21
Mag
2010

Quello che Deepwater Horizon insegna agli ambientalisti (e agli altri)

Il disastro della Deepwater Horizon, la piattaforma della compagnia eco-petrolifera Bp che dal 20 aprile ha iniziato a disperdere greggio nel mare, insegna molte cose. Ma ne insegna una in particolare, che gli ambientalisti – anziché baloccarsi col cattivo tempo tra cent’anni – dovrebbero prendere sul serio. Insegna che i sussidi creano sempre distorsioni, e che le distorsioni hanno sempre conseguenze (anche ambientali) negative, nel lungo termine. Insegna, quindi, che una buona battaglia è quella per l’abolizione dei sussidi di vario tipo alle compagnie petrolifere (oltre che alle fonti rinnovabili).

Negli Stati Uniti, il problema è una norma del 1986, che limita la responsabilità delle compagnie petrolifere per i danni da esse arrecate. Secondo la legge, devono farsi carico del cleanup, ma non devono interamente pagare per il danno a persone, imprese o enti pubblici:

Under the law that established the reserve, called the Oil Spill Liability Trust Fund, the operators of the offshore rig face no more than $75 million in liability for the damages that might be claimed by individuals, companies or the government.

Il paradosso, come spiega bene l’articolo del New York Times linkato sopra, è che il fondo di garanzia è troppo grosso per gli incidenti ordinari, che vi attingono solo marginalmente, ma troppo piccolo per gli incidenti eccezionali, come questo. Dal fondo dovranno, in qualche maniera, uscire tra 1 e 1,6 miliardi di dollari di compensazioni varie, che Washington, specie in un momento come questo, non può permettersi di scucire. E’ anche per questa pressione assai poco prosaica che l’amministrazione Obama ha iniziato a picchiar duro: dalle accuse sulla scarsa trasparenza alle minacce vere e proprie.

Compresa l’aria che tirava, non è stupefacente la reazione di Bp:

Lamar McKay, chairman and president of BP America Inc., said there are no major regulations requiring a ‘subsea intervention plan.’ He agreed that regulations, planning and the types of capabilities and resources available for a blowout will need to be examined in the wake of the spill.

Sul piano legale, probabilmente ha ragione Bp: la responsabilità è limitata dalle legge, punto. Sul piano politico e sostanziale, ha probabilmente ragione Obama: ci sono molti modi “laterali” per rendere la responsabilità illimitata (come dovrebbe essere). Certo, la Casa Bianca non è disposta a correre rischi, e per questo ha proposto una sorta di “Robin Tax” di un centesimo per barile. Ma il punto, a me pare, è la tensione costante tra regolamentazione e responsabilità. In assenza di ogni tipo di regole – nel far west petrolifero – una compagnia petrolifera sarebbe incentivata a mettersi in sicurezza, perché dovrebbe sostenere tutti i costi degli incidenti. In un contesto pesantemente regolato, invece, l’incentivo è opposto: barare finché si può, interpretare le norme, paraculare in vario modo e, alla disperata, chiedere ancora più regole (e ancora meno responsabilità).

Chi ha a cuore l’ambiente, dovrebbe comprendere meglio questi meccanismi, anziché farsi abbagliare dal trionfo verde della politica Bp (a cui non sempre corrispondono comportamenti adeguati). Vale la pena ricordare che Bp, assieme a Enron e Lehman Brothers, è stata uno dei maggiori sponsor dell’introduzione di uno schema di cap and trade negli Usa. Due della banda dei tre sono già andati. Il disastro nel Golfo del Messico potrebbe dare una seria botta alla credibilità, se non alla sopravvivenza, del terzo.

(Hat tip: Rob Bradley, Jesse Walker)

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4 Responses

  1. Luca Gervasoni

    Un articolo del 4 maggio dell’Huffington Post sottolinea comer l’industria petrolifera si sia opposta negli ultimi 10 anni a regole inerenti la sicurezza nelle estrazioni off shore:
    “For over a decade, the oil industry has aggressively fought safety regulations intended to prevent accidents and blowouts on offshore oil drilling rigs.
    ………………………………………………………………………………..
    The International Association of Drilling Contractors, a trade group which includes Transocean, the firm that operated the Deepwater Horizon rig, objected in 2000 to a proposed requirement to use blind-shear rams, a type of blowout preventer which seals out-of-control oil wells by pinching off the pipe”.
    In mancanza di sussidi una compagnia petrolifera sarebbe incentivata a mettersi in sicurezza, perché dovrebbe sostenere tutti i costi degli incidenti, ma senza una regulation sulla sicurezza è probabile che un incidente analogo a quello della Deepwater Horizon capiti nuovamente.

  2. Claudio

    Io rimango dell’idea che la ricerca sulle rinnovabili vada finanziata anche dal pubblico (solo la ricerca, non gli impianti).
    Al momento _attuale_ non c’é fonte una energetica pronta a sostituire in toto il petrolio.

  3. Beppe

    @ Luca Gervasoni: per quanto posso capire la questione che propone Stagnaro è più vasta. Qualunque regolamento è impensabile che riesca a evitare qualsiasi malfunzionamento. La presenza di regolamenti ha però una conseguenza sicura: progettista, costruttore, proprietario e direttore sono a posto con legge e (forse) coscienza se rispettano le regole.
    Se succede un patatrac basta che dimostrino di aver seguito le norme e i danneggiati si attaccano. Non avevo mai focalizzato questo problema, ma lo tocco ogni giorno quando devo progettare qualcosa che non è regolamentato: mi tocca pormi seriamente il problema di cosa potrebbe andare storto…ed è un bel problema. Quando riesco a trovare una ISO da seguire, è tutto molto più facile: la applichi e stai attento a documentare ogni passaggio. Se poi l’oggetto si rompe lo stesso e fa danni, tu sei comunque a posto.

  4. gengis

    Io non so cosa sia successo a Deepwater Horizon. Di certo so che a testa pozzo avevano installato delle valvole di sicurezza (blow out preventers) tarate su una pressione superiore a quella massima prevista per l’erogazione, che senno’ li avrebbero gia’ arrestati. Dunque e’ successo l’imprevedibile, o forse l’eccezionale. Idrocarburi che risalgono ad una pressione multipla rispetto all’immaginabile, e travolgono i “tappi” di sicurezza che li dovrebbero contenere.
    Magari Deepwater e’ stata solo negligenza, e allora che paghino tutto e subito. Pero’ magari no, ed e’ stato solo “imprevedibile”.
    Quanto costa prevenire l’imprevedibile? E quanto e’ assicurabile l’imprevedibile? E quanto decidiamo non di sussidiare, ma di trasformare in “esternalita’” l’imprevedibile allorquando stabiliamo per legge dei liability caps?
    Mi paiono piu’ questioni di politica della sostenibilita’ che di etica della responsabilita’.
    Oltre un certo limite il rischio non e’ piu’ (economicamente) assicurabile. O smetti di cercare petrolio nel deep offshore, o un po’ del danno della disgrazia, quando succede, lo metti a carico del taxpayer. In teoria, si dovrebbe andare a votare per decidere (anche) di questo.

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