3
Mag
2012

Chi vince (e chi perde) al gioco del lotto unico? – di Ivan Beltramba

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Ivan Beltramba.

La Commissione UE vorrebbe che i servizi di trasporto pubblico sia su gomma che su ferro venissero affidati con procedure ad evidenza pubblica, con pubblicazione sulla GUCE (principalmente le Direttive UE 2004/17 e 18, il Regol UE 1370/2007, cd. Settori “speciali” ex –“esclusi”).

Come spesso succede, ogni stato membro “interpreta” queste prescrizioni a proprio modo. In Italia, la materia è demandata agli Enti concedenti il servizio: Regioni (e Province Autonome) per i servizi ferroviari e Regioni/Province/Comuni per i servizi autofilotranviari ed eventuali metropolitane, con ampia facoltà di scelta delle procedure, fino all’affidamento “in house”.

Quest’ultima via è quella intrapresa anche dal Governo per i cosiddetti “Servizi Ferroviari Universali” del suo Contratto di Servizio, cioè gran parte degli InterCity diurni e tutti gli Espressi notturni che circolavano sulla rete italiana. Di fatto, dal cambio di orario del 11 dicembre 2011, sono scomparsi. Se dovete essere la mattina in qualche posto a molte centinaia di km di distanza da casa e volete a tutti i costi andarci in treno (masochisti!), dovrete partire il pomeriggio precedente e dormire in albergo. E probabilmente dovrete anche utilizzare un Freccia Rossa/Bianca/Argento e cambiare treno, mentre prima potevate partire con comodo la sera e passare la notte in treno in cuccetta o (meglio) Carrozza Letti.

Sul lato dei servizi ferroviari “locali” sono finora poche le Regioni che hanno bandito gare per l’affidamento dei Servizi Ferroviari di loro competenza. Ed ancora meno quelle che hanno visto la gara “popolata” e poi hanno sottoscritto un Contratto di Servizio, guarda caso sempre con la presenza dell’incumbent Trenitalia, eventualmente in ATI con altre Imprese Ferroviarie. Certo con i tagli che il governo Berlusconi III ha fatto (in totale 2,2 MILIARDI, poi in parte ripromessi con successivi provvedimenti “una tantum” ma mai erogati), la certezza delle risorse per onorare un Contratto è stata gravemente compromessa. È il paradossale risultato del DLgs 422/97 “Burlando” che ha trasferito alle Regioni tutte le competenze in tale ambito, senza garantire perlomeno una costanza di risorse, figurarsi l’adeguamento inflattivo, timidamente tentato dal Governo Prodi II. In ogni caso, per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la riduzione dei servizi affidati a Trenitalia potrebbe portare a licenziamenti, giacché il contratto dei ferrovieri non contempla la Cassa Integrazione. Molte ditte appaltatrici di servizi del gruppo FS hanno già recapitato a casa dei malcapitati le lettere di licenziamento con le conseguenti spettacolari proteste.

Però, anche volendo procedere alle gare “senza se e senza ma” come le ultime manovrine di Tremonti (e la prima di Monti art. 37, quasi contraddetto dal 47) sembrano riproporre, ci si imbatte subito in un ostacolo quasi insormontabile: la proprietà dei veicoli. Infatti per fare i servizi ferroviari ci vogliono i treni, che non si trovano dal concessionario sottocasa. Se l’aspirante aggiudicatario ha alle spalle qualche grossa Banca, potrà comprarli o prenderli in leasing, sempreché la durata del Contratto, i relativi corrispettivi e le tariffe praticate all’utenza siano tali da garantirgli l’ammortamento ed un minimo margine di guadagno.

Per darvi un’idea: le locomotive E464 costano circa 3 milioni l’una, le nuove carrozze a due piani (125 posti a sedere) 1 milione l’una e la pilota (100 posti) 1,5 milioni. Quindi un treno reversibile da 4 carrozze e 475 posti a sedere richiede almeno 7,5 milioni. E arriva tra 1 anno e mezzo, se il fornitore delle carrozze non va in crisi di liquidità e vi accodate a forniture in corso in Italia per non avere problemi di omologazione. Altrimenti aggiungere un altro anno, anche se i veicoli circolano già da tempo all’estero, alla faccia della “Cross-Acceptance” tanto sbandierata dalla Commissione UE. Sul mercato dell’usato tabula rasa. Trenitalia pur di non lasciare niente per potenziali concorrenti ultimamente non solo accantona il materiale inutilizzato e lo radia dal parco mezzi, ma dopo pochi giorni lo vende ai demolitori che immediatamente accendono il cannello da taglio e passano alle vie di fatto. E questo accade anche a costo di rimanere a corto di materiale per le proprie esigenze ed effettuare in trazione diesel treni che circolano completamente su linee elettrificate o non onorare le richieste di servizi aggiuntivi previste dai Contratti di Servizio.

