13
Lug
2011

Liberalizzazione del commercio: 8 italiani su 10 favorevoli

Un interessante sondaggio di IPSOS su un campione di 1000 persone (margine di errore compreso fra +/- 0,6% e +/- 3,1) rivela che 8 italiani su 10 sono favorevoli alla liberalizzazione del commercio, di cui ci siamo occupati a più riprese.

Le persone sarebbero quindi liete di poter scegliere quando fare acquisti, di “negoziare” implicitamente con i commercianti le ore migliori della giornata in cui alzare le saracinesche e, se turisti, di poter avere un servizio aggiuntivo al loro svago, mentre, se residenti, di poter fare la spesa in orari più comodi.La recentissima liberalizzazione del commercio nei comuni d’arte e a vocazione turistica dovrebbe dunque essere, per il 78% degli intervistati, estesa anche agli altri comuni, non solo per favorire il commercio, ma, in maniera più determinante, per migliorare la qualità della vita dei cittadini, che hanno sempre meno tempo, specie nelle città, da dedicare a queste attività quotidiane spesso necessarie.

Se anche i clienti/consumatori vedono con favore tale liberalizzazione, quale forza conservatrice e si oppone ad essa e perché, così da rendere tanto difficile una decisione politica che sembra davvero semplice?

Si fa fatica davvero a capire quali ragioni altre rispetto al mantenimento di posizioni di rendita ostacolino, a questo punto, la libertà di orari per i negozi.

Essa è auspicata dai consumatori, agevole per il governo (non comportando alcun costo, cosa niente affatto secondaria al momento) e non rischiosa per i lavoratori, dal momento che, checché se ne dica, a tutelare i diritti dei commessi sussiste una serie ampia e consolidata di leggi, sentenze, contratti collettivi tale da rendere impossibile per un titolare di un negozio far lavorare oltre gli orari consentiti i propri dipendenti (o non gli sarebbe comunque più semplice che farlo anche in un regime di orari vincolati).

Restano dunque arroccati sulla conservazione delle ore e dei giorni di chiusura prefissati quanti tra i piccoli commercianti sono già nel mercato e temono di veder spazzare via il loro negozio da una concorrenza più organizzata.

Verrebbe da ricordare loro che da tempo esistono rischi maggiori alla loro chiusura di quelli dati dalla liberalizzazione degli orari, come ad esempio il commercio elettronico. Consentire loro di scegliere quando aprire, e non se aprire di più (chi si trova in un quartiere di uffici potrebbe ad esempio modulare il proprio orario diversamente da chi si trova in un quartiere residenziale o in un centro storico) potrebbe al contrario significare, con un po’ di coraggio e fantasia, rilanciare il proprio esercizio commerciale e sfruttare l’occasione di venire maggiormente incontro al cliente.

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10 Responses

  1. Traversi L.

    I piccoli commercianti non rinunceranno mai alla regolamentazione rigida degli orari. L’idea di dover organizzare dei turni per far lavorare la gente ogni domenica inferocisce una moltitudine di esercenti.

    Il secondo ostacolo di proporzioni epiche riguarda le regioni e i loro interventi nel cercare di limitare la diffusione di esercizi commerciali “non graditi”, spalleggiati da agguerriti assessori comunali al commercio. Purtroppo la quasi totale assenza di controlli (sanitari, di sicurezza, fiscali, ecc….) sui cosiddetti negozi “etnici” sta facendo scontare enormi problemi di degrato a moltissimi quartieri di città un tempo votate ai commerci, ma che oggi soffrono. L’andazzo dell’ultimo periodo è – e questo è il paradosso – quello di credere che, visto che le leggi che ci sono non si fanno minimamente rispettare, allora conviene farne delle atrle, in aggiunta; quali, per esempio, decidere che tipo di negozi possono aprire in un posto e quali no. L’idea che un negozio possa gestire i propri orari come meglio crede è percepita da molti politici locali come un affronto vero e proprio alle proprie libere prerogative di amministratori.

    E poi, parliamoci chiaro, se il commercio di quartiere rialza la testa e offre servizi migliori ai cittadini, sparisce il motivo per cui si fanno enormi centri commerciali. C’è veramente qualcuno in Italia che non desidera la costruzione di mega-centri commerciali? Soprattutto in tempi di crisi?

  2. Son d’accordo sulla liberalizzaione del mercato, non tralasciando, però, che la maggior parte del tessuto commerciale Italiano è formato da piccole e micro imprese. Esse non possono sostenere la concorrenza della grande distribuzione, quindi multinazionale.
    Io sono convinto anche che il commercio tradizionale ha, naturalmente, una famiglia.
    Come la mettiamo sulle aperture serali e domenicali?
    Non fraintendetemi, non ho soluzioni, ma il problema esiste.
    Come si fa a coniugare la Famiglia con il lavoro?

