15
Lug
2011

Le infrastrutture no pasaran

Il governo del fare, il governo che “noi faremo le infrastrutture“, è riuscito a inserire, nella manovra, una norma che è il sogno proibito di qualunque comitato del no. C’è chi dice sia stato fatto per raccogliere qualche euro di gettito addizionale; c’è invece chi sostiene sia stato un dispetto a persone non gradite. Non so chi abbia ragione. Le intenzioni non mi interessano. Mi interessano gli effetti.

Prima di entrare nel merito della norma, è importante avere ben presente una cosa: il problema dell’Italia non è gestire bene, o far pagare poco, le infrastrutture esistenti. Il problema è realizzare infrastrutture nuove o ampliare quelle vecchie. Questo vale virtualmente per ogni tipo di infrastruttura: stradale, autostradale, ferroviaria, portuale, aeroportuale, eccetera. Da liberista, credo che realizzare infrastrutture sia importante per la crescita economica se e solo se vengono realizzate infrastrutture utili, cioè infrastrutture in grado di ripagarsi (si veda il libro curato da Francesco Ramella per Ibl Libri). Ma non posso ignorare che, nelle principali classifiche sulla dotazione infrastrutturale, l’Italia è la cenerentola quasi in ogni settore: secondo il World Competitiveness Report (pp.388 e seguenti), siamo 73mi (su 139) per la qualità complessiva delle infrastrutture; 54mi per la qualità delle strade; 39mi per le ferrovie; 81mi per i porti; 84mi per gli aeroporti. Quindi, le infrastrutture servono – anche se non tutte le infrastrutture di cui si parla servono, non tutte servono allo stesso modo, e non tutte con la stessa urgenza.

L’esecutivo ha adottato una norma che distingue tra le infrastrutture autostradali e tutte le altre. Per le infrastrutture autostradali, è fissato un tetto dell’1 per cento alla deducibilità fiscale degli ammortamenti. Per tutti gli altri, è previsto un aumento dell’aliquota Irap dal 3,9 al 4,2 per cento.

In modo diverso, l’effetto dei due provvedimenti è simile. L’aumento dell’aliquota Irap – che il governo ha più volte promesso di abolire, specie quando l’attuale maggioranza stava all’opposizione, e che, al momento della sua introduzione, venne definita dall’attuale ministro dell’Economia “imposta rapina” – è doppiamente discutibile: è discutibile perché la base imponibile dell’Irap non sono i profitti, ma i costi dell’azienda; ed è discutibile perché, determinando un aumento dei costi, non farà altro che riflettersi in un aumento del rendimento richiesto dagli investitori privati per investire nelle infrastrutture. Il tetto alla deducibilità fiscale degli ammortamenti allunga a un secolo il periodo di ammortamento fiscale delle opere (determinando uno scollamento, peraltro, tra la realtà civile dei bilanci e la realtà fiscale). La durata di un secolo è del tutto irrazionale: è ben più lunga della durata delle concessioni (che è il termine logico di riferimento), della vita tecnica delle opere, e della vita attesa delle aziende che le gestiscono. Di fatto, essa implica l’impossibilità – non l’insostenibilità: l’impossibilità – del conto economico per un gestore infrastrutturale. Approfondimenti qui, quo e qua.

La conseguenza pratica, immediata, prevedibile e inevitabile di questa norma è che, per i privati, diventa economicamente e finanziariamente assurdo investire in infrastrutture in Italia. Questo provvedimento avrebbe senso in uno e un solo caso: se fosse strumentale a una rivoluzione socialista nel settore delle infrastrutture. Se, cioè, fosse opportunisticamente, consapevolmente e puttanescamente brandito per nazionalizzare il settore. Se, in altre parole ancora, servisse strumentalmente al ministro dell’Economia per far crollare il valore delle concessioni e ri-pubblicizzarle a prezzi di saldo. E’ questo l’obiettivo?

Se l’obiettivo fosse questo, esso presuppone una scelta: o vogliamo nazionalizzare le infrastrutture per affidarne la realizzazione al settore pubblico (per esempio perché riteniamo che, in mano ai privati, esse diano luogo a una rendita ingiustificata, come ha sostenuto, tra gli altri e con argomenti non scontati, Giorgio Ragazzi); oppure non vogliamo fare nuove infrastrutture. La prima opzione non mi sembra credibile: in un momento in cui l’unica esigenza che nessuno mette in discussione è il taglio della spesa pubblica, e in un momento in cui la spesa in conto capitale è stata tagliata con molta più severità della spesa corrente, non credo che il ministro dell’Economia abbia in mente uno Stato “infrastrutturatore”. Devo per forza dedurne che, se il ministro dell’Economia sa quello che fa e fa quello che vuole, cosa su cui non ho ragione di dubitare, egli abbia preteso questa norma o con lo scopo di fermare gli investimenti infrastrutturali, o con altri obiettivi ma considerando l’effetto dello stop infrastrutturale come un costo accettabile o perfino un beneficio collaterale.

