23
Ott
2013

Dal decreto istruzione un contributo alla concorrenza postale?

Il decreto istruzione, attualmente all’esame della Camera, pare destinato a estendere i propri effetti ben oltre l’ordinamento scolastico. In ossequio della consueta caccia al tesoro per le coperture, il provvedimento disponeva dapprima un insaprimento delle imposte ipotecaria, catastale e di registro e un aumento delle aliquote di accisa su birra, prodotti alcolici intermedi e alcol etilico. Un emendamento introdotto da Giancarlo Galan, relatore in Commissione Cultura, risparmierebbe il primo provvedimento, supererando il secondo tramite un intervento sull’esenzione IVA riconosciuta ai servizi postali rientranti nel servizio universale.

La disciplina comunitaria richiede agli stati membri di applicare tale privilegio alle prestazioni di recapito effettuate dagli operatori del servizio universale nell’ambito di quest’ultimo (direttiva 2006/112/CE, art. 132, co. 1); e la normativa italiana in materia di imposta sul valore aggiunto recepisce il medesimo orientamento (d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, co. 16). Alla luce di tali elementi, potrebbero apparire giustificate le perplessità di chi paventa il rischio di una procedura d’infrazione da Bruxelles.

Tuttavia, la storia non finisce qui. In primo luogo, i paesi dell’Unione godono di una considerevole elasticità nel determinare il perimetro del servizio universale. Inoltre, come ha riconosciuto la Corte di giustizia, e come ha confermato nel marzo scorso – proprio sulla scorta di quel pronunciamento – l’Antitrust, i requisiti per l’esenzione vanno interpretati in modo alquanto restrittivo, escludendone la configurabilità nel caso in cui le condizioni del servizio siano il frutto di contrattazione individuale tra l’operatore del servizio pubblico e l’acquirente,

Su questa linea si situa anche l’emendamento Galan, il quale precisa che esulerebbero dal campo di applicazione dell’IVA unicamente quelle prestazioni fornite a consumatori non professionali alla tariffa massima regolata; rientrerebbero, pertanto, nell’ambito del tributo i soli servizi business. Sembra del tutto azzardato ipotizzare ingerenze comunitarie in risposta a scelte legislative che non solo non collidono con la normativa europea, ma anzi si conformano all’interpretazione sposata dalla CGUE.

Invero, l’emendamento presta il fianco ad alcune critiche: il secondo comma dell’art. 25, con formulazione ambigua e demagogica, vieta all’operatore postale «di traslare l’onere della maggiorazione d’imposta sui prezzi al consumo»; infine, l’inserimento di una simile previsione in un provvedimento dedicato a tutt’altra materia perpetuerebbe il deprecabile e ormai tradizionale ricorso a strategie legislative improvvisate.

Occorre, però, osservare che l’incremento delle accise sugli alcolici sarebbe almeno altrettanto fuori posto; che un’impresa che riesce a scialacquare 75 milioni nell’ennesima operazione di sistema potrà altrettanto agevolmente sopportare un lieve incremento fiscale; che tale inasprimento tributario, infine, contribuirebbe a rafforzare la concorrenza nel mercato postale e forse a promuovere una discussione sul corretto perimetro del servizio universale. Ogni occasione è buona per una piccola iniezione di mercato.

@masstrovato

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