  3. Angelo

    Alcuni anni fà quando si passava davanti a un negozio di cinesi, c’era sempre la battuta sul fatto che avessero le brandine e la cucina nel retro….Non avevamo capito niente!

  4. Roberto Panizza

    Questa retorica contro il piccolo commercio è superficiale e datata. I piccoli negozi di prossimità non esistono più in ampie aree del paese, e in ogni caso nessuno li ascolterebbe, se anche avessero la forza di aprire bocca. Tanto è vero che l’evoluzione commerciale ha prima spazzato il settore alimentare, e adesso sta accadendo lo stesso con quello dell’ abbigliamento. A mio parere il blocco degli orari è un “calmiere” alla concorrenza richiesto dai grandi gruppi o da qualche grande gruppo.

  5. Maria Rosa Ravara

    A quando la “liberalizzazione” degli orari degli uffici statali? Riusciranni mai a “lavorare” dopo le sei del venerdì?

  6. ALESSIO DI MICHELE

    Gl’ italiani non sono favorevoli a qualcosa, ma ssemplicemente pronti a voler aggredire l’ esistente: infatti questa valanga di liberisti ai referenda non s’ è vista.

  7. Alberto2

    “Si fa fatica davvero a capire quali ragioni altre rispetto al mantenimento di posizioni di rendita ostacolino, a questo punto, la libertà di orari per i negozi”

    Uno su tutti: il costo del lavoro.

    Perchè è qui che si gioca la partita. La grande distribuzione affama i cassieri/studenti domenicali mentre il piccolo commerciante deve sobbarcarsi tutte le tasse oneri etc. etc. possibili ed immaginabili.

    Le posizioni di rendita “forse” sono quelle dei notai, dei farmacisti, degli avvocati, dei commercialisti; parlare di posizioni di rendita per i commercianti dopo l’abolizione delle licenze ha davvero poco senso secondo me.

  8. Amerigo

    Premesso che sono titolare di un negozio in un grosso centro commerciale nella provincia di Brescia , quindi parte in causa di quanto leggo qui soppra.
    Devo porre alcune eccezzioni a quanto detto, se non altro per esperienza vissuta.
    Gli orari del nostrocentro commerciale vanno dalle 09.00 del mattino alle 21.30 della sera sei gironi su sette, a cui vanno aggiunte alla aperture due domeniche al mese piu tutte le festivita di dicembre.
    Con l’eclusione del giorno di Natale S Stefano e Il capodanno.
    Non basta!? La direzione del centro si è inventata le “Notti bianche” con apertura straordinaria fino alle 24.00.
    Questi gli orari! Ora dopo analisi sulle vendite degli ultimi 24 mesi si è potuto rilevare quanto segue , 34% delle vendite si concentra negli orari che vanno dalle 12 alle 14.30, il 52% dalle 17 alle 19.30 un rimanente 8% nei rimanenti orari fino alle 17 e un 6 % dopo le 19.00.
    Si dira che una rondine non fà primavera. Teniamo presente che Brescia ha una densita commerciale , rappresentata sopratutto da centri commerciali, tra le più alte in “Europa”, eppure questi sono i dati, con lievi differenze tra uno e l’altro
    Dietro i dati ci sono però le persone, che devono “obligatoriamente” tenere aperto anche in orari in cui questo è assolutamente inutile, e frustrante.
    Si dice che questo serve per garantire la “liberta delle persone”, Tenete presente che i commessi e le commesse che prestano la loro opera in ambito commerciale in orari che non sono quelli d’ufficio hanno e di molto limitato la “loro libertà.

  9. Alberto2

    Amerigo :

    Ora dopo analisi sulle vendite degli ultimi 24 mesi si è potuto rilevare quanto segue , 34% delle vendite si concentra negli orari che vanno dalle 12 alle 14.30, il 52% dalle 17 alle 19.30 un rimanente 8% nei rimanenti orari fino alle 17 e un 6 % dopo le 19.00.

    Interessante la tua esperienza. Solo un chiarimento: il 34% delle vendite è dalle 12 alle 14,30 o dalle 9 alle 14,30? Perchè dai tuoi dati manca la fascia mattutina.

    Comunque condivido in toto la tua tesi. Sarei curioso anche io di sapere a che ora i clienti hanno bisogno di trovare il negozio aperto e non lo trovano.

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