Per permettere ai nuovi entranti di essere “competitivi” ci sono varie strade: la più semplice è quella di bandire lotti di dimensioni medio-piccole in tempi ben distanziati e per periodi base di almeno 9 anni con proroga per altri 6, per consentire a chi avesse perso una prima gara di ritentare su una seconda ricalibrando l’offerta e senza dover vendere i veicoli eventualmente già acquistati. Così si era avviata a fare la Regione Piemonte nel 2009, dopo il fallimento delle trattative dirette con il “Gruppo FS Italiane”, finite a quanto pare a male parole.

Il “Gruppo FS Italiane” infatti propone a testa bassa il cosiddetto “catalogo”, un malloppone di tabelle e dati quasi incomprensibile (pare che per farlo andare ci voglia un software apposta, come per i pedaggi …) che prevede corrispettivi differenziati per linea, ora del giorno, giorno della settimana e numero di posti offerti, e praticamente senza penali in caso di disservizi. Il catalogo, analogamente ai pedaggi che RFI incamera dalle Imprese Ferroviarie, viene annualmente ed inesorabilmente adeguato al tasso di inflazione reale. Illuminante un messaggio di un funzionario regionale al riguardo:

“(…omissis …)

Trenitalia ci ha prospettato la puntuale applicazione del Catalogo a tutti i treni costituenti il servizio ferroviario regionale. Pur essendo noti ormai da tempo i criteri su cui è impostato il Catalogo (acquisto non dei “singoli treni” ma dei “turni”; categorie del materiale in funzione della sua capacità; maggiorazioni per servizi: notturni, festivi, svolti con materiale nuovo, con bassi indici di affollamento; eccetera) la sua applicazione ci ha fortemente lasciati perplessi, ovviamente per le conseguenze economiche che essa ha avuto.

Da un primo controllo a campione, sui turni ritenuti più significativi, è emerso che solo in minima parte il materiale utilizzato è adeguatamente dimensionato alla effettiva domanda che deve essere soddisfatta nei singoli servizi; questa situazione per alcuni aspetti ovvia (…omissis…) ha però comportato una valutazione di costi sensibilmente maggiore, anche del 20%-25% , rispetto a quelli che si avrebbero utilizzando materiali più adatti alla domanda (leggi più piccoli).

Si ricordi, in più, che essendo le maggiorazioni espresse sotto forma di percentuale applicata al prezzo base, tanto maggiore è quest’ultimo tanto lo sono, in termini assoluti, le maggiorazioni stesse.

Al danno – pagare un treno grande quando non serve – si è poi aggiunta la beffa di vedersi attribuite delle maggiorazioni per scarso affollamento (posti occupati < 20%) anche lì dove non era tanto la domanda ad essere scarsa ma il materiale evidentemente non idoneo!!! Le sole maggiorazioni per lo scarso affollamento sono risultate incidere, nei casi esaminati, fino al 2%-3% del costo totale per il turno così come quantificato da Trenitalia.

Informo che poi non sono mancate anche le situazioni, non evidenziate da Trenitalia (!), in cui viceversa si è rilevato che il materiale con cui veniva svolto un determinato turno si dimostrava insufficiente rispetto a taluni servizi, caratterizzati da alte frequentazioni, compresi in detto turno.

Alla ns. richiesta di riduzione o di non applicazione delle maggiorazioni (in particolare quelle sullo scarso affollamento) che non fossero diretta conseguenza di esplicite richieste della regione ma che dipendessero, viceversa, unicamente dalle scelte industriali di Trenitalia nella predisposizione dei turni, Trenitalia ha opposto un netto rifiuto appellandosi ad una applicazione “rigorosa” del Catalogo la cui metodologia era non solo da tempo nota ma anche, a loro dire, formalmente accettata da tutte le regioni (!!! … e quando mai ??) .

Alla ns. richiesta , a quel punto, di rivedere i turni e riformularli secondo le prescrizioni regionali ovvero in maniera tale da mettere (il più possibile) in turno materiali “adeguati” alla domanda ci si è sentiti rispondere che “i turni sono già quelli ottimali e non sono migliorabili”, che i vincoli rappresentati “dalla composizione della flotta a disposizione, dalla distribuzione dei siti di sosta, dai tempi massimi di stazionamento o dalle possibilità di manovra nelle singole stazioni” non erano superabili: insomma era impossibile pensare qualcos’altro ovvero qualcos’altro che costasse meno (sia dal punto di vista di Trenitalia che dell’acquirente).

