8
Lug
2014

Renzi e Padoan: su Calabria, Sicilia e Napoli che fate?

All’eurogruppo di ieri e all’ecofin di oggi è iniziato il difficile percorso del ministro Padoan, per dare un significato concreto a quella richiesta di “più flessibilità nei criteri Ue” che per Renzi è il simbolo stesso del semestre italiano di presidenza. Padoan è stato sincero dopo l’eurogruppo: il consenso c’è sui princìpi, ma quanto a come questi vadano declinati nell’esame delle riforme, paese per paese, tutto è ancora da costruire. Piena conferma è venuta da Schauble: l’intenzione di procedere a riforme è ottima cosa, ma non può essere scusa per evitare il consolidamentod ella finanza pubblica.

Decisamente è molto discutibile che Padoan abbia presentato il bonus 80 euro Irpef come un taglio strutturale al cuneo fiscale delle imprese, perché più l’Italia sarà disinvolta nel cambiare il nome alle cose, più sarà difficile costruire consensi e, magari, ottenere anche la guida dell’eurogruppo. Questa sarebbe una buona cosa, se la Mogherini come miss Pesc non ottenesse i consensi (i popolari europei hanno ipotecato l’incarico). Ma per non farsi dire no, visto che alla BCE c’è già un italiano, bisogna che il governo misuri bene parole e argomenti. (nota aggiunta pomeridiana: e che eviti assolutamente topiche ridicole come quella registrata oggi con Renzi che chiede di considerare gli investimenti per l’agenda digitale fuori dal patto di stabilità europeo, nelle stesse ore in cui a fine ecofin Padoan ribadisce che il patto non si tocca… la totale divergenza tra premier e ministro sul punto di fondo, quello su cui i partner europei misurano cvon diffidenza anche i sospiri dell’Italia e figuriamoci le parole, ottiene solo l’effetto di farci ridere dietro, altro che benefico storytelling)

In ogni caso, inutile oggi avventurarsi nelle scelte che al governo toccheranno nella prossima legge di stabilità, perché sarà su di essa che la nuova Commissione europea, a novembre, dovrà adottare o meno quella flessibilità che Renzi chiede. Allo stato, le attese di crescita dell’Italia nel 2014 restano sensibilmente inferiori alle previsioni governative, e ciò non fa tornare i conti. E’ vero che le entrate tributarie continuano a crescere – più 1,4% nei primi 5 mesi del 2014 – ma è altrettanto vero che, con un Pil che resta negativo o al più fermo a zero, tale trend rassicura forse i conti pubblici, ma continua a deprimere la crescita.

Prima della legge di stabilità, altre questioni di grande impatto sui conti pubblici possono e devono essere affrontate, se vogliamo che l’Europa sconti gli effetti di “riforme fatte” e non di “riforme annunciate”. Tre esempi concreti si ripropongono in questi giorni al Sud, proprio in quel Sud in cui la perdita di prodotto, reddito e credito è diventate sette volte maggiore che nel Nordovest, come ieri ha certificato Bankitalia. Sono esempi che impattano la spesa pubblica per miliardi. Chiamano in gioco modifiche alle regole costituzionali e istituzionali, su cui proprio ora i partiti si confrontano. E dovrebbero essere affrontati con lo stesso spirito di decisione e trasparenza – diamone atto a Padoan – con le quali si è deciso di aprire a tutti la consultazione del Siope, e dunque la comprensione in tempo reale di ogni pagamento degli 800 miliardi di spesa pubblica. Di quali esempi parliamo?

Il primo è la Calabria. Dimessosi il presidente Scopelliti dopo la condanna in primo grado a sei anni per abuso d’ufficio, il consiglio regionale ancora prova a restare abbarbicato ai suoi seggi, dopo una legge elettorale approvata in fretta e furia per impedire neoingressi ad altre formazioni. Ma se questa è la misera cronaca politica, è la finanza pubblica regionale ad apparire devastante. L’ispettore  del MEF Gaetano Mosella ha condensato in 247 pesantissime pagine osservazioni molto gravi sulle prassi seguite sotto le giunte Loiero e Scopelliti, dunque di sinistra e destra. Oltre mille dipendenti assunti illegittimamente, in violazione dell’obbligo di contenimento della spesa. Decine di migliaia, anno dopo anno, gli aumenti altrettanto illegittimi di stipendio ai dipendenti, applicati a tutti e in violazione del blocco generale degli scatti, e spesso anche retroattivi. Migliaia di promozioni illegittime, e illegittimi anche gli incarichi e le retribuzioni apicali, con punte fino a 735 mila euro l’anno nel 2013.

Il secondo esempio è quello della regione Sicilia. Che con il presidente Crocetta ha appena sottoscritto un accordo con il Tesoro. Dateci 500 milioni subito e rinunceremo fino al 2017 a ogni introito da precedenti contenziosi con lo Stato: si tratta di miliardi di euro, crediti inesigibili che sin qui figuravano tutti all’attivo di un bilancio patrimoniale regionale che da anni in termini contabili è un falso conclamato. Ma rispetto al quale nessuno ha mai fatto alcunché, in nome dell’autonomia speciale che è diventata sempre più scudo di inefficienza, clientelismo e distruzione di risorse (se avete dubbi leggete il libro di Pietrangelo Buttafuoco, Buttanissima Sicilia).

