolo è l’ingegnere russo Evgenij Zamjatin, che nel 1924 scrive Noi, un romanzo ambientato in una società totalitaria del futuro che fisserà i canoni fondamentali di questo genere letterario. Zamjatin aveva accolto con entusiasmo la rivoluzione sovietica, ma ben presto iniziò a rendersi conto che Lenin e i suoi successori avevano messo in piedi un sistema di gran lunga più repressivo di quello zarista. Dall’osservazione di quanto avveniva in quegli anni attorno a lui nacque l’ambientazione del romanzo, che si svolge nel 2500 in un mondo dominato da un immenso Stato comunista completamente chiuso verso l’esterno, retto da un Benefattore (nella cui figura è facile individuare quella di Stalin), la cui ideologia ufficiale è una mistura esasperata di positivismo scientifico, collettivismo e utilitarismo.
Il potere del governo sui cittadini è totale, e la libertà individuale è considerata sinonimo di delinquenza. Il protagonista, il cui nome è D-503, racconta le sue vicissitudini in un diario che testimonia, pagina dopo pagina, la progressiva trasformazione di un numero in un essere umano, di un fedele propagandista degli ideali del regime in un ribelle. In questo sviluppo spirituale, Zamjatin descrive la nascita di un’anima, la genesi di un Io che si oppone al Noi. Il romanzo procurò ovviamente dei guai a Zamjatin, il quale riuscì a pubblicarlo all’estero dopo essere espatriato dall’Urss nel 1931.
Guglielmo Piombini, membro del comitato editoriale di IBL Libri
Jonathan H. Adler (a cura di), Climate Liberalism: Perspectives on Liberty, Property and Pollution (Palgrave Macmillan, 2023)
“Il più grande fallimento del mercato che il mondo abbia mai visto”. Così, qualche anno fa, Sir Nicholas Stern, autore della celebre Review on the Economics of Climate Change, definiva il cambiamento climatico. La sua analisi è tra le più pessimistiche tra quelle pubblicate finora e i risultati dipendono crucialmente dall’adozione di scenari estremi e di un tasso di sconto temporale vicino allo zero.
Che si tratti però di un caso assai difficile da trattare nella prospettiva del liberalismo classico è indubbio e, forse, è anche per questo che chi è contrario a qualsiasi intervento pubblico spesso tenda a negare l’esistenza del problema o a considerarlo comunque di rilevanza marginale e tale da non rendere auspicabile qualunque intervento di riduzione delle emissioni. Che fare, dunque?
A partire dalla constatazione che finora i pensatori liberali classici hanno finora dedicato poca attenzione ai problemi di inquinamento più difficili da affrontare e in particolare al cambiamento climatico, prova a rispondere all’interrogativo questo volume a cura di J. H. Adler.
L’approccio liberale classico è una strada perseguibile nel caso del cambiamento climatico? Alcuni autori suggeriscono di esplorare la strada dell’aggregazione degli interessi in modo che i conflitti possano essere risolti attraverso il sistema giudiziario. Altri sono scettici e ritengono siano inevitabili alcune misure regolatorie con preferenza per la carbon tax che, certo, non è un prezzo che emerge da uno scambio volontario, non è risolutiva in termini di compensazione dei danni ma, forse, è la peggior politica possibile, fatta eccezione per tutte le altre.
Francesco Ramella, fellow IBL
