Abbiamo sentito anche affermazioni paradossali secondo le quali anche disponendo di materiale aggiuntivo e nuovo (… omissis…) “il costo dei turni non può diminuire anzi può solo aumentare” e che, qualora, in una eventualmente diversa organizzazione dei turni fossero necessari degli “invii a vuoto”, dovrebbero essere posti in carico alla Regione oppure, in alternativa, dovrebbero essere trasformati in treni in orario anche se assolutamente non giustificati da considerazioni di mercato. (omissis)”.

Altro aspetto preoccupante, come spesso dimostrato dalle cronache di stampa e televisione, è il controllo di quantità e qualità del Servizio erogato. Alcune Regioni si fidano ciecamente delle autocertificazioni dei Gestori, altre (poche) effettuano periodicamente scrupolose campagne di monitoraggio e/o hanno creato propri nuclei ispettivi. Però se le “sanzioni” irrogate al gestore del servizio sono di solo di qualche punto percentuale sul totale dei corrispettivi annuali, non costituiscono un vero “incentivo” a fare bene. Se poi tali “multe” vengono sistematicamente regalate agli abbonati (magari poco prima delle elezioni…, e perché solo agli abbonati? Anche gli altri han patito disservizi) non servono proprio a niente, perché i disservizi continuano. Un meccanismo sanzionatorio efficace dovrebbe poter arrivare anche al 10% del corrispettivo e, per costituire un ulteriore dissuasione, essere utilizzato per acquistare materiale rotabile da mettere sì a disposizione del gestore (in comodato d’uso!), ma in modo che in caso di gara resti alla Regione e passi poi al nuovo affidatario.

La amministrazione piemontese fortunosamente uscita dalle elezioni del 2010 ha azzerato tutte le gare, con una mossa di difficile comprensibilità. Alcune Imprese Ferroviarie europee avevano infatti già pubblicato bandi per raccogliere “manifestazioni di interesse” dei costruttori per la fornitura di materiale rotabile omologabile in Italia. Quindi l’intenzione di partecipare non solo formalmente c’era.

Una via più complessa ma nel contempo di più probabile successo è che la Regione (attraverso una “società di scopo” per scaricare l’IVA …) acquisti il materiale rotabile che viene poi messo a disposizione del vincitore/affidatario in vario modo, si può andare dal comodato d’uso al noleggio fino al leasing, ricalcando in un certo modo quanto fatto in Gran Bretagna nella seconda metà degli Anni Novanta con le “ROSCO”. Questa opzione viene praticata dalla Provincia Autonoma di Bolzano ed in parte da quella di Trento (per ora con affidamento diretto sia a SAD che a Trenitalia). Ovviamente sarebbe stato tutto più facile se, seguendo l’esempio britannico, il materiale rotabile acquistato da FS con il denaro del contribuente quando era ancora “Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato” e nei primi tempi da SpA, fosse stato trasferito con il DLgs 422/97 alle Regioni insieme alle competenze amministrative sui servizi, con obbligo di metterlo a disposizione in comodato d’uso ai vincitori delle gare.

Ma c’è una ulteriore complicazione: molte Regioni sono proprietarie di Imprese Ferroviarie (e di Reti Ferroviarie) e per “proteggerle” in caso di gara ricorrono ad alcune “varianti creative”. Alcune proseguono con gli affidamenti diretti, altre ricorrono al “lotto unico” spingendo la propria Impresa ad associarsi a Trenitalia per svolgere i servizi congiuntamente (spesso lo fa già in subaffidamento) oppure promuovono la costituzione di società miste cui poi affidano i servizi direttamente. Va da sé che il “protezionismo” nei confronti delle “proprie aziende” riguarda in realtà solo gli amministratori (di nomina politico-partitica) ed i dirigenti (anche qui si insinuano dei “non tecnici”), dato che i dipendenti non-dirigenti sono protetti dal Codice Civile per i casi di subentro di impresa. Nessuna Impresa Ferroviaria dispone infatti delle centinaia di dipendenti abilitati alle mansioni richieste in campo ferroviario e quindi un subentrante non potrà fare altro che assumere i dipendenti del cessante; questa eventualità è stata prevista espressamente in alcuni bandi di gara, proprio per non creare preoccupazioni ai dipendenti con le conseguenti azioni di protesta o ritorsione.

