19
Mag
2009

Il prezzo dei politici, Giavazzi, Tremonti e Martin

Stamane Tremonti con la sua strigliata alle banche italiane mi ha provocato un brividino piacevole, visto che riprendeva gli argomenti usati su questo blog commentando le recenti dichiarazioni di Passera, a proposito degli spread praticati dalle banche italiani negli impieghi a imprese e famiglie, rispetto ad altri grandi paesi dell’euroarea. Dichiarazioni che hanno messo al giusto posto le considerazioni svolte invece da Francesco Giavazzi sul Corriere della sera. Lo capisco sempre meno, il nostro professore. Attribuire a Tremonti le pretese di un mullah iraniano perché è tra i pochi a criticare le banche, non mi sembra una genialata. Tanto meno se poi segue la proposta che sia il governo, a sottoporre le banche italiane a stress test analoghi a quelli americani. A parte che quelli americani sono stati a mio giudizio – l’ho argomentato su questo blog – una mano di biacca sugli attivi contrattata con le banche stesse, invece che una passata di serio disinfettante. Ma immaginate che cosa avrebbero scritto Corriere e Repubblica, se Tremonti avesse disposto lui stress test bancari, di fatto e di diritto spodestando la vigilanza ordinaria e straordinaria sul credito che nel nostro ordinamento spetta solo a Bankitalia? Si sarebbe gridato al golpe bancario berlusconico-leghista, a dir poco. Meglio, molto meglio che sia Bankitalia ad occuparsene. E del resto, come feci in tempo a scrivere su LiberoMercato prima della sua chiusura, i criteri adottati dall’anno scorso nelle ispezioni da parte di via Nazionale seguono il criterio del capitale tangibile nel calcolare la rischiosità delle esposizioni potenziali, secondo criteri più stretti di quelli americani.
Ma è anche vero che se il tiro alle banche rischia di diventare un po’ meno minoritario nel nostro paese, non bisogna mai dimenticarsi che quando si chiede alla politica di emanare più regole, il punto diventa non dimenticare che la politica rischia di costarci ancor più.
Non sto affatto parlando dello stipendio del ministro Tremonti. E’ un discorso generale quello che manca sempre in Italia, sui costi/benefici seriamente analizzati della politica e dei suoi interventi.
E non lo dico da populista. Faccio un esempio controcorrente. A Londra oggi si dimette Michael Martin, speaker della Camera dei rappresentanti, per via dello scandalo “rimborsi pubblici ai deputati”. Bene, su questo condivido in pieno la lettura mercatista avanzata dal capo degli editorialisti del Times, oggi, Daniel Finkelstein. La trovate a questo link. Meglio pagare meglio un politico serio, che credere di innalzarne la qualità e abbatterne i danni pagandolo meno.

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5 Responses

  1. Massimo

    L’osservazione di Finkelstein è giusta, ma non risolve il problema. I parlamentari italiani sono pagati molto di più di quelli inglesi, ma non credo che siano molto migliori.

  2. Le banche possono e debbono essere criticate, soprattutto in Italia. Ma quello che mi pare Tremonti non colga è che oggi i Tremonti Bond non servono più. I Tremonti Bond sono semplicemente dei bond Tier1, nulla di più, con alcune condizionalità “politiche” attaccate. Oggi, gli spread sui bond societari e finanziari stanno stringendo in modo spettacolare (e per me non del tutto comprensibile, sul piano fondamentale), e quindi le banche sono perfettamente in grado di emettere sul mercato dei Tier1, senza passare dal Tesoro. Inoltre, i dati del primo trimestre mostrano che anche le nostre banche, grazie al trend partito dagli Usa, stanno lavorando con margini d’interesse molto robusti e in aumento, perché la raccolta costa ormai pochissimo, e gli impieghi avvengono a spread che scontano l’incertezza congiunturale. Ciò, in soldoni, significa che le banche saranno presto in grado di irrobustire il proprio equity con gli utili, e la necessità di ricorrere a strumenti ibridi come i tier1 verrà meno.

  3. Ivan

    Sono d’accordo con l’analisi di Mario sulle motivazioni del fallimento dei Tremonti Bond; ma è solo una spiegazione tecnica, che non assolve le banche, anzi. Intendo dire che piuttosto di ricorrere ai TremontiBond, piuttosto cari ma ben “scontabili” (nel senso che permettono un’emissione di crediti pari ad almeno 5 volte il debito), la nostre care banche hanno preferito aumentare gli spread, facendo così pagare, ancora, la loro difficoltà a quei soggetti (PMI) che il credito lo utilizzano per creare ricchezza. Quindi ben venga la strigliata di Tremonti, ma serve a niente, quello che serve è una sorveglianza seria per la difesa degli utenti della banche. Perchè mettere dei paletti intorno alla libertà di azione di una banca privata è forse antiliberale, ma permettere che si faccia cartello (tutti hanno aumentato gli spread) è ancora peggio.

  4. Premesso nuovamente che non intendo difendere le banche, e che la “tecnica” è “politica”, vorrei solo segnalare che la struttura del Tier1 (e anche delle preferred shares usate nei contesti anglosassoni) ha alimentato un equivoco di base, in cui sono caduti in tanti, Tremonti incluso. Il Tier1 è un ibrido, ma in questa congiuntura viene considerato debito. Di fatto, le banche hanno visto i Tier1 come debito, non come equity. Ora, quando si è in un eccesso di leva finanziaria, la prima cosa che si fa è ridurre l’indebitamento, non aumentarlo. I Tier1 come i Tremonti Bond e le preferred shares anglosassoni sono state usate come cuscinetto di mezzi propri (soprattutto sul piano del valore segnaletico per il mercato), ma anche come debito in eccesso in un contesto di deleveraging. Affermare quindi, come fatto da Tremonti, che i bond dovevano avere un moltiplicatore di 5 o giù di lì è solo un wishful thinking, quando la congiuntura è recessiva. Non a caso l’esito di questi titoli è stato uguale in tutti i paesi dove sono stati utilizzati.

  5. Ivan

    Certo Mario, sono di nuovo d’accordo con lei, almeno “tecnicamente”, infatti io avevo usato proprio il termine debito. Debito come strumento al quale gli imprenditori “comuni” sono costretti a ricorrere quando c’è penuria di liquidità. Ma questo non vale evidentemente per l’imprenditore banchiere, il quale può permettersi invece di aumentare il costo dei propri prodotti, grazie al fatto che quando lo fa uno, poi lo fanno tutti* (cartello) e al fatto che cambiare istituto di credito non è facile come cambiare un fornitore di beni/servizi (problema di concorrenza leale).

    * Tutti tranne le BCC che però, guarda caso, non hanno modificato gli spread, ma hanno operato una revisione al rialzo del costo delle operazioni.

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