9
Ago
2010

Crescere di più, non frottole politiche

Le prossime settimane di agosto saranno decisive, per capire se il governo riuscirà  davvero stringere un patto di legislatura con la neonata componente guidata dall’onorevole Fini. In queste settimane, bisogna augurarsi che gli organi d’informazione e la maggioranza degli osservatori economici del nostro Paese sappiano levare una voce decisa, una voce che richiami la politica alla responsabilità.  C’è una priorità, che non è né  l’incomprensione personale tra Fini e Berlusconi.  Né la volontà del  premier  di un’intesa che non faccia sconti, e che comprenda innanzitutto la sempiterna giustizia: dove tanto per cambiare l’errore è stato di non occuparsi della riforma dell’ordinamento ma di ciò che serviva nei processi. E’ l’economia, la grande dimenticata. L’attenzione va richiamata sulla necessità di consolidare la ripresa. Spero che media e osservartori lo capiscano. E’ la priorità delle priorità. Mentre la politica sembra come persuasa che ormai gli andamenti economici siano del tutto indipendenti da quel che essa può fare, dopo che si è comunque evitato – ed è un merito, comunque la si pensi per il resto sul governo – che spesa pubblica e deficit finissero fuori controllo, trascinando anche l’Italia nella crisi dell’eurodebito. Al contrario, non è affatto così. Basta richiamare un dato di fatto, per comprendere come proprio ora la politica dovrebbe pensare a uno sforzo straordinario.

Nel secondo trimestre l’Italia ha consolidato la sua ripresa, con un aumento dello 0,4% del PIL sul trimestre e un più 1,1% su base annuale. La disoccupazione ha invertito il suo segno, non aumenta più ed è scesa di qualche decimale, all’8,4%. In Europa c’è chi sta molto peggio, dalla Grecia alla Spagna. Ma l’Italia è il secondo Paese manifatturiero ed esportatore in Europa dopo la Germania, ed è alla Germania che noi dobbiamo guardare. Orbene la Germania ha preso a crescere nel secondo trimestre a un ritmo praticamente doppio del nostro. Significa che le imprese tedesche stanno riposizionandosi sui mercati che “tirano”, a cominciare dall’Asia e dalla Cina, più rapidamente di noi, e per questo fanno il pieno di ordini. Il governo tedesco è in crisi nei sondaggi popolari peggio di quello italiano, visto che l’83% dei tedeschi si è dichiarato ieri insoddisfatto della Merkel, ma in realtà tiene malgrado al Bundesrat abbia perso la maggioranza. Tiene perché ha fatto l’esatto contrario di ciò che quasi sempre preferiscono i governi, di fronte a una seria crisi economica. I tedeschi hanno sopravvalutato il loro deficit pubblico tendenziale, e sottostimato la crescita reale. Non sarà un sistema ortodosso, ma è più virtuoso del suo contrario.

Proprio per questo, il governo italiano non può considerare la politica economica come un tema secondario. Servirebbero scelte rapide e aggiuntive. Questa volta non sul versante della finanza pubblica: l’impegno su quel capitolo può limitarsi a un’intesa blindata perché la finanziaria del prossimo autunno consista solo di tre articoli e tre tabelle, senza ridiscutere saldi e tagli della manovra biennale appena approvata, ma semmai rendendoli ancora più stringenti. Quel che serve oggi, da parte della politica, è uno sforzo straordinario per consentire alle imprese di collocarsi più dinamicamente nella ripresa mondiale. Servono cioè iniziative rapide per rispondere a tre obiettivi: più capitale, più produttività, più occupati.

Per dare più equity alle imprese leader sull’export, si può e si deve rendere immediatamente operativo il Fondo per la capitalizzazione delle piccole e medie aziende che era stato convenuto tra imprese e governo ormai un anno fa, ma che non è decollato. Se ci sono problemi per l’autorizzazione necessaria da parte di Bankitalia, forse è perché il modello su cui hanno trattato  banche e Tesoro rischia di apparire più una scelta di risulta a favore di soggetti a cui le banche negano capitale, che un vero veicolo di mercato capace di scegliere i soggetti che razionalmente e internazionalmente è più utile sostenere, per i prodotti e le tecnologie di cui dispongono. Ma è un nodo da sciogliere anche a ferragosto se necessario, perché dal primo settembre il Fondo sia finalmente operativo e il più rapido possibile nelle sue procedure e decisioni.

Quanto alla produttività, occorre un’operazione-verità. Dalle grandi crisi, escono prima e più forti le economie che consentono alle imprese la più rapida e decisa ristrutturazione, per rispondere meglio al mutare della domanda. Ristrutturare significa investire, ma anche rivedere le piane organiche dei dipendenti in eccesso. Invece, non solo in Italia ma persino negli Stati Uniti, la politica preferisce non affermare questa elementare verità e si fa mettere sotto da coloro che dicono che finché non si torna alla piena occupazione allora la ripresa è finta, e riguarda solo il capitale. Nell’Italia di oggi, dove a distanza di 20-22 mesi preferiamo tenere i cassintegrati in deroga nell’illusione che torneranno tutti a lavorare dove stavano, bisognerebbe autorizzare le imprese che non hanno prospettiva di riassorbirli a recedere. La parola d’ordine dovrebbe essere “una-dieci-cento Pomigliano”. Non “Pomigliano è solo un’eccezione”.