Una terza via che nessuno ha ancora praticato, anche se sembra che ci abbiano almeno pensato, è l’affidamento con gara di uno o più lotti “con basso contributo” per quei servizi con notevoli introiti tariffari: il contributo serve per poter applicare sanzioni, che nel caso di affidamento “senza contributo” sarebbero inesigibili. Trenitalia negherà anche sotto tortura che esistano, ma una discreta fetta di treni, quelli che un tempo erano gli “Interregionali” ed adesso “Regionali Veloci”, hanno una forte percentuale di utenza con biglietto di corsa semplice (anche oltre il 50%) per cui lavorano in pareggio o addirittura con lievi guadagni. In epoca di risorse incerte sarebbe un modo per sganciare una grossa fetta di servizi dal contributo regionale ed avviare il marketing dell’Impresa aggiudicataria. Per i servizi “a contributo”, invece, i lotti potrebbero essere dimensionati in modo da agevolare comunque un ottimale impiego delle risorse, indipendentemente da chi ne fosse il gestore.

Una occasione d’oro sarebbe il “Regolamento di attuazione dell’art. 4, comma 33-ter, della legge 148/2011”, peccato che la bozza circolata finora e quindi da prendere con le molle abbia più di qualche aspetto discutibile, a cominciare dal non tenere conto delle novelle legislative intervenute, tra cui la legge di stabilità 2012, il DL “liberalizzazioni” e il “milleproroghe”. Da verificare anche la compatibilità con il federalismo fiscale. Ma la bozza di cui sopra prescrive una serie di adempimenti burocratici laboriosissimi, molto costosi e di dubbia utilità/efficacia e gli indicatori proposti, che in qualche caso sono molto grossolani, non tengono conto della qualità erogata dei servizi: non c’è nessun indice di affollamento e nessun criterio di pesatura delle ore di punta (la puntualità nella morbida è facile da ottenere e “fa media” con quella mediocre della punta… la temibile media del mezzo pollo). Una serie di dati da considerare poi fanno parte del “segreto industriale” dei gestori attuali, che difficilmente lo spiffereranno ai potenziali concorrenti. Inoltre per poter realmente bandire piccoli lotti, dovrebbe essere disinnescato il meccanismo “a tenaglia” del D.Lgs. 422/97 laddove prescrive un rapporto ricavi/costi non inferiore al 35%, irraggiungibile per almeno il 75% delle linee ferroviarie, sia servite da Trenitalia che Regionali, dato che attraversano territori poco popolati: un’altra strage di ferrovie in arrivo per Decreto? Non dimentichiamo che una ferrovia ben gestita garantisce velocità commerciali sui 50-60 km/h, mentre una autolinea difficilmente supera i 30 km/h, soprattutto nella punta mattinale dove si fa fatica a tenere i 25.

Fin qui la teoria. Nella realtà dei fatti, però, “l’insostenibile” esigenza di proteggere le aziende di proprietà Regionale indirizza alcune Amministrazioni verso le gare “a lotto unico”, che potrebbe a prima vista essere un pericolo per le “piccole alleate” di Trenitalia, ma questa non è di solito in grado di assorbire i servizi sulle Reti Regionali, sia per la quantità di personale da assumere (che da contratto “autoferro” passerebbe a “ferrovieri” = 20% ca. di costo in più), sia per i veicoli da utilizzare, sia per le abilitazioni USTIF che il personale su rete regionale deve possedere.

La probabilità che con gare a grandi lotti o a “lotto unico” il vincitore sia chi il servizio lo aveva già è a ben guardare il rischio minore. Infatti l’incumbent, forte delle asimmetrie informative e della struttura organizzativa di cui dispone, potrebbe non presentare offerta e riproporre il CATALOGO, con il conseguente braccio di ferro monopolio-monopsonio di cui fanno alla fine le spese i contribuenti e gli utenti.

Purtroppo l’incertezza delle risorse e l’attuale meccanismo di copertura dei costi dei servizi, prevalentemente affidato al denaro del contribuente e quasi “a piè di lista” come all’epoca della gestione ferroviaria statale o, per chi lo ricorda, del Fondo Nazionale Trasporti per la gomma urbana ed extraurbana, non aiuta a sbloccare la situazione. Se però gli introiti tariffari coprissero percentuali significative del costo come è in alcune zone del Centro-Nord-Europa dove si arriva al 65% (con punte dell’85%), l’atteggiamento dei “competitors”, oltre a quello degli enti concedenti, potrebbe cambiare in modo sorprendente. Per ottenere questo le tariffe di corsa semplice dovrebbero essere più remunerative di oggi e non rientrare nel cosiddetto “paniere” di calcolo dell’inflazione dove invece dovrebbe esserci SOLO l’abbonamento annuale, per premiare il cliente fedele.

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