Perché il Socialismo fallisce? La lezione di Mises
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Fabrizio Ferrari (@Fabriziofer1994)
Un secolo fa, Mises avviava—scrivendo dapprima un saggio (Il calcolo economico nello Stato socialista, 1920), poi un trattato (Socialismo: analisi economica e sociologica, 1922)—il dibattito circa la realizzabilità del socialismo da un punto di vista economico. Gli argomenti presentati da Mises negli anni ’20 sono stati successivamente da lui rielaborati e riproposti—in modo ancor più convincente e schematico—nella sua opera magna, L’azione umana (1949).
Mises cerca di dare risposta ad una semplice domanda: un sistema socialista è in grado di capire come allocare efficientemente le risorse economiche (Mises, [1949] 1999, p. 691)? Per rispondere, bisogna comprendere (1) il funzionamento di un’economia di mercato, (2) l’importanza che in ciò ricoprono il calcolo economico e il ruolo dell’imprenditore, (3) per quale motivo l’idea stessa di socialismo è intrinsecamente incompatibile con la nozione di economia.
Per economia di mercato Mises intende ciò che potremmo definire come segue: “Sistema di interazioni in cui gli esseri umani scelgono—in un contesto di risorse scarse, che sono di proprietà privata e hanno usi mutuamente esclusivi—cosa consumare, cosa produrre e con che mezzi farlo nel modo più efficiente possibile. Dal momento che i desideri degli esseri umani sono soggettivi, ai mezzi (beni e servizi) necessari per il soddisfacimento diretto (consumo) o indiretto (produzione) di questi desideri viene attribuito un valore—in funzione del desiderio che tali mezzi soddisfano—anch’esso soggettivo. Interagendo, gli esseri umani scambiano tra loro ogni bene e servizio (di produzione e di consumo) di loro proprietà ad un prezzo, manifestando così l’essenza della scelta economica: soddisfare—direttamente (consumo) o indirettamente (produzione)—un desiderio al prezzo di—cioè, rinunciando a—un altro.”
È chiaro, quindi, che economia significa scambio: infatti, Mises parla di catallassi—dal greco katallassein, che significa scambiare—cioè, studio degli scambi. Ma ogni scambio richiede degli strumenti stimativi, valutativi, di calcolo—una “bussola”—per decidere se ciò a cui si rinuncia vale davvero di meno di ciò che si ottiene (Mises, [1949] 1999, p. 230).
Lo strumento deliberativo in un’economia di mercato è il meccanismo dei profitti e delle perdite, tramite cui il consumatore—vero dominus in questo sistema di interazioni—segnala, decidendo di consumare alcuni beni e servizi anziché altri, quali imprenditori intende premiare e quali intende punire (Mises, [1949] 1999, pp. 295–97). L’imprenditore che offre al mercato i prodotti sbagliati—o finanche quelli giusti, ma a prezzi non competitivi—riceve dal consumatore un segnale negativo, che si manifesta nella sua scelta di acquistare il prodotto di un altro imprenditore. Questo segnale negativo è la perdita, che avvisa l’imprenditore di un errore nel processo di investimento e produzione—errore che porta alla distruzione di valore, di capitale. Al contrario, il segnale positivo è un profitto, con cui il consumatore comunica all’imprenditore che approva il suo operato—incrementandone così la dotazione di capitale (Mises, [1949] 1999, p. 231).
Diventa quindi immediatamente chiara l’importanza dell’imprenditore all’interno di un’economia di mercato. L’imprenditore, infatti, è il trait d’union tra i desideri dei consumatori e i mezzi per soddisfarli, il vero centro della scelta economica. Il suo ruolo, difatti, consiste in: (1) prevedere, o speculare su, i desideri futuri dei consumatori; (2) valutarne l’economicità (cioè, la congruenza tra il valore soggettivo attribuito a questi desideri dai consumatori e il valore dei mezzi necessari—i costi—per realizzarli); (3) impegnare il proprio risparmio—skin in the game—nell’acquisto dei mezzi di produzione necessari.
È evidente, pertanto, che il ruolo dell’imprenditore è duplice: speculatore-previsore (cioè, analista e calcolatore degli stati del mondo futuri) e capitalista-risparmiatore (cioè, accumulatore di capitale).
Per adempiere alla sua funzione speculativa, l’imprenditore necessita di uno strumento di misura: il sistema dei prezzi. Ma come emerge il sistema dei prezzi? In un solo modo: scambiando e acquistando (Mises, [1949] 1999, p. 202). Il prezzo, infatti, è l’espressione più autentica dell’azione economica—rinunciare a qualcosa (ad esempio, 20 euro) per ottenere qualcos’altro (ad esempio, una maglietta).
