17
Apr
2011

Tremonti, Maroni e gli immigrati

Chi ha ragione, Tremonti o Maroni, sugli immigrati e l’occupazione? Rispondo, ma certo hanno torto i francesi, che stanno inscenando l’ennesima commedia da ex grande potenza fallita ai nostri confini di Ventimiglia, e ormai arrivano a bloccare i treni dall’Italia. Una buffonata da anni Trenta: Berlusconi non sarà gran che come stile ma Sarkò ormai gli fa un baffo.  Torniamo a Tremonti e Maroni. Il primo ha sostenuto che gli immigrati lavorano eccome, e questo dovrebbe far leggere diversamente le statistiche sulla disoccupazione. Il secondo, che non tutti gli immigrati lavorano e dunque il problema esiste. Mere cifre alla mano, sembra aver più ragione Maroni. Se guardiamo al fenomeno nel suo complesso e nella sua prospettiva temporale, però, Tremonti non ha torto, e in più a scanso di equivoci ha chiarito sin dall’inizio di aver voluto difendere gli immigrati che lavorano, e di non pensarci nemmeno a sostenere la chiusura delle frontiere.

Il problema è in realtà un classico del dibattito sugli effetti dell’immigrazione in Paesi più avanzati ma a bassa crescita, e alle prese con problemi economici e occupazionali. Si badi bene che qui si parla di lavoro, non di emergenza umanitaria e sicurezza pubblica, che sono problemi ben distinti connessi alle ondate di immigrazione. Quando si tratta di occupazione e di rallentamenti del ciclo, la tentazione protezionistica e la posizione “prima il lavoro agli italiani” rischia sistematicamente di riaffiorare. Può essere comprensibile, dal punto di vista emotivo. Ma è giusta? Se guardiamo all’ingrosso ai numeri in Italia, dopo vent’anni di novità  ai confini europei che ci hanno trasformato da base di partenza degli italiani a piattaforma di arrivo e di transito di immigrati, il ministro dell’Interno apparentemente ha ragione. Tra quel poco meno di 7% di stranieri sul totale della nostra popolazione, la disoccupazione rilevata è di 3-4 punti maggiore dell’8,6% che è il dato italiano. Dunque, non tutti lavorano. Si deve al fatto che anche per gli immigrati regolari la percentuale di tempo indeterminato nei rapporti di lavoro è più bassa che per gli italiani, dunque esiste una componente di disoccupazione frizionale più elevata che per noi (oltre al fatto che in alcuni settori più in crisi, come l’edilizia, la percentuale di occupati espulsi stranieri è stata piùelevata). E’ ovvio che Maroni sottolinei questo aspetto perché rappresenta un’altra delle dimensioni di sicurezza sociale del fenomeno, al di là dell’emergenza e dello smistamento in Italia e in Europa di chi approda a Lampedusa.

Maroni ha ragione anche da un altro punto di vista, congiunturalmente. Se consideriamo gli effetti della crisi mondiale degli ultimi due anni e mezzo, l’aumento della disoccupazione in Italia è stato nell’ordine di 2 punti e mezzo. Per correttezza, bisognerebbe aggiungervi ormai una certa fetta – ampia – dei cassintegrati in deroga e straordinaria, che sono espressione di selezione darwiniana svolta dalla crisi nelle loro imprese, non di razionalizzazioni produttive in corso e al cui compiersi i cassintegrati verranno riassorbiti. Ecco, davvero a concorrenza dell’offerta di lavoro da parte dell’immigrazione vecchi e nuova. può “mordere” eccome, questo 3,5% di disoccupati aggiuntivi.

Tanto è vero che negli ultimi tre anni il saldo finale degli occupati in Italia si ottiene dalla somma di circa un milione di posti di lavoro persi dai lavoratori italiani, a fronte di oltre 500 mila guadagnati invece dai lavoratori stranieri. Ancora nel 2010, e più man mano che la ripresa lentamente si consolidava, il tasso di occupazione degli italiani continