4
Gen
2011

I love (liberalized) shopping

Puntuali come il Natale, il Capodanno e l’Epifania, anche quest’anno i saldi sono tornati. Diversamente, però, dalle feste comandate, non hanno una data unica, ma iniziano con tempi diversi e nel giro all’incirca di una settimana le vetrine di tutta Italia si riempiono prima o poi delle réclame di sconto.I saldi invernali trascinano con sé, più di quelli estivi, le discussioni tra chi vorrebbe che i commercianti potessero liberamente scegliere come e quando invitare la gente a spendere a prezzi ridotti e chi invece ritiene che una eccessiva libertà di scelta comprometta i piccoli esercenti, soffocati dalla concorrenza di grandi magazzini, centri commerciali e catene di negozi. L’inizio dei saldi subito dopo lo scambio di doni sotto l’albero diventa infatti un’occasione mancata per comprare regali più sostanziosi, che diventeranno accessibili al portafogli solo pochi giorni più tardi.

Cui prodest una simile scelta temporale?

Non ai consumatori, che certo sarebbero felici di poter effettuare le spese natalizie con i prezzi già scontati.

Non al commercio, che potrebbe evidentemente essere stimolato grazie agli effetti psicologici di acquistare a prezzi scontati.

Resta dunque da capire se far partire i saldi al termine del periodo festivo più consumistico dell’anno giovi ai negozianti.

A prima vista, sembrerebbe di sì. La maggior parte degli italiani non rinuncia a scartare un regalo sotto l’albero e potrebbe essere comunque disposta a pagarlo a prezzo pieno, seppur storcendo il naso.

In realtà, in un momento di difficoltà economica non è scontato che le scelte di consumo, anche quelle più tradizionali, restino immutate. Le prime stime degli acquisti natalizi parlano di un decremento rispetto all’anno precedente del 10% (Confesercenti) se non del 12% (Federconsumatori). Inoltre, sempre secondo Confesercenti, gli italiani hanno preferito prodotti utili (con il sacrificio, dunque, dei beni voluttuari) e meno cari (con l’effetto di neutralizzare il vantaggio che si avrebbe dal trattenere l’avvio dei saldi al periodo successivo al Natale). È l’Adoc invece a stimare che per la prima volta il riciclaggio dei regali ha toccato quota 30% rispetto al totale degli scambi. La gente, insomma, non rinuncia ai regali, ma li posticipa all’Epifania, nella speranza che la befana possa essere più generosa di babbo natale, li riusa, li sceglie in maniera più oculata o attenta rispetto a quanto non farebbe se potesse comprarli a prezzi scontati.

Questi espedienti sarebbero in realtà poca cosa se non ci fossero almeno altri due rimedi per comprare a prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli praticati in negozio. Il primo si chiama outlet: il gruppo McArthur Glen, che possiede in Italia cinque designer outlet (per intenderci, anche quelli di Barberino, Castel Romano, Serravalle) rende noto che sotto le feste natalizie ha avuto un incremento di vendite rispetto allo stesso periodo del 2009 del 10-12%. I consumatori sono più disponibili dunque a comprare merce appartenente a collezioni passate, ma comunque nuova, in ottimo stato e pur sempre griffata o prodotta dai marchi prediletti. Il secondo rimedio si chiama e-commerce: secondo l’Adoc, il 28% dei regali natalizi quest’anno sarebbero stati acquistati on line. D’altra parte, perché comprare nel negozio sotto casa uno stesso prodotto reperibile a un prezzo più vantaggioso e spesso con spedizione gratuita semplicemente accendendo il proprio computer?

Di fronte a questi rimedi, siamo sicuri che il negozio di vicinato voglia ancora serrarsi sul saldo post-natalizio?

Qualche dubbio sembra legittimo, se solo si considera che molti negozianti sono avvezzi a anticipare sottobanco i saldi e quindi a vendere al prezzo scontato ben prima dell’avvio ufficiale delle vendite di fine stagione. Quanti di noi hanno già sfruttato questi sconti anticipati? Quanti di noi hanno ricevuto mail e cartoline con l’avviso di un pre-saldo per i clienti “affezionati”?

