24
Gen
2012

Decreto liberalizzazioni: l’illusione bancaria

I commenti di chi mi ha preceduto nell’analizzare su Chicago Blog il decreto immaginificamente battezzato “Cresci Italia” – più che un invito, un’implorazione – hanno messo in luce la forte tensione tra la relazione al provvedimento e la sua caratterizzazione – per così dire – ideologica, da un lato, e molte delle sue previsioni concrete, dall’altro; in altre parole, la contraddizione tra vere e false liberalizzazioni. Le misure in materia bancaria, concentrate negli articoli 28 e 29, non sembrano sfuggire a questa ambiguità.

L’articolo 28 interviene sulla disciplina dei sistemi elettronici di pagamento (nonché, en passant, sui conti correnti). Si prevede un meccanismo di concertazione a supervisione pubblica al fine di «assicurare una riduzione delle commissioni interbancarie a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento». Non vi è chi non colga la relazione causale tra questo intervento e i sempre più stringenti limiti alla diffusione del contante. L’Esecutivo ha, cioè, imposto una misura (la proibizione all’utilizzo del cash per pagamenti oltre i 1000 euro) senza valutarne attentamente le controindicazioni non tanto qui in tema di libertà personale, bensì quanto allo sbilanciamento della relazione contrattuale tra esercenti ed intermediari finanziari; e tenta così di ovviare con un’ulteriore vulnerazione della libertà economica, secondo lo schema classico dello statalismo circolare. L’archiviazione del tetto esplicito alle commissioni praticabili – affermato dal decreto “Salva Italia” nella misura dell’1,5% – è un miglioramento marginale che non altera la valutazione sulla misura.

L’articolo 29 prescrive, per le banche e gli intermediari finanziari che condizionino la concessione di un mutuo alla contestuale conclusione di un contratto di assicurazione, l’obbligo di presentare al cliente non meno di due preventivi, provenienti da due gruppi diversi. Si tratta di un onere che ricalca quello a carico delle imprese di assicurazione, alla cui analisi si può rimandare. Aggiungo qui un paio di considerazioni. In primo luogo, la norma appare ancor più invasiva perché interviene principalmente non su una relazione di agenzia, ma su rapporti organici di dipendenza: e cioè non solo mira a modificare i modelli commerciali del settore, ma effettivamente costringerebbe un soggetto a promuovere prodotti di aziende concorrenti. Inoltre, la portata pro-concorrenziale del divieto in discorso – che, peraltro, l’Antitrust avrebbe potuto imporre puntualmente in presenza di abusi conclamati – appare discutibile allorché si ragioni su un suo prevedibile effetto: quello di incentivare tra i gruppi bancari e assicurativi forme di collaborazione speculare e reciproca orientate al rispetto della mera lettera della norma.

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1 Response

  1. Maggioranza silenziosa

    Per un mutuo è OBBLIGATORIA solo l’assicurazione sullo scoppio/incendio dell’immobile oggetto di ipoteca.
    Le banche “propongono” l’assicurazione sulla vita come presupposto per la delibera del mutuo, ma NESSUNO è obbligato a stipularla.
    Presentato in questo modo, l’art. 29 può diventare l’escamotage che consentirà alle banche di imporre l’assicurazione sulla vita.
    In questo caso i mututatari dovranno mettere in conto, a seconda della loro età e della durata del mutuo, una spesa anche superiore ai 10/15.000€ che le banche, gentilmente, si offriranno di finanziare.
    Questo perchè il premio assicurativo sarà pagato in un’unico importo all’accensione del mutuo.
    Se vogliamo parlare dell’importanza di questo business per le banche, teniamo conto che fino al 60% di tale premio è il margine di ricavo per la filiale, che entra subito nel suo conto economico.
    Basterà che la banca, oltre alla compagnia di casa, faccia delle convenzioni con almeno un’altra compagnia vita (in un rapporto di finta concorrenza), per legalizzare una ulteriore vessazione ai danni dei consumatori.

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