Dopodiché si potrebbe giustamente dire: ma che costo sociale comporterebbe, questa politica economica straordinaria fatta d capitale e produttività alla tedesca? E’ la stessa domanda alla quale ha risposto da par suo Edmund Phelps sul New York Times tre giorni fa. Si riferiva agli USA di Obama, dove la ripresa promessa dai keynesiani al potere stenta malgrado il deficit pubblico stellare. E faceva l’esempio di Singapore, la frontiera più avznaata del libero mercato.  Ma quel che ha proposto vale anche per l’Italia. Meglio, molto meglio, un piano governativo di detassazione aggiuntiva per chi assume in altre imprese i disoccupati strutturali vittime della crisi, piuttosto che tenerli in cassa integrazione impedendo alle imprese di ristrutturare.

Sono solo tre esempi, non ho alcuna pretesa – né alcuna voglia, a dire il vero, perché è buona regola che ciascuno risponda del suo, e il tempo mi sembra e spero voglia avvicinarsi – di sostituirmi al ministro Tremonti , a Berlusconi e all’intero governo. Ma se la politica oggi perde di vista che l’economia mondiale corre e punisce i distratti, non ci sarà raffinata alchimia personale capace di evitare che l’Italia cresca meno di quel che potrebbe e dovrebbe.

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3 Responses

  1. Caber

    In Italia a nessuno importa del costo sociale, o del costo economico.
    Esiste solo il costo politico. Che nessuno ha il coraggio di investire.

  2. michele penzani

    E’ vero:”Servono iniziative rapide per rispondere a tre obiettivi: più capitale, più produttività, più occupati.”…Ed è altrettanto vero che il Governo deve spingere l’acceleratore affinchè i tre punti possano non rimanere solo un auspicio. Ma ciò è reso possibile solo se le banche si decidono davvero ad allentare la morsa al credito alle PMI. Che Palazzo Koch lo riconosca non è molto e le vicissitudini dei famosi “tremonti-bond” sono più che un sospetto di dimostrazione del “braccino corto” avuto sin qui dagli istituti di credito ; ancor più se si pensa ai bassi tassi d’interesse imposti dalla BCE (ma al percorso semi-autonomo degli spread applicati dalle banche).
    Affermare che il modello creditizio, su cui hanno trattato le banche ed il Tesoro, “rischi di apparire più una scelta di risulta a favore di soggetti a cui le banche stesse negano capitale”, in un periodo storico che intercorre tra dall’avvento dell’euro, i parametri di Maastricht, Basilea 2 ed oggi, (etc.), cioè senza la possibilità da parte del nostro Stato di avere un qualsiasi controllo economico per poter fare qualcosa, è un lodevole esercizio di stile ed educazione da parte di chi ha scritto l’articolo…In pratica risulta difficile pensare malignamente al possesso del pugnale dalla parte del manico delle banche stesse (del resto una sospetta “ferita da taglio” credo possa essere rappresentata da quello che fu offerto agli imprenditori abruzzesi nel dopo terremoto: 2 anni di proroga e cumulo del pagamento del debito nei restanti 3 anni…).
    In quest’ottica risulta difficile pensare che il Governo abbia un margine di azione che non dipenda dalla volontà di apertura al credito da parte degli istituti di credito; notando poi come negli ultimi mesi sia leggermente aumentata la produzione e che l’attenzione sia riconducibile, ovviamente, alle prossime mosse della BCE, ci potrebbe sempre essere lo sconforto, da parte delle PMI italiane, di vedersi allentata la morsa all’accesso del credito con tassi diversi da quelli attuali…In ogni caso bene guardare alla Germania, in funzione delle nostre potenzialità e operatività nell’export, ma pur sempre penalizzati da una normativa commerciale europea da italiani e non da tedeschi…E come è noto, i secondi non sono considerati di serie B e pesano di più a Bruxelles.
    Speriamo in bene.

  3. Alessandro Rossi

    “Per dare più equity alle imprese leader sull’export, si può e si deve rendere immediatamente operativo il Fondo per la capitalizzazione delle piccole e medie aziende che era stato convenuto tra imprese e governo ormai un anno fa, ma che non è decollato. Se ci sono problemi per l’autorizzazione necessaria da parte di Bankitalia, forse è perché il modello su cui hanno trattato banche e Tesoro rischia di apparire più una scelta di risulta a favore di soggetti a cui le banche negano capitale, che un vero veicolo di mercato capace di scegliere i soggetti che razionalmente e internazionalmente è più utile sostenere, per i prodotti e le tecnologie di cui dispongono”.

    Caro Giannino, mi sbaglierò ma se non è una frottola politica questa non so veramente cosa lo sia! Dobbiamo credere possa essere un fondo pubblico per la capitalizzazione delle piccole e medie imprese a vedere più lungo degli operatori finanziari già sul mercato? Qualsiasi fondo pubblico non può che operare scelte di risulta che tradotto significa solo scelte “politiche” e, cioè, ancora, fuori mercato, dal momento che “i soggetti che razionalmente e internazionalmente è più utile sostenere” li ha già individuati, selezionati e sostenuti il mercato stesso. Sostenere l’export, poi, significa sempre e solo sostenere alcuni imprenditori che esportano. Chi decide chi sostenere? Non è meglio lasciar fare?!

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