Il terzo esempio è quello di Napoli. Il sindaco De Magistris da ormai sei mesi si è attestato sulla linea del rifiuto delle conclusioni a cui è pervenuta la Corte dei Conti, che ha respinto come inaccoglibile il suo programma di rientro pluriennale dal deficit e debito comunale accumulatisi. Eppure, anche in questo caso il governo che cosa ha fatto? Nulla. Perché dovrebbero scattare le procedure di default, per le quali però il Consiglio comunale deve essere consenziente.

Conclusione. E’ nella riforma del Titolo V° della Costituzione di cui si discute oggi, che va scritta la soluzione al problema di miliardi di finanza pubblica locale totalmente fuori controllo. E’ un tema che pesa enormemente di più dell’immunità ai senatori, non elettivi o elettivi che siano. Eppure sull’immunità fioriscono tonnellate di dichiarazioni: alle procedure di default non una parola viene riservata.

Bisogna riprendere il filo da dove la Corte Costituzionale l’ha troncato. Perché è stata la Corte, con la sua sentenza 219-2013, ad aver abrogato quanto era stato disposto dal governo Monti in materia di controlli e sanzioni alle regioni e alle autonomie fuori controllo. E’ caduto così lo scioglimento dei Consigli regionali.E’ caduta l’incandidabilità per 10 anni dei presidenti di regione finite in default per dolo o colpa grave. E’ stato cassato persino l’obbligo di relazione di fine legislatura, per fissare nero su bianco le responsabilità finanziarie di ogni governo regionale uscente. Al di là delle ragioni tecniche addotte dalla Corte – si dava un eccesso di potere alla Corte dei Conti – quel che è arrivato al cittadino è che ancora una volta lo Stato da una parte annunciava controlli e lesine finalmente per sé, dall’altra le abrogava facendo marameo, non appena passati pochi mesi.

Il governo e il parlamento riscrivano meglio nel Titolo V° quelle misure, e fissino costi standard veri e rigorosi si cui misurare la finanza locale. La credibilità europea si guadagna anche così. Forse soprattutto così, visto che è al Sud che politica e pubblica amministrazione non sanno utlilizzare miliardi e miliardi di fondi europei.

All’eurogruppo di ieri e all’ecofin di oggi è iniziato il difficile percorso del ministro Padoan, per dare un significato concreto a quella richiesta di “più flessibilità nei criteri Ue” che per Renzi è il simbolo stesso del semestre italiano di presidenza. Padoan è stato sincero dopo l’eurogruppo: il consenso c’è sui princìpi, ma quanto a come questi vadano declinati nell’esame delle riforme, paese per paese, tutto è ancora da costruire.

Decisamente è stato discutibile presentare il bonus 80 euro irpef come un taglio strutturale al cuneo fiscale delle imprese, perché più l’Italia sarà disinvolta nel cambiare il nome alle cose, più sarà difficile costruire consensi e, magari, ottenere anche la guida dell’eurogruppo. Questa sarebbe una buona cosa, se la Mogherini come miss Pesc non ottenesse i consensi (i popolari europei hanno ipotecato l’incarico). Ma per non farsi dire no, visto che alla BCE c’è già un italiano, bisogna che il governo misuri bene parole e argomenti.

In ogni caso, inutile oggi avventurarsi nelle scelte che al governo toccheranno nella prossima legge di stabilità, perché sarà su di essa che la nuova Commissione europea, a novembre, dovrà adottare o meno quella flessibilità che Renzi chiede. Allo stato, le attese di crescita dell’Italia nel 2014 restano sensibilmente inferiori alle previsioni governative, e ciò non fa tornare i conti. E’ vero che le entrate tributarie continuano a crescere – più 1,4% nei primi 5 mesi del 2014 – ma è altrettanto vero che, con un Pil che resta negativo o al più fermo a zero, tale trend rassicura forse i conti pubblici, ma continua a deprimere la crescita.

Prima della legge di stabilità, altre questioni di grande impatto sui conti pubblici possono e devono essere affrontate, se vogliamo che l’Europa sconti gli effetti di “riforme fatte” e non di “riforme annunciate”. Tre esempi concreti si ripropongono in questi giorni al Sud, proprio in quel Sud in cui la perdita di prodotto, reddito e credito è diventate sette volte maggiore che nel Nordovest, come ieri ha certificato Bankitalia. Sono esempi che impattano la spesa pubblica per miliardi. Chiamano in gioco modifiche alle regole costituzionali e istituzionali, su cui proprio ora i partiti si confrontano. E dovrebbero essere affrontati con lo stesso spirito di decisione e trasparenza – diamone atto a Padoan – con le quali come ha scritto il Messaggero si è deciso di aprire a tutti la consultazione del Siope, e dunque la comprensione in tempo reale di ogni pagamento degli 800 miliardi di spesa pubblica. Di quali esempi parliamo?

