7
Apr
2021

Maratona concorrenza: aprire i porti

L’Antitrust non trascura neanche i porti. La segnalazione inviata al Presidente del Consiglio ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza riserva una serie di proposte per la liberalizzazione del settore delle infrastrutture e delle attività portuali, settore ritenuto – insieme alle settore delle infrastrutture digitali e al settore delle infrastrutture energetiche – decisivo per la crescita e la competitività, specie nella delicata fase economica in essere determinata dalla crisi epidemiologica. In ogni caso, si tratta di misure che sono preordinate all’attrazione degli investimenti necessari per adeguare gli scali italiani alle nuove esigenze dei traffici marittimi internazionali a partire dall’ampliamento, l’elettrificazione e l’automazione delle banchine, senza tuttavia arrivare a proporre una riforma integrale della normativa di settore volta a dare una assetto pienamente concorrenziale al comparto.

Anzitutto, l’analisi dell’AGCM si concentra sulle procedure di rilascio delle concessioni che, in oggi, sono ancora le medesime delineate nel codice della navigazione e nel relativo regolamento di attuazione risalenti rispettivamente al 1942 e al 1952, nonostante i ripetuti tentativi di riforma susseguitisi e mai attuati per la contrarietà più o meno aperta degli incumbent. A essere oggetto di particolare attenzione è l’assenza di criteri conoscibili ex ante per la selezione dei concessionari degli spazi portuali, ivi compresi i terminal contenitori maggiormente bisognosi di intervento per essere in grado di competere con gli omologhi nordeuropei. L’iter oggi seguito è ancora imperniato sull’iniziativa degli stessi operatori (di solito i concessionari uscenti interessati a un rinnovo): tutto prende avvio con un’istanza di concessione soggetta a pubblicazione per una fase competitiva di tipo eventuale destinata ad attivarsi soltanto in caso di successiva presentazione di istanze concorrenti senza una previa definizione dei parametri di valutazione. In effetti, l’Amministrazione portuale non è vincolata a criteri predeterminati ma è sostanzialmente libera di determinarsi, seppure tenuta a motivare la propria scelta in termini di “più proficua utilizzazione” ai sensi dell’art. 37 cod. nav. Questo sistema non comporta solamente una obbiettiva tensione con i princìpi di parità di trattamento e non discriminazione di matrice europea stigmatizzata dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 marzo 2016, n. 889) ma anche una scarsa contendibilità delle banchine e delle altre aree portuali, disincentivando investimenti, efficienza e innovazioni. In quest’ottica, non si può dunque che condividere la proposta dell’Autorità Garante nel senso di individuare finalmente criteri certi, chiari, trasparenti e non discriminatori per il rilascio delle concessioni demaniali portuali. Come correttamente evidenziato, ciò, data la specificità del contesto, non può tradursi nella semplice estensione della disciplina dei contratti pubblici alle concessioni portuali, quanto piuttosto nell’elaborazione di strumenti di valutazione dei programmi di impresa degli aspiranti concessionari tali da consentire decisioni oggettive e verificabili in modo uniforme sul piano tecnico ed economico finanziario.

In secondo luogo, la Segnalazione si sofferma sul divieto di detenere più concessioni nel medesimo ambito portuale, suggerendone il superamento perlomeno nei porti di grandi dimensioni alla luce delle evoluzioni dei servizi portuali che si trovano a competere più tra scali diversi che non all’interno dello stesso scalo. La limitazione tuttora prevista dall’art. 18 c. 7 della L. n. 84/1994, infatti, non appare più in linea con l’attuale dimensionamento del mercato rilevante di settore che – come pure, in qualche misura, riconosciuto dal legislatore delle recente introduzione delle c.d. Autorità di Sistema Portuale – si estende oltre il singolo porto per arrivare a comprendere intere aree comprendente più porti. In questo mutato contesto, il divieto non risponde quindi a effettive esigenze di tutela della concorrenza ma costituisce piuttosto un ostacolo ingiustificato alla crescita delle imprese portuali che intralcia l’attuazione interna dei processi di integrazione industriale in atto nei porti fuori dall’Italia e finisce con l’impedire di raggiungere le economie di scala necessarie per competere con gli operatori degli altri porti europei. Posto che in passato l’Antitrust ha ristretto all’ambito portuale il perimetro delle dinamiche concorrenziali da scrutinare ai fini dell’esercizio del proprio potere sanzionatorio (cfr. Provvedimento n. 11404 ( A298 ) O.N.I. + ALTRI/CANTIERI DEL MEDITERRANEO-BACINI NAPOLETANI), la proposta costituisce un innegabile progresso. Un simile approccio, pur apparendo a prima vista meno ortodosso, risulta, a ben guardare, più coerente con gli obiettivi procompetitivi perseguiti dalla stessa Autorità che dovrebbero mirare alla tutela della concorrenza ed evitare distorsioni nel continuo processo di adattamento dimensionale delle imprese. 

L’ultima area di intervento suggerita dall’AGCM è infine la limitazione all’autoproduzione dei servizi portuali da parte dei vettori marittimi di recente introdotta per contenere gli effetti dell’epidemia sulle compagnie portuali. In particolare, a essere oggetto di contestazione è la previsione contenuta dall’art. 199 bis del D.L. 19 maggio 2020, n. 34 conv. In L. 17 luglio 2020 n. 77 che, inserendo un nuovo comma 4 bis all’art. 16 della L. n. 84/1994, circoscrive la possibilità di svolgere attività in autoproduzione al solo caso in cui non vi siano le necessarie attrezzature o maestranze nel porto di attracco. Tale previsione, seppure motivata da bisogni contingenti collegati alle difficoltà economiche del momento, rappresenta una misura di carattere ordinamentale – tant’è vero che il legislatore ha scelto di novellare la legge portuale anziché limitarsi adottare una misura temporanea. In disparte ogni spontanea valutazione sulla compatibilità con l’ordinamento europeo, è innegabile che si tratti di una significativa compressione della libertà organizzativa dei vettori cui è imposto di avvalersi dei servizi erogati dalle compagnie portuali anche se in grado di fare da sé. Anche questa limitazione ha inevitabili ripercussioni sulla competitività dei porti italiani chiamati a contendersi i traffici con porti dove non sussistono analoghe imposizioni. Anche la proposta di abrogazione indicata dalla segnalazione merita pertanto di essere condivisa, in attesa di un radicale ripensamento delle compagnie portuali che, accompagnato dalle necessarie misure sociali a tutela dei lavoratori attualmente in organico alle varie realtà esistenti nei principali scali italiani, conduca a una piena liberalizzazione dell’intermediazione di manodopera anche in ambito portuale.

Il primo articolo della maratona #concorrenza2021 e la lista degli altri articoli sono disponibili qui.

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