27
Gen
2012

Hazlitt. Capitolo 14 – Salviamo il settore industriale!

Contro quella che definiscono “politica del laissez-faire” o “capitalismo selvaggio”, i fautori delle politiche interventiste rivendicano la necessità di salvare dalla libera concorrenza i settori industriali che rischiano di fallire. Essi sostengono che non fare tutto questo provocherebbe una perdita tale da indurre al crollo l’intera economia nazionale, dato che l’aiuto statale viene presentato come utile all’intera comunità.

Hazlitt descrive due principali metodi di salvataggio delle industrie: due diverse strade che producono, a suo parere, le stesse disastrose conseguenze.

Il primo metodo è quello delle sovvenzioni, che richiedendo l’aumento delle imposte implica che le risorse dei contribuenti vengano attribuite a un particolare gruppo, con il risultato, in questo caso, di impoverire la maggior parte dei settori a favore di quelli “da salvare”. Il vantaggio – formale, non materiale – che Hazlitt riconosce a questa soluzione è di essere esplicita, pubblica e quindi in qualche modo palese, evitando l’oscurantismo intellettuale necessario, invece, per giustificare il secondo sistema.

L’altro modo di salvare i settori in crisi consiste, infatti, nel dichiararli saturi, chiudendoli al mercato ed elevando barriere a loro protezione grazie a monopoli e cartelli. L’assurdità di questa soluzione è evidente una volta che si riconosca che, in linea di massima, nel mercato le risorse si collocano spontaneamente dove possono generare maggiori guadagni; ma dato che le cose stanno così, deviare artificiosamente l’impiego delle risorse impedisce la migliore redditività della manodopera e tutto questo per mantenere occupata una piccola parte dei lavoratori e non perdere i capitali investiti nelle industrie in crisi. Ma se i capitali non possono liberamente essere impiegati nei settori che attraggono gli investimenti, si ha una perdita generale di ricchezza: meno produttività, salari inferiori, consumi ridotti.

Hazlitt spiega che per avere un’economia in salute è necessario che le industrie pericolanti siano lasciate al loro destino e che le industrie fiorenti si sviluppino senza essere bloccate da interventi pubblici volti a salvare le prime.

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3 Responses

  1. Alberto Magnago

    Certamente la strada ottima sarebbe di lasciare alle loro sorti i settori maturi o che rischiano di fallre. Qui, però, nasce il dramma : molte delle PMI industriali italiane si trovano in questa situazione. Vuoi per incapacità dell’imprenditore a essere tale – la maggior parte di essi sono orgnaizzatori del fare le cose, molto meno organizzatori di impresa – vuoi per mancanza di competenze nuove necessarie a competere su nuovi scenari, vuoi per incapacità di operare al di fuori di un mercato locale tradizionale. Tutto ciò detto cosa ne facciamo dei lavoratori? Li mandiamo per strada? Impensabile. Sarebbe meglio definire politiche adeguate di dismissione che garantissero da un lato la possibilità ai lavoratori – molti, avanti con gli anni e difficilmente “riciclabili” – di raggiungere e maturare quanto necessario per la pensione ovvero di essere riconvertiti in altre aziende, che a detta di Hazlitt dovrebbero fiorire come funghi. Il problema reale è, attualmente, che nessuno ha idea di quali dovrebbero essere i settori di sviluppo “non tradizionali” in Italia né ha idea di come si debbano sviluppare adeguate politiche industriali. Sono un “fervente” liberista ma non posso non cogliere il dramma sociale che è alle porte. Le “liberalizzazioni” proposte non possono sostituire le imprese chiuse o che chiuderanno nei prossimi tempi. Pertanto attuiamo un “protezionismo” sociale di crisi e diamoci da fare per creare condizioni serie di sviluppo con serie politiche industriali e occupazionali.

  2. Hazlitt ha ragione, i drammi derivanti dalle disoccupazioni sono da attenuare tramite apposite politiche di re-immissione nel mercato del lavoro con sussidi di disoccupazione.

  3. Oronzo Turi

    La tesi si può DEFINIRE RAZIONALISMO STUPIDO Non è vero che si svantaggiano gli altri settori specie in una situazione di riduzione dei consumi perchè si risparmiano sovvenzioni alla disoccupazione e si mantiene la spesa per consumi, inoltre si sostitusce importazione di merci ed esportazione di valuta, anzi attivando una esportazione di manufatti si realizza un incremento della capacità di spesa interna (esempio è stato la super agricoltura europea finche è stata sovvenzionata) esempio è addirittura la Cina che pur avendo un surplus commerciale spaventoso (per noi) nel solo anno 2009 ha dato sovvenzioni cash alla sua industria manifatturiera per 900 miliardi di euro (ripeto 900 miliardi di Euro) oltre ad un incremento dei finanziamenti per 2500 miliardi di Euro [dati Asianews], e questa è la voce più consistente che permette alle imprese manifatturiere cinesi di essere più competitive di quelle italiane (e non il marginale risparmio sul costo del lavoro).
    Anche il secondo Argomento è datato e becero (nfatti in america ed inghilterra applicando questo principio si sono trovati ad essere produttori di carta straccia ed oggi se fosse applicato il critrio economico correttaemnte sarebbero due nazioni fallite solo l’impass generale del sistema e ed il potere militare per loro fortuna ancora in loro mani permette loro di tenere artificialmente in piedi due naizoni senza più capacità autonoma di economica avendo perso la manifattura.

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