Il primo è la Calabria. Dimessosi il presidente Scopelliti dopo la condanna in primo grado a sei anni per abuso d’ufficio, il consiglio regionale ancora prova a restare abbarbicato ai suoi seggi, dopo una legge elettorale approvata in fretta e furia per impedire neoingressi ad altre formazioni. Ma se questa è la misera cronaca politica, è la finanza pubblica regionale ad apparire devastante. L’ispettore del MEF Gaetano Mosella  ha condensato in 247 pesantissime pagine osservazioni molto gravi sulle prassi seguite sotto le giunte Loiero e Scopelliti, dunque di sinistra e destra. Oltre mille dipendenti assunti illegittimamente, in violazione dell’obbligo di contenimento della spesa. Decine di migliaia, anno dopo anno, gli aumenti altrettanto illegittimi di stipendio ai dipendenti, applicati a tutti e in violazione del blocco generale degli scatti, e spesso anche retroattivi. Migliaia di promozioni illegittime, e illegittimi anche gli incarichi e le retribuzioni apicali, con punte fino a 735 mila euro l’anno nel 2013.

Il secondo esempio è quello della regione Sicilia. Che con il presidente Crocetta ha appena sottoscritto un accordo con il Tesoro. Dateci 500 milioni subito e rinunceremo fino al 2017 a ogni introito da precedenti contenziosi con lo Stato: si tratta di miliardi di euro, crediti inesigibili che sin qui figuravano tutti all’attivo di un bilancio patrimoniale regionale che da anni in termini contabili è un falso conclamato. Ma rispetto al quale nessuno ha mai fatto alcunché, in nome dell’autonomia speciale che è diventata sempre più scudo di inefficienza, clientelismo e distruzione di risorse (se avete dubbi leggete il libro di Pietrangelo Buttafuoco, Buttanissima Sicilia).

Il terzo esempio è quello di Napoli. Il sindaco De Magistris da ormai sei mesi si è attestato sulla linea del rifiuto delle conclusioni a cui è pervenuta la Corte dei Conti, che ha respinto come inaccoglibile il suo programma di rientro pluriennale dal deficit e debito comunale accumulatisi. Eppure, anche in questo caso il governo che cosa ha fatto? Nulla. Perché dovrebbero scattare le procedure di default, per le quali però il Consiglio comunale deve essere consenziente.

Conclusione. E’ nella riforma del Titolo V° della Costituzione di cui si discute oggi, che va scritta la soluzione al problema di miliardi di finanza pubblica locale totalmente fuori controllo. E’ un tema che pesa di più della stessa immunità ai senatori, non elettivi o elettivi che siano. Eppure sull’immunità fioriscono tonnellate di dichiarazioni: alle procedure di default non una parola viene riservata.

Bisogna riprendere il filo da dove la Corte Costituzionale l’ha troncato. Perché è stata la Corte, con la sua sentenza 219-2013, ad aver abrogato quanto era stato disposto dal governo Monti in materia di controlli e sanzioni alle regioni e alle autonomie fuori controllo. E’ caduto così lo scioglimento dei Consigli regionali.E’ caduta l’incandidabilità per 10 anni dei presidenti di regione finite in default per dolo o colpa grave. E’ stato cassato persino l’obbligo di relazione di fine legislatura, per fissare nero su bianco le responsabilità finanziarie di ogni governo regionale uscente. Al di là delle ragioni tecniche addotte dalla Corte – si dava un eccesso di potere alla Corte dei Conti – quel che è arrivato al cittadino è che ancora una volta lo Stato da una parte annunciava controlli e lesine finalmente per sé, dall’altra le abrogava facendo marameo, non appena passati pochi mesi.

Il governo riscriva meglio nel Titolo V° quelle misure, e fissi costi standard veri e rigorosi si cui misurare la finanza locale. La credibilità europea si guadagna anche così. Forse soprattutto così, visto che è al Sud che politica e pubblica amministrazione non sanno utlilizzare miliardi e miliardi di fondi europei.

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1 Response

  1. MARCO

    credo che sia attendibile anche se marginale
    l’accountability sta in una sana meritocrazia che talora premia ma sempre punisce
    chi?
    chi ci ha piazzato sul groppone quasi 300 miliardi di maggiori spese tutti si ma PRO QUOTA
    chi ha violentato processi ispettivi razionali trasformando una clinica in macelleria (parlo della Santa Rita)
    chi ci ha infarcito parlamento e giunte di Pregiudicati, condannati e gheishe compiacenti ma sostanzialmente imbelli e ignoranti che hanno diffuso il sentimento di impunità
    SONO PER UN RIGORE CALVINISTA PER MEZZO SECOLO per estirpare la gramigna da quel ridicolo residuo di classe dirigente appena presentabile e quella plebaglia di portaborse, brasseur e aedi che languidamente s’inchinano ai crapuloni che dilapidano quei quattro soldi spremuti dai più poveri del nostro paese
    O CI ABITUIAMO A PARLAR CHIARO O LE LIMONATE SI VENDONO DAAGLI ACQUAIOLI AI CANTONI DEI VICOLI

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