Tutto ciò ha importanti risvolti economici e politici. Da una prospettiva economica, se dal punto di vista statico è possibile che emerga un po’ di gettito in più poiché gli ammortamenti vengono considerati fiscalmente un utile (!!!), dal punto di vista dinamico l’effetto sarà quello di abbattere gli investimenti privati in infrastrutture (e dunque gli investimenti in infrastrutture tout court). Presumibilmente, nel breve termine, ciò implica (a) minor gettito fiscale dovuto alla mancata Iva sulle opere che non saranno realizzate; (b) minore occupazione a causa delle opere che non saranno realizzate; nel lungo termine ciò implica (c) minore crescita economica a causa del venir meno dell’effetto pro-crescita delle infrastrutture “utili”; (d) minor gettito fiscale a causa della minore crescita; (e) a parità di altri elementi (in particolare a parità di spesa pubblica corrente) maggiore indebitamento pubblico; (f) minori investimenti in tutti i settori ad alta intensità di capitale, che sconteranno un maggiore rischio politico-regolatorio per le ragioni che abbiamo illustrato qui; (g) tornate ad (a) e ripetete il loop per tutti i settori ad alta intensità di capitale (e/o fortemente influenzati dalle scelte regolatorie) che vi vengono in mente.

Dal punto di vista politico, questo intervento tradisce sia la presunta fiducia nel privato e nelle virtù dell’impresa che avrebbe dovuto animare questo governo, sia la presunta capacità di “fare” cose. Con questa manovra, il governo colpisce il privato e l’impresa nel settore infrastrutturali, e non lascia fare investimenti. Questo non è né rigore né crescita. Questa è cattiva politica, totale assenza di una visione e di un disegno, totale assenza di rispetto per sé, per i propri elettori e per il paese.

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6 Responses

  1. stefano tagliavini

    Gen.le Carlo Stagnaro Le chiedo una sua opinione su una cosa che potrebbe apparire fuori tema, ma che volendo si potrebbe agganciare al tema delle infrastrutture, cosa ne pensa della candidatura di Roma alle olimpiadi del 2020? Io credo sia fuori luogo e rischiosa, la soluzione ottimale sarebbe dare tutto in mano ai privati, soprattutto la realizzazione degli impianti, utilizzando come corrispettivo i diritti pubblicitari.

  2. Isabella

    La conclusione del discorso mi sembra essere che il ministro dell’economia non sa quello che fa.

  3. riccardo p.

    Non credo più che queste pluridecennali riforme si faranno; sono più vecchio di lei, Stagnaro e sono nato sentendo parlare di riforma della scuola, delle pensioni, l’Università e la fuga dei cervelli, le aziende che non investono (e questo non è un problema solo dello Stato, ma anche culturale) e la fuga dei capitali, le corporazioni, …
    Vale forse la pena suonare il violino aspettando l’iceberg? Provare a costruirsi una scialuppa finanziaria di salvataggio? Certamente è inutile cercare di convincere milioni di privilegiati, assuefatti alla stato-dipendenza.

  4. DPzn

    Bravo! Era un’aspetto di questa finanziaria che mie era completamente sfuggito. Questo governo lib-lab è molto lab e poco (o niente) lib. Quella di disincentivare i privati ad investire nelle infrastrutture mi sa di scelta consapevole. Non dimentichiamoci che nella precedente stesura c’era una tassa sul piccolo risparmio, che avrebbe disincentivato migliaia di piccoli investitori a comprare obbligazioni dello stato!
    Faccio varie ipotesi:
    1) Tremonti è impazzito e vuole suicidare la sua maggioranza con finanziarie comuniste. Dico impazzito, perché si illude di poter contare di più in un esecutivo “tecnico”; anche le persone più intelligenti cadono nei tranelli dei furbi;
    2) Questa maggioranza è più a sinistra della sinistra ufficiale: dovrò votare per Vendola?

  5. Giuseppe D'Andrea

    @DPzn

    Il governo sconta un paio di problemi: la mancanza di idee serie ed una carenza di testicoli, proverbiale. Non è una questione di socialismo, i politici sanno che è molto meglio andare a colpire le micro/piccole/medio imprese, rispetto ai liberi professionisti (che sono politicamente numerosi e sono troppo influenti) agli oligarchi di confindustria ( che rappresentano solo il 3~8 % della produzione industriale) i banchieri e le assicurazioni o il settore pubblico (con i loro sindacati). I piccoli imprenditori sono troppo occupati e poco abituati a protestare, non hanno sindacati e non hanno associazioni (rilevanti) sono soli e dunque sono bersagli migliori.

    Il predatore attacca sempre la preda che puó sopraffarre col minor sforzo possibile. È la legge della jungla, amico mio

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