15
Dic
2010

Eni, Russia, Berlusconi. Dove stanno i soldi?

Il tornado di piombo sulla “torbida relazione” tra il Cav. e Vlad ha impedito a molti di porsi la domanda più scontata: perché l’Eni vuole il gasdotto russofilo South Stream, anziché quello atlantista Nabucco? Come spesso accade, si è trascurata la risposta più semplice: perché lì stanno i soldi.

Si potrebbe replicare, con Giuseppe D’Avanzo, Andrea Greco e Federico Rampini (1, 2, 3), che South Stream è “antieconomico”. Forse. E’ molto difficile dirlo, senza conoscere dettagli precisi che nessuno (tranne Eni e Gazprom) conosce. Però, nella testa del Cane a sei zampe ciò potrebbe essere irrilevante, et pour cause. Presumibilmente, “antieconomico” significa che il costo del gas trasportato via South Stream sarebbe superiore a quello dello stesso gas trasportato via Nabucco. Ammettiamolo pure. Questo è, potenzialmente, un problema per i consumatori. Ma è soprattutto un problema per chi quel gas deve venderlo, a meno che non sia in grado di ribaltare l’extracosto sui consumatori – nel qual caso il problema vero starebbe nella struttura del mercato, e in parte è senz’altro così, non negli assetti proprietari dei gasdotti internazionali.

Il fatto è che nessuno ha mai detto che quel gas sarà gas Eni. Nessuno ha mai neppure sospettato, in verità, che Gazprom – titolare dei giacimenti a cui South Stream attingerebbe – sia intenzionata, o disposta, a cedere parte del suo gas a Eni o altri. E’ ragionevole aspettarsi che South Stream non trasporterebbe altro che gas di Gazprom. Dunque, se l’idrocarburo sia competitivo oppure no è una questione dei russi – non dei loro partner. Allora, l’Eni che ci sta a fare?

La risposta può venire da un’esperienza passata, ma simile: quella di Blue Stream, un tubo sottomarino di 1.250 km che va dalla Russia alla Turchia attraverso il Mar Nero. Eni ha il 25 per cento di Blue Stream, ma non controlla una singola molecola del gas che vi transita (tranne per uno scambio formalmente fisico, ma sostanzialmente finanziario, che si svolge alla frontiera turca e serve per remunerare il capitale). Come tutte le infrastrutture del genere, Blue Stream si finanzia solo in piccola parte con equity, e per il resto a debito. Trovare i capitali in banca fu, all’epoca, compito dei russi. Quanto all’equity di Eni, secondo fonti interne all’azienda, esso garantisce un rendimento tra il 10 e il 15 per cento. I soldi veri Eni li fece in altro modo: cioè aggiudicandosi (tramite Saipem) la realizzazione del tubo. Blue Stream fu una torta da 3,2 miliardi di euro, 1,7 dei quali relativi al tratto offshore: buona parte di questi ultimi andarono a Saipem. A queste condizioni – con zero debito, remunerazione garantita sull’equity, e soprattutto ricche commesse – all’Eni interessava che il gasdotto si facesse: non che il gas trasportato fosse competitivo, non che fosse venduto, e neppure che fosse trasportato.

Torniamo a South Stream. Il modello è, molto probabilmente, lo stesso di Blue Stream. Idem per Nabucco. Dunque, per Eni i due gasdotti sono, in astratto, equivalenti, tranne che per due particolari determinanti. Primo, e meno importante: scegliendo South Stream Eni consolida il suo rapporto con un partner strategico. Secondo, e più rilevante: South Stream vuol dire 900 km di tubo sottomarino che solo Saipem può realizzare, e qualche altro centinaio di km a terra. Nabucco sono 3.300 km tutti a terra, che possono essere divisi in lotti e affidati a “n” soggetti ugualmente bravi. Cioè, South Stream dà la certezza di una grassa commessa per Saipem; Nabucco no. I giochi sono solo e tutti lì.

Come si è visto, l’eventuale non-competitività di South Stream può tuttavia scaricarsi sui consumatori finali. I critici – se credono che esso non sia effettivamente competitivo – dovrebbero impegnarsi nell’aprire i mercati a valle, creando una concorrenza vera e rimuovendo (e facendo rimuovere) ogni sussidio erogato a qualunque titolo. In questo modo, la questione si trasferirebbe sui desk delle banche: è economico quel che è bancabile, punto, perché il recupero dei costi non è garantito.

In tutto questo, non solo non c’è traccia, ma più profondamente non c’è bisogno di Silvio Berlusconi. Che egli abbia degli interessi privati oppure no, può essere al massimo un de cuius; può investire la scelta di un intermediario anziché un altro, ma è ridicolo pensare che l’influenza di Palazzo Chigi arrivi tanto lontano. Anche perché quella che finora è stata la firma più importante risale al 23 giugno 2007, con Romano Prodi presidente del Consiglio, Pierluigi Bersani ministro delle Attività produttive e Massimo D’Alema ministro degli Esteri, un anno dopo la vittoria elettorale del centrosinistra e molto prima che la crisi dell’Unione divenisse evidente. Pensare che il Cav. potesse manovrare i fili in quelle condizioni equivale a credere che Prodi, Bersani e D’Alema fossero troppo stupidi, troppo distratti, o troppo filorussi o cointeressati per accorgersi di quello che facevano Non credo che fossero né l’una né l’altra cosa e penso che sapessero benissimo cosa stavano firmando. Peraltro, L’inizio della progettazione di Blue Stream risale al 1997, il Memorandum of understanding con l’Eni al 1999, e la costruzione avvenne tra il 2000 e il 2002: quasi tutto si svolse quando in Italia dominava il centrosinistra. Poiché le due operazioni appaiono strettamente imparentate, viene da pensare che, storicamente, centrodestra e centrosinistra sono stati ugualmente interessati, o disinteressati, alla relazione tra Italia e Russia; ugualmente leader, o follower, dell’Eni; e ugualmente attenti, o disattenti, alle implicazioni geopolitiche di tali scelte.

E’ vera una cosa: ci sono alcuni indizi di coinvolgimenti berlusconiani. Ma su una scala molto inferiore. Il caso, troppe volte citato, di Bruno Mentasti – l’intermediario vicino al Cav. che avrebbe dovuto commercializzare gas russo in Italia – è indicativo non solo perché si pone, per la dimensione dell’investimento, a qualche anno luce di distanza dalla realizzazione di un gasdotto, ma anche perché – per imperizia, goffaggine o mancanza del pudore – non se ne fece nulla. C’è altro? Forse, diciamo pure probabilmente. Ma è un “altro” rispetto al quale gli stessi D’Avanzo, Greco e Rampini non hanno prova alcuna, distillano voci nell’aria. C’è di sicuro – ma questo non lo dicono – un perverso allineamento di interessi tra l’Eni e il governo che però non dipende da Berlusconi, ma è congenito nel fatto che il più grande gruppo industriale italiano è pubblico al 30 per cento. Questo è il vero conflitto di interessi e questo andrebbe sciolto – privatizzando l’Eni. Tutto il resto è un ricamare sull’inutile per evitare l’ovvio.

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11 Responses

  1. carlo

    d’avanzo e soci potrrebbero approfondire l’ inchiesta dei loro colleghi dell’ espresso che avevano scoperto già nel 2007 che l’ oligarca vekselberg ha piazzato nei cda di alcune società inshore e offshore amici e conoscenti di d’alema. uno in particolare è quel de santis ( quello della merchant bank che non parla inglese) che gli ( si fa per dire ) vendette la barca. un personaggio di nessuno spessore a parta la fraterna amicizia di d’alema. che però si ritrova nel consiglio di amministrazione della avelar energy del gruppo renova fianco a fianco dell’ oligarca del gas.

  2. Federico

    Bellissimo articolo davvero. Mi sembra di poter solo qui avere accesso ad una sorta di “controinformazione” dove si fa chiarezza sui fatti e non su teoremi costruiti ad arte (vd questo articolo, il precedente su Eni, quello di Oscar su Parmalat e le banche). Meno male che le “verginelle” che vogliono insegnare tutto a tutti dall’alto della loro supposta e autocertificata superiorità morale accusano chi non la pensa come loro di essere rimbambiti dalle televisioni di regime. Invece abbeverarsi a Repubblica, Fatto, Espresso, Report, Anno Zero, etc è ricevere informazione scevra di ogni distorsione, ovviamente…

  3. Marco Borriello

    Perfetto, quello che manca in Italia oltre ad una classe politica che riacquisti un minimo di onestà intellettuale (ad un politico è dura chiedere ciò) ovvero che non trasformi qualunque notizia in un’arma da brandire addosso al “nemico” non curandosi dei retroscena e della genesi di quella notizia, è una folta schiera di giornalisti (di ambo le parti ma mi sembra che quelli di alcuni giornali sono più numerosi vista la loro cattiveria nel trovare gli scoop) meno superficiali e faciloni che con la scusa di fare scoop e quindi di attirare lettori sparano in prima pagina balle vendendole come l’ennesima porcata di quello o di quell’altro, anzi semmai querelati si offendono e gridano alla libertà di stampa.

