Né con Uber né con i taxi, ma per la concorrenza
Oggi nessuno pensa che sia possibile e legittimo proibire la vendita del sale nei minimarket, nei supermercati e nelle panetterie, eppure fino al 1975 il sale era un monopolio di stato e poteva essere acquistato solo nelle tabaccherie. Il processo di liberalizzazione non è stato semplice, per difendere l’esclusiva della vendita i tabaccai si sono opposti a quella “liberalizzazione selvaggia” con gli scioperi in nome del “servizio pubblico”, del “bene comune” e di altre diavolerie del genere. Stesso discorso per i telefoni: fino a non molti anni fa in Italia era proibito acquistare un apparecchio telefonico, potevano solo essere affittati dalla Sip, che aveva anche l’esclusiva sull’installazione delle prese telefoniche (a proposito, se avete apparecchi vecchi controllate che non stiate ancora pagando il noleggio alla Telecom). E così via per i voli aerei, le automobili, la luce, il gas, la radio, la televisione e chi più ne ha più ne metta. In ogni campo c’era una legge (e ce ne sono tante ancora oggi) che impediva l’ingresso di nuove imprese nel mercato e limitava la libertà di scelta dei cittadini/consumatori con motivazioni che sembrano assurde oggi, ma che all’epoca parevano addirittura razionali e alimentavano dotti dibattiti tra politici, economisti, sindacalisti e “parti sociali”.
Un dibattito del genere, che oggi pare sensato ma non lo sembrerà tra una decina di anni, è quello su Uber e i taxi. Oggi a Milano e in molte città d’Europa va in onda l’ennesimo sciopero dei taxi contro Uber, l’applicazione californiana che schiacciando un bottone sullo smartphone permette di essere raggiunti da un’autista e di essere trasportati nella città. Il servizio fa in parte concorrenza ai taxi ma è anche diverso per caratteristiche, prezzi (maggiori) e qualità (migliore, a detta di molti clienti). I tassisti scioperano in nome del “servizio pubblico”, della “sicurezza dei cittadini” e del “rispetto delle leggi”, in realtà per impedire che aumenti e si differenzi l’offerta e quindi per limitare la libertà d’impresa e la libertà di scelta dei consumatori. Ciò che è paradossale in questa vicenda è che i tassisti in questi mesi attraverso aggressioni, blocchi e scioperi selvaggi hanno violato le regole più elementari del “servizio pubblico”, che è l’unico motivo che giustifica il loro “monopolio”. La vicenda ha mostrato che concetti come la “sicurezza”, il “bene comune” e il “servizio pubblico” spesso sono solo pretesti per mantenere privilegi e rendite di posizione ed è evidente, anche ai cittadini, che il “servizio pubblico” non è al sicuro se può diventare ostaggio della corporazione che ne ha la concessione legale, il monopolio. È molto elevato il rischio che da servizio da garantire ai cittadini diventi un tributo dei cittadini garantito alla corporazione o al monopolista del caso. Allo sciopero dei tassisti, con un’eccezionale mossa di marketing, Uber ha risposto tagliando per la giornata di oggi le tariffe del 20%, in pratica rinunciando ai propri guadagni (il 20% è la commissione che Uber prende per ogni corsa dagli autisti convenzionati).
Chi svolgerà oggi il “servizio pubblico” a Milano, Uber o i taxi? In realtà nessuno dei due: è la concorrenza, sorella della libertà di scelta, quella che non ci obbliga più a guardare solo la Rai (anche se per ora tocca pagare comunque il canone), che non ci impone più di comprare il sale dai tabaccai e che non ci costringe ad affittare i telefoni dalla Sip.