27
Feb
2012

“L’economia in una lezione”, in una lezione. Libertà e economia

Lo scorso venerdì 24 febbraio con una lezione di Carlo Lottieri è stata inaugurata la Scuola di Liberalismo 2012, ospitata come già un anno fa dal Centro Einaudi di Torino.

Intitolato “Ciò che si vede, ciò che non si vede”, l’incontro si è proposto d’illustrare il pensiero di Frédéric Bastiat, certamente uno dei protagonisti del liberalismo dell’Ottocento e, in particolare, ancora oggi sorprendente per la sua capacità di organizzare razionalmente i propri argomenti.

Lottieri ha sottolineato come la metodologia adottata da Bastiat per certi aspetti anticipi la prasseologia della Scuola Austriaca (Mises, in particolare), dato che muove da assunti semplici ed evidenti che sono sviluppati sul filo della logica. In questo senso, il pensiero di Bastiat si è distinto per aver affermato la priorità del metodo razionale deduttivo rispetto a quello meramente empirico. La realtà ha certamente una grande importanza ai suoi occhi, ma non si può costruire alcuna teoria con la semplice raccolta di dati, che invece diventano comprensibili ed eloquenti alla luce di solide teorie.

La relazione ha anche sottolineato come la conoscenza dell’economia sia fondamentale per comprendere l’ordine sociale spontaneo e, di conseguenza, per superare ogni artificiosa distinzione tra liberalismo economico e liberalismo politico. Un aspetto importante, quest’ultimo, in un Paese come l’Italia, dove il dibattito pubblico è stato a lungo dominato dalla disputa tra  Benedetto Croce e Luigi Einaudi (iniziata durante il fascismo nel 1928 e durata fino al 1949) sulle “priorità” del liberalismo: per Croce, infatti, i principi etico-politici definiscono l’essenza  del liberalismo e non sempre si accordano con il liberismo, mentre per Einaudi le libertà economiche offrono le condizioni essenziali e reali per l’affermazione proprio dei principi etico-politici liberali.

Non è un caso se in italiano esistono due termini distinti, “liberalismo” e “liberismo”, che quasi sempre nella letteratura straniera coincidono. Fuori dal nostro Paese è più comune la comprensione che l’ordine liberale implica un’economia di mercato e che una distinzione tra questi due momenti ha poco senso.

Nel corso della relazione Lottieri ha anche aggiunto di aver spesso riscontrato come gli autentici liberali abbiano sempre una qualche attenzione per la logica economica, mentre questo non è sempre vero per quei sedicenti liberali che sono avversi al mercato. Come spiegare, però, che grandi conoscitori dell’economia ed economisti autorevoli non siano affatto liberali, e nemmeno liberali “confusi”, bensì autentici keynesiani?

La risposta si può trovare in Henry Hazlitt, ne L’economia in una lezione, che s’ispira proprio a Bastiat e riprendendo il celebre (ma mai celebre quanto la “Teoria Generale”, purtroppo) racconto della finestra rotta: un piccolo vandalo danneggia la vetrina di un panettiere, l’osservatore ingenuo vede in questo un danno, ma non la pensa così un passante, persuaso che il fatto non sia negativo per la società, dato che darà lavoro a un vetraio, che a sua volta utilizzerà quei soldi per dar lavoro ad altri, e via dicendo. In realtà, questa considerazione ignora – da qui il titolo del saggio di Bastiat – ciò che non si vede: che il panettiere avrebbe molto più volentieri usato quel denaro, utilizzato per aggiustare la finestra, per farsi fare un vestito nuovo dal sarto. E, d’altra parte, è più ricca una società con un vestito in più o una con una finestra in meno?