  4. Meno male che ci fu’ un personaggio come Mattei, meno male che c’e’ l’Eni altrimenti sapete quanto pagheremmo il gas? Le grandi aziende italiane che operano sul mercato mondiale fanno bene a difendere i propri interessi e cercare di vincere grandi appalti o creare joint-ventures, e’ nell’interesse del nostro Paese, altrimenti i Gruppi stranieri ci mangerebbero vivi.
    ” Se Gesu’ fosse Tremonti…” su blog:www.segesufossetremonti.blogspot.com.
    Anton

  5. TRADER

    l’articolo è bello.. ma richiede alcune precisazioni.. ed in parte non lo condivido..

    1) about Dalema quel che dice il lettore Carlo è sorry ok

    2) about Silviuccio… bè non facciamo finta d’esser scemi.. tra l’altro basta ricordare che per pura coincidenza Gazprom voleva entrare nel Milan.. poi parrebbe che non se ne sia fatto niente.. e poi ancora improvvisamente dopo anni di downsizing della squadra ecco che spuntano i soldi x una supercostosa (e ben fatta) campagna acquisti (battutina: come nel Parlamento:)…

    3) la Russia ha il gas.. da esso deriva la sua capacità di tenere sotto controllo una finanza pubblica disastrata.. il suo miglior cliente x ovvii motivi è la vecchia Europa..
    indi cercano agganci con i leader nostrani.. ho sentito parlare pure di Scrhoeder (scaste ortografia) in Germania.. Silviuccio da noi..

    4) di tubi dicono ce ne siano già troppi.. con la crisi del pil pare i consumi siano calati del 9%.. e fra due anni tutti sanno che col double dip (non mi dilungo: ma dall’analisi delle aspettative implicite nei mkt dei derivati a fine 2011/2012 è dato x certo) si svuoteranno ancor di più…

    5) in Usa il non conventional gas (nuova scoperta degli ultimi anni) ha fatto crollare i prezzi con prospettive di piattume x i prox 100 anni (a tanto ammontano ORA le loro riserve)… ok.. i riflssi sui prezzi in Europa è difficoltosa.. hanno azzerato le importazioni di liquefatto.. che ora dovrebbe x questa via andar un pò di più in Europa.. e premere un pò sui prezzi…

    6) indi la Russia ha un problema di Pricing (e quindi di marginalità) e dovrà tentare fare Marketing Politico (Silviuccio è solo uno dei mezzi) x tenere + alti i prezzi qui da noi…

    7) ok x la commessa Saipem… ma chi lo pagherà questo tubone ? … semplice.. noi..

    8) un aumento della concentrazione delle fonti è STRATEGICAMENTE un suicidio..
    OGGI dicono che Russia valga 15%… e DOMANI quanto varrebbe… tu lo sai ?

    9) se poi l’Italia si sganciasse “di fatto” dal Gasdotto comunitario (come voci avrebbero fatto segretamente semi-trapelare) saremmo in guai grossi..

    10) domanda: mi spieghi secondo te che connessione c’è tra la riorganizzazione di SNAM RG e South Stream ?

    11) domanda: se liberalizzi la distribuzione a valle come dici tu ma lasci il monopolio a monte Eni allora l’ Unico Venditore ha + forza con Frammentati Compratori e salgono i prezzi invece di scendere..

    12) about incentivi: ma Silviuccio non ha x caso fatto una bella riservina di Gas sottoscosto ritagliata quasi apposta x l’azienda della Presidente di Confindustria che notoriamente è stata (prima volontariamente.. ora forzatamente) sua alleata..
    che dici… gli leviamo pure quella 🙂 ?

  6. Vittorio Vezzola

    A parte che con south stream si arriva ad una dipendenza dalla russia molto marcata. Ma poi dove stanno i soldi lo vanno a raccontare a Stagnaro? La sua è un’opinione come un’altra e non dimostra nulla.

  7. luigi

    @TRADER:
    ma tu per caso in una vita precedente in questo forum non ti chiamavi “Piero” e ce l’avevi tanto con il digitale terrestre Mediaset?

  8. Piero

    @luigi

    corretto Piero Trader… non ce l’ho col Digitale Mediaset.. ce l’ho col fatto che l’aumento frequenze avrebbe potuto aprire concorrenza economica e pluralismo informativo (non confondere con obiettività che nessun editore ha.. Mardoch x primo).. invece Silvio sè l’è date a sè a suoi amici od a piccoletti che non disturbano.. ma su questo sito di liberisti al 50% sempre zitti e muti… questo silenzio è proprio brutto e non fa onore a questo sito..

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