9
Feb
2017

Follie: miliardi per prepensionare chi un lavoro ce l’ha, ma niente contributo-libri scolastici ai poveri

Dicono che i giornali non servano a molto. Invece no. Ha colpito nel segno, l’inchiesta condotta per giorni del Mattino sul ritardo abissale con cui nella scuola secondaria si provvede al pagamento dei contributi dello Stato alle famiglie più povere, per i libri di testo dei loro figli. Nel giro di pochi giorni, dal caso napoletano dell’Istituto Virgilio 4 a Scampia, il quotidiano ha ricostruito come lo scandalo vergognoso non sia napoletano, ma nazionale. Purtroppo investe alcune centinaia di migliaia di famiglie, dal Nord al Sud. Figlio di un’incredibile catena burocratica che sin qui passava dal Ministero dell’Interno – che chissà perché deteneva i fondi preposti –  al MIUR che ne stabiliva la ripartizione, alle Regioni e ai Comuni, prima di disporre concretamente il pagamento. Effetto dei ritardi con cui ogni passaggio burocratico veniva espletato, rispetto all’inizio dell’anno scolastico. Ma anche dei diversi criteri seguiti da Regione a Regione per via dell’incomprensibile più che mai “finto” federalismo italiano, a fronte invece di un ammontare di risorse deciso nazionalmente, per tutte le Regioni che non hanno finanza equilibrata e non integrano la somma resa disponibile dal governo, come invece fa la Lombardia. E come se invece lo standard di sostegno alle famiglie con meno reddito non dovesse essere nazionale.

Save the Children ha meritoriamente calcolato che soltanto tre Regioni (e tutte a Statuto speciale) su venti sono virtuose su questo versante, cioè lì i buoni libro arrivano a inizio anno scolastico. Ma in quattro Regioni – Campania, Sicilia, Piemonte e Molise – bisogna attendere almeno due anni. In Piemonte, addirittura, nel 2016 è stato lanciato un bando “su doppia annualità” per l’erogazione degli assegni per gli anni scolastici 2014/15 e 2015/16. A Palermo, racconta Barbara Evola, assessore alla scuola, “stiamo pagando i libri di studio della secondaria risalenti al 2013–2014 e le borse di studio per i meritevoli concesse nel 2011, il tutot riguarda 9mila bambini». A Terni, aggiunge il sindaco Leopoldo Di Girolamo, «lo scorso anno li abbiamo erogati con tre o quattro mesi di ritardo. Quest’anno poi, visto che abbiamo presentato richiesta per il dissesto dei conti, i fondi poi sono congelati fino al via libera del ministero dell’Economia». E via proseguendo, in questo strano paese a casacca di Arlecchino.

C’è la Regione che adotta il comodato d’uso dei libri, quella che paga anche atlanti e dizionari, quella che integra nel caso in cui il costo dei libri adottati ecceda di parecchio il contributo massimale previsto. Ma la stragrande maggioranza paga in ritardo inescusabile, rispetto all’inizio dell’anno scolastico quando i libri servono ai ragazzi. Con tempi inaccettabili, come in Sicilia.  E con la differenza da Comune a Comune derivante dallo stato di salute della finanza dell’ente locale, perché in quelli in predefault amministrati peggio non può essere adottato alcun anticipo di cassa da parte dell’amministrazione, finché la somma non è concretamente versata nel suo conto di tesoreria.

Il ministro Fedeli oggi ha scritto al Mattino, mostrando di condividere la vergogna assoluta della denuncia documentata dal quotidiano. Scrive che salterà il primo gradino della piramide burocratica, quello del ministero dell’Interno, e si comincerà direttamente dalla disponibilità delle somme al MIUR. Ma resta il fatto che non si capisce quale logica presieda a tutti i passaggi che restano, prima alle Regioni e poi ai Comuni. In un paese ordinato, signor ministro, l’iter dovrebbe restare tutto all’interno dell’amministrazione centrale e territoriale del MIUR. Perché il contributo libri nella scuola secondaria – introdotto 4 anni fa – va inteso come espressione di criteri nazionali di eguaglianza delle opportunità costituzionalmente tutelate, non delle variegate politiche di welfare locale affidate a Regioni  e Comuni. Bene quindi che il ministro Fedeli non nasconda l’inaccettabilità, per colpa dell’inefficienza pubblica, di lasciare migliaia di famiglie in tutt’Italia nella vergogna di non poter comprare i libri ai figli, affidandosi alla buona volontà di dirigenti scolastici e insegnanti per provvedere a spese proprie alle fotocopie. Ma siamo ancora lontani dalla radicale semplificazione che sarebbe logica e giusta, per abbattere i tempi della soddisfazione del bisogno al momento in cui si crea. Non quando, magari, molte ragazze e ragazzi nel frattempo hanno abbandonato la scuola, come capita in percentuali più alte proprio laddove il disagio sociale e di reddito si concentra ed è più diffuso. Cioè esattamente dove il contributo serve e serve in tempo: perché se le famiglie avessero i soldi per comprarli, i libri, il contributo sarebbe superfluo.

C’è una legge in cui ci si si imbatte, quando si studiano i fondamenti dell’economia pubblica. Si chiama legge di Wagner, e non c’entra nulla ovviamente l’arcinoto musicista tedesco. Prende il nome dall’economista Adolphe Wagner, che la elaborò. E’ una legge secondo la quale la spesa pubblica tende a crescere, nei paesi avanzati, più rapidamente di quanto cresca il reddito-procapite.  E’ alla radice delle proliferazione dei soggetti pubblici e dell’estensione del loro perimetro, dell’aumento nel tempo delle loro risorse rispetto al PIl, della continua necessità di alzare le tasse per inseguire l’aumento di spesa. Oltre una certa soglia sul PIL – che in Italia è varcata da tempo –  è la legge che spiega perché le amministrazioni pubbliche perseguano innanzitutto il fine di estendere i propri poteri di gestione e di veto, rispetto invece a catene burocratiche e amministrative snelle ed efficienti.

E’ questa legge ad aver disegnato la folle catena di competenze e passaggi burocratici che negano alle famiglie povere di Scampia e di tutta Italia il contribuito per comprare i libri ai figli quando servono.  Un paese che spende miliardi nel welfare per prepensionare chi il lavoro ce l’ha, e non riesce a far comprare i libri ai figli dei poveri, non è un paese in cui non si spende abbastanza, come molti ripetono a torto. E’ un paese invece cui un mare di risorse va a chi ne avrebbe meno bisogno, in cui ci concede il bonus di 500 euro ai diciottenni e agli insegnanti, mentre si nega il dovuto a chi ne ha bisogno assoluto, più di ogni altro. E’ un paese che si riempie la bocca di giustizia sociale, ma la riserva solo a chi ha voce e potere organizzato per farsi sentire nell’arena pubblica del consenso ai partiti. Abbiamo parlato da due anni di scuola incentrando il 95% dell’attenzione sul problema dell’assunzione in ruolo di chi nella scuola lavora, se debba avere la cattedra vicino a casa, o se debba essere chiamato laddove le cattedre sono scoperte. E ci scordiamo bestialmente che la scuola va invece prioritariamente considerata nell’interesse di chi la frequenta. Perché, se è di famiglia povera, è l’unico vero ascensore sociale dal quale può aspettarsi di non morire nella stessa povertà in cui è nato.

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1 Response

  1. Con maggiore sdegno leggo notizie che riguardano disservizi dello Stato e diritti dei cittadini negati per questioni di fondi stanziati… perché da altre parti e per altre spese le disponibilità ci sono, eccome…

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