Sembrerebbe dunque che i commercianti, anche i piccoli, vogliano scegliere liberamente se, quando e come praticare sconti utili non solo ai consumatori, ma anche a loro stessi.

La legge tuttavia non lo consente. Ma quale legge? Chi, tra i nostri governanti, avrebbe la facoltà di liberalizzare i saldi?

Sono le regioni ad occuparsi della materia. Secondo quanto disposto dal primo dei provvedimenti legislativi che hanno composto il cd. pacchetto Bersani, spetta loro disciplinare le modalità di svolgimento, i periodi e la durata delle vendite di fine stagione. Ed è proprio a livello di governo territoriale che si possono riscontrare le maggiori resistenze alla liberalizzazione del commercio, compresa la regolamentazione dei saldi che, come visto sopra, forse non piace nemmeno ai piccoli commercianti.

Alle regioni, dunque, andrebbe rivolta la richiesta di liberalizzare il settore, a quelle stesse regioni che invece in questi anni, in controtendenza rispetto ad alcune aperture volute dal legislatore statale, hanno proceduto con reciproca emulazione ad irrigidire il settore commerciale, imponendo oltre il dovuto tempi, orari, spazi urbani, limiti e divieti.

Ancora una volta, l’Italia, il sistema di governo nella sua interezza e complessità, ha quindi mancato l’occasione di fare del regionalismo un sistema propulsore di competizione e di sperimentazione politica e legislativa.

Resta la speranza che, per le festività natalizie del 2011, qualche oculata regione abbia la capacità e la determinazione per tentare una vera liberalizzazione dei saldi, dimostrando con questo piccolo esempio l’efficacia e la produttività di un commercio sempre più libero.

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6 Responses

  1. Caber

    Bisognerebbe accettare di più le sfide del mercato.
    Invece vedo i commercianti dare la colpa di tutto “ai centri commerciali”… se la gente li sceglie ci sarà un motivo no?

  2. @Caber
    Beh, si, sono d’accordo che i commercianti debbano lavorare su cose che il centro commerciale non può dare (maggior qualità, servizi, professionalità e via dicendo) però qualcosa che non va sui costi che devono sostenere i centri commerciali per insediarci secondo me c’è. Qunato paga di urbanizzazione un centro commerciale con cubature mostruose, rispetto ad un negozio in città o in paese? Non credo si sia una corretta relazione. Poi non voglio sottolineare le perversioni della concorrenza nella grande distribuzione, dove diversi sistemi fiscali e regole si applicano a operatori concorrenti, se considerati cooperative…

  3. Alberto

    Ottimo articolo, e pienamente concorde con la tesi esposta, e soprattutto con la speranza intrinseca!
    L’ottica dei dettaglianti italiani è ferma in molti casi a qualche decennio addietro. Molti di loro ignorano le possibilità dell’e-commerce, e diffidano delle opportunità che l’adozione di nuove tecnologie porterebbe alla loro attività, colpa anche della poca fiducia nutrita da molti consumatori nell’acquistare via internet ( i dati indicano,finalmente, una inversione di rotta il che mi rende speranzoso per un prossimo futuro).
    Contro i grandi centri, l’ottica dell’antica bottega è destinata a perdere; questa tende in via naturale a posizionarsi all’interno di un mercato di nicchia, o di elite che dir si voglia, proponendo prodotti ricercati e di alta qualità.
    Sono svolte e vanno accettate come tali.
    Saluti!

  4. Caber

    non sono termini paragonabili. un negozietto del centro storico che urbanizzazione ha pagato? è urbanizzato da secoli…

    l’importante è che un centro commerciale paghi le spese prodotte…

  5. Alberto2

    “I consumatori sono più disponibili dunque a comprare merce appartenente a collezioni passate…”

    E’ sconfortante vedere come persone di cultura superiore come l’autrice dell’articolo credano alle favole come questa.
    Ma vi siete mai chiesti quante rimanenze devono avere le case di moda per alimentare l’outlet? E non sono ancora fallite?
    E’ chiaro che propongono a 50 prodotti appositamente realizzati, che costano 10 e non 100!
    Eppure il miraggio “dell’affare” miete sempre più vittime.

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