16
Feb
2011

Vino, cereali, speculazione: la guerra al mercato di Sarkozy

Vorrei presentare alcune notizie che mi sembrano dare la misura di ciò che vedremo nel periodo di presidenza francese del G8 e G20 (Oscar Giannino aveva parlato di “colpo di stato”, e non mi sembra una definizione esagerata).

Prima notizia: alla fine di gennaio il presidente francese, in visita nella città alsaziana di Mittelhausen, ha dichiarato senza mezzi termini di essere assolutamente contrario alla liberalizzazione dei diritti di impianto dei vigneti, prevista a livello europeo per il 2014. Di più, ha definito l’ipotesi “une idée qui conduira à la catastrophe“.

Seconda notizia: il ministro dell’agricoltura francese, Bruno Le Maire, ha dichiarato che “se la crisi in atto proseguirà, dovremmo adottare misure per limitare le esportazioni e tenere in Francia le nostre giacenze di grano“, correggendo solo lievemente il tiro alcuni giorni dopo, puntualizzando che una decisione del genere dovrebbe essere presa dalla Commissione Europea.

Terza notiza (e questa non è una novità): a maggio, in occasione di una riunione dei ministri dell’agricoltura del G20 la Francia presenterà delle proposte “anti-speculazione”, con l’obiettivo di controllare meglio l’azione di chi investe sui futures senza avere legami diretti con l’agricoltura.

Quarta notizia (che non ha come oggetto l’azione del governo francese, ma spiega molte cose molto meglio di come tenta di fare il governo francese): è uscito il primo outlook del 2011 dell’International Grains Council, con le previsioni di produzioni e consumi di frumento e mais per l’annata agraria in corso.

Partiamo dall’ultima, e diamo un’occhiata a questa tabella:

Risulta evidente, in maniera fin troppo preoccupante, che la domanda di cereali è in aumento, mentre è in calo l’offerta. Ed è altrettanto evidente, se si confrontano anche le annate precedenti, che non è la prima volta che succede, e che già dopo il 2008 l’aumento di produzione che naturalmente ha seguito l’impennata dei prezzi è riuscita a colmare il gap tra domanda e offerta.

Perché dunque inseguire i fantasmi della speculazione? Altri, molto più titolati del sottoscritto a parlare di prodotti finanziari, hanno spiegato chiaramente che gli scambi tra futures sono sostanzialmente neutrali, in cui neanche un quintale di grano viene fisicamente accantonato. Possono svolgere casomai un efficace ruolo di indicatore delle tendenze di mercato: non dovrebbe stupire se di fronte a previsioni come quelle appena mostrate si intensificheranno le scommesse al rialzo, anche di fronte alle contromisure che i governi vorranno prendere alle loro frontiere e alle informazioni che tenteranno di fornire.

Anche in questa occasione, quindi, come in occasione delle recenti crisi del debito sovrano di alcuni paesi europei, la speculazione sembra venire tirata in ballo ed indicata come il nemico da battere, il capro espiatorio da gettare dalla rupe proprio perché in grado di fornire indicazioni corrette al mercato, proprio in presenza di politiche pubbliche fortemente distorsive.

Informazioni che non sembrano essere troppo gradite, nel  momento in cui grandi esportatori come la Francia ventilano l’ipotesi di bloccare le esportazioni (o di indurre la Commissione Europea a considerare questa opzione). Teniamo presente che la carenza di cereali provocata dal blocco delle esportazioni che la Russia ha messo in atto dopo che le siccità della scorsa stagione avevano compromesso gravemente i suoi raccolti è stata compensata proprio dalle scorte francesi, soprattutto verso i paesi del Nordafrica. Il messaggio al mondo, benché nascosto, rispetto all’opinione pubblica, dietro le accuse alla speculazione, è abbastanza chiaro: senza il grano francese sarebbe andata peggio. L’anno prossimo potrebbe andare peggio, se gli Stati riusciranno a regolamentare ancor di più la circolazione delle materie prime.

La cosa risulta ancora più preoccupante, in chiave europea, se si guarda alle ragioni che hanno provocato l’aumento dei prezzi. Non c’è stato solo il calo delle produzioni dovuto più che altro a fattori climatici contingenti e alle politiche agricole (anch’esse contingenti, benché demenziali, come gli incentivi per buttare le materie prime agricole nei digestori da biogas o nei serbatoi delle automobili, e, in Europa, la cosiddetta “remunerazione dei beni pubblici ambientali“). C’è stato anche, e sembra che continuerà ad esserci per molto ancora, l’aumento dei consumi asiatici, soprattutto cinesi.

La risposta francese, più che protezionistica, sembra essere addirittura autarchica, dato che proprio la domanda estera potrebbe essere la chiave per trainare l’agricoltura europea fuori dal pantano in cui stagna da anni. Dovrebbe preoccupare gli agricoltori, certo, ma anche i consumatori e i contribuenti, dato che i costi di una politica del genere da qualche parte andranno senz’altro scaricati: nel difendere l’indifendibile sistema dei diritti di impianto dei vigneti, che altra funzione non ha se non quella di proteggere le rendite di alcuni produttori inefficienti (e i loro prezzi) dalla concorrenza di produttori migliori e di prezzi migliori, a spese dei consumatori, Nicholas Sarkozy ha tracciato con precisione le coordinate della sua politica commerciale.

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1 Response

  1. Filippo Biscarini

    Articolo molto interessante, che mostra le opportunità economiche in agricoltura, se solo si tornasse a produrre di più e meglio, invece di abbandonare il terreno agricolo o usarlo per finalità diverse (energie rinnovabili, edilizia, ecc …).
    Se poi ci si mettessero anche le potenzialità delle biotecnologie in campo agricolo e, più in generale della ricerca agronomica tout court, ci potrebbe essere davvero un forte sviluppo in questo settore.

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