In assenza di scambio, un sistema dei prezzi non solo non è realizzabile, ma nemmeno è concepibile—dal momento che il prezzo esprime, per sua stessa natura, un rapporto all’interno di uno scambio. Tutto ciò che non può essere oggetto di scambio non pertiene alla sfera economica, non può sviluppare un mercato—e, senza un mercato, non esistono i prezzi. Ma il mercato, come abbiamo visto, può esistere solo in presenza di proprietà privata e scambio—deve essere possibile rinunciare al possesso di qualcosa in cambio del possesso di qualcos’altro.
Per adempiere, invece, la sua funzione di capitalista, l’imprenditore necessita di un contesto istituzionale che tuteli la proprietà privata: infatti, è in forza della proprietà privata del capitale—cioè, dei mezzi di produzione—che l’imprenditore, in un’economia di mercato, gode dei profitti e subisce le perdite (Mises, [1949] 1999, pp. 254, 302–304, 704–705), permettendo così al sistema dei profitti e delle perdite di funzionare.
Collettivizzando la proprietà dei mezzi di produzione, il socialismo abolisce la figura dell’imprenditore tramite due passaggi logici. Il primo: l’imprenditore cessa di esistere come capitalista, come proprietario del fattore-capitale, dal momento che gli è ora proibito esercitare questa funzione—essendo stata la proprietà privata del capitale abolita. Il secondo: essendo la proprietà privata una conditio sine qua non per la formazione di un mercato e di un sistema dei prezzi, l’imprenditore cessa di esistere come speculatore, dal momento che non gli è più possibile far riferimento ai prezzi dei mezzi di produzione—la cui proprietà non può più essere acquistata e scambiata—nel decidere cosa produrre e come produrlo.
Queste critiche di Mises al socialismo si apprezzano ancora meglio confrontandole con quelle mosse da economisti—come Hayek e Robbins—che in Mises vedevano un importante riferimento intellettuale (Salerno, 1990, pp. 57–64).
Mentre molti economisti—tra cui Hayek e Robbins—si soffermano sull’impossibilità per un pianificatore centrale di avere a disposizione (1) la totalità delle informazioni rilevanti per le decisioni economiche e/o (2) l’intelligenza necessaria a processarle, in Mises questi elementi—informazione e intelligenza—non sono essenziali. Il socialismo, per Mises, è impossibile in quanto rimuove dal quadro economico l’elemento pivotale delle scelte di produzione: l’imprenditore.
Mises critica il sistema socialista non per limiti a cui il progresso tecnologico potrebbe sopperire (raccolta di informazioni ed elaborazione delle medesime), ma per la sua natura intrinseca, la sua ontologia profonda.
L’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione rende irrealizzabile e inconcepibile il concetto di scambio tra gli stessi, rendendo quindi inapplicabile alla produzione concetto di economia.
Infatti, se tutti i fattori di produzione appartengono ad un’unica entità (collettività, Stato, governo, ecc.), com’è possibile scambiarli o acquistarli? E, se non è possibile scambiare o acquistare i fattori di produzione (cioè, se per questi non esiste un mercato), come è possibile che questi abbiano un prezzo? Chiaramente, spiega Mises, è impossibile. Ma se non esiste un prezzo per i fattori produttivi, come si potrebbe calcolare il costo della produzione? Ovviamente, sarebbe impossibile anche questo—non esiste calcolo economico per ciò che non ha un mercato (Mises, [1949] 1999, pp. 215, 230). Ma senza la possibilità di calcolare il costo della produzione, come si calcolerebbero i profitti e le perdite? Di nuovo, non si potrebbe fare (Mises, [1949] 1999, p. 701).
Ma quindi, senza un meccanismo di profitti e perdite, come avverrebbero le scelte economiche (quali beni di consumo produrre? Con quali processi produttivi? Quali infrastrutture realizzare? ecc.) in un sistema socialista? Come produrre congruentemente con i desideri dei consumatori e assicurare l’allocazione più efficiente dei fattori produttivi? (cf. Mises, [1949] 1999, p. 209). Molto semplicemente, tutto ciò in un sistema socialista sarebbe impossibile—proprio a causa dell’assenza di prezzi per i fattori produttivi sottratti alla proprietà privata e, quindi, al mercato.
Concludendo, la lezione di Mises sull’impossibilità del socialismo può essere riassunta così: “Il socialismo è impossibile non tanto per limiti tecnologici nella raccolta e nell’elaborazione di informazioni (dal momento che nemmeno un pianificatore centrale onnisciente e dall’intelletto perfetto potrebbe permetterne il funzionamento), quanto per l’assenza di prezzi per i fattori produttivi. Quest’ultima, infatti, renderebbe le informazioni necessarie al pianificatore centrale per il calcolo dei costi di produzione non tanto difficili da ottenere e processare, quanto inesistenti.”
Bibliografia
Ludwig von Mises, Human Action, [1949] 1999, specialmente Parte 3 e Parte 5
Joseph T. Salerno, Why a Socialist Economy is “Impossible”, 1990 (postfazione a: Mises, Economic Calculation in the Socialist Commonwealth, 1920)