L’analisi di Bastiat, e di Hazlitt, resta per tanti versi attuale, se si considera che Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008, dopo l’attacco alle Twin Towers giunse a sostenere che quel disastro sarebbe potuto essere un evento positivo per l’economia degli Stati Uniti, dal momento che avrebbe stimolato nuovi investimenti e innescato un dinamismo che altrimenti, in casi di normalità (pace), non si sarebbe avuto. Ciò che l’economista keynesiano non ha considerato è l’imprevedibile e comunque potenzialmente utile presenza materiale di capitali (le due torri prima dell’attentato e i capitali disponibili prima della ricostruzione), che è vero che non sarebbero stati investiti per la ricostruzione e in tutto il suo indotto, ma che comunque erano risorse in più che non potranno essere investite per beni e servizi altri in più. È sicuramente vero che in assenza di guerre, terremoti o politiche keynesiane il risparmiatore può accumulare risorse senza necessariamente destinarle all’immediato  consumo, ma è altrettanto vero che la scelta di quanto e se consumare (o investire)  spetta al proprietario, e non ad altri. L’ordine giuridico ha il compito di promuovere la società considerando anche le conseguenze indirette e a lungo termine, e per tanto non dovrebbe limitarsi a valutare le conseguenze immediate e su singoli settori e gruppi particolari di questa o quella decisione. Keynes sbagliava quando affermava che nel lungo termine siamo tutti morti, dato che oggi noi stiamo proprio pagando le terribili conseguenze di lungo termine di politiche keynesiane.

Vi sono dunque economisti che conoscono molte teorie e hanno una buona reputazione quale esperti della materia, continuando però a ignorare le basi delle scienze sociali. In tal modo, essi finiscono per consolidare quella che Hazlitt chiamava “l’ortodossia degli errori economici”. Inoltre, la creatività con cui riescono ad attirare attenzione e consensi, distrugge più ricchezza di quanta sappia crearne, distorcendo i meccanismi genuini dell’economia.

Anche senza disporre di una vasta conoscenza economica, adottando il metodo analitico di Bastiat si può riconoscere che nessuna definizione di economia prescinde dallo scopo di “utilizzare risorse scarse per produrre beni utili al minor costo”. Da questo è facile ricavare l’idea che una risorsa in più (una finestra o le Twin Towers) è sempre un vantaggio; e questa è una conseguenza tanto semplice e logicamente necessaria quanto sistematicamente nascosta dai sofismi dei keynesiani, così ben confezionati da farla dimenticare.

Dinanzi alla crisi finanziaria, la distinzione tra “ciò che si vede e ciò che non si vede” rende attuale anche la polemica di Bastiat con Pierre-Joseph Proudhon, che era favorevole al credito gratuito. Quando il sistema finanziario ha cominciato a vacillare, i governi nazionali hanno risposto con politiche keynesiane, sostenute anche questa volta da importanti economisti teorici. “Ciò che non è stato visto” , e che molti continuano a ignorare, è il rapporto causale tra la bolla all’origine della crisi e i tassi d’interesse abbassati artificialmente dalla politica. Una tale scelta, analogamente a ciò che succede con il credito gratuito, altera i meccanismi genuini dell’economia, perché  se lo Stato si assume il rischio di concedere credito a soggetti che altrimenti non lo avrebbero ricevuto, toglie dal mercato risorse che sarebbero state allocate dal credito privato ai più meritevoli, con un grado di rischio inferiore e una più alta probabilità di produrre un aumento di benessere collettivo.

Anche quando provocano danni enormi, le politiche keynesiane vengono riproposte come l’unica soluzione possibile, continuando a far  pagare i contribuenti e condannando il presunto “neoliberismo” malefico.

I sofismi economici statalisti e quella che Lottieri ha chiamato la “mezzacultura” dominante – un insieme di argomenti molto fragili, che però compiacciono i lettori, facendoli sentire colti e raffinati anche quando non capiscono la realtà economica – fanno leva sulla naturale inclinazione alla pigrizia intellettuale e, allo stesso tempo, sul bisogno culturale di sentirsi al servizio del “bene pubblico”.

Seguendo Bastiat e Hazlitt, allora, a noi l’onere di fare sempre uno sforzo cognitivo e comunicativo in più, per convincere i nostri interlocutori che si può trarre utilità dall’esercizio critico e profitto dalla verità: conoscenza e ricchezza, due obiettivi fondamentali dell’economia.

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