5
Mag
2014

Addio a Gary Becker

Sabato, all’età di 83 anni, è scomparso Gary Becker, premio Nobel per l’economia nel 1992. Becker si è distinto per l’eterogeneità dei suoi interessi di ricerca: ha applicato la logica economica a una molteplicità di questioni, dalla discriminazione sul lavoro alle leggi sul salario minimo, dalle scelte relative a matrimoni e figli all’importanza dell’istruzione e dell’investimento in “capitale umano”, dal consumo di droghe fino alla criminalità. Nel farlo, l’economista americano ha saputo coniugare il rigore empirico a una lucida lettura della teoria sottostante: Becker non si cullava né nell’illusione che i dati potessero “parlare da soli”, né nella tentazione di ignorare la realtà per rifugiarsi in qualche teoria internamente fortissima ma incapace di spiegare veramente il mondo circostante. Al contrario, come spieghiamo con Simona Benedettini in un articolo che uscirà domani su Il Foglio, Becker ha saputo innovare profondamente il modo di fare economia e la percezione stessa dell’economia da parte di terzi.

L’eclettismo intellettuale di Becker è il sintomo di una curiosità onnivora, ma anche di una rara chiarezza metodologica. Il premio Nobel non vagava da un tema all’altro per noia, ma perché il fulcro della sua ricerca stava appunto nell’adozione di un metodo, di una chiave di lettura delle cose: il senso del viaggio intellettuale di Becker, per parafrasare Fabrizio De André, era appunto viaggiare alla ricerca di “regolarità”. In altre parole, il suo obiettivo non era il “fenotipo” (che si parlasse, cioè, di crimine o di scuola) ma il “genotipo” (cioè le azioni degli individui e le ragioni da cui esse derivavano).

L’individuo di Becker era razionale ma non egoista; anzi, era razionalmente altruista. Nessun uomo è un’isola, neppure per gli economisti: l’individuo che “massimizza la propria utilità” lo fa tenendo conto che vive all’interno di una comunità, e dunque orienta molte delle sue decisioni a perseguire obiettivi che non hanno necessariamente natura monetaria.

Per questo la conclusione di Becker è tipicamente favorevole al mercato: il mercato consente la massima libertà di scelta, e in tal modo rende possibile per ciascuno non solo perseguire la propria felicità, ma anche determinare un miglioramento della società nel suo complesso. Questa attenzione agli equilibri sociali, e questa consapevolezza che il bene dell’individuo è in ultima analisi il bene di tutti, emerge con grande chiarezza già dal primo lavoro di Becker, cioè la sua tesi di dottorato sull’economia della discriminazione. Per Becker la discriminazione non produce un danno soltanto all’individuo discriminato, ma anche a quello che discrimina: il quale, per stare a un esempio di grande attualità nell’Italia di oggi, se sceglie un dipendente maschio in quanto maschio, e nel fare ciò rinuncia a una dipendente donna potenzialmente migliore, paga uno scotto in termini di produttività e, in ultima analisi, di utili aziendali. Questo scotto – ed è qui il punto – è tanto più alto nei settori economici esposti alla concorrenza, che sanziona crudelmente ogni pregiudizio.

La lezione di Becker è, insomma, che ogni individuo è razionale nel compiere le proprie scelte e ogni scelta ha delle conseguenze, dei costi e dei benefici. Può apparire banale, ma a leggere i giornali viene da pensare che mai c’è stato tanto bisogno di Becker, come oggi che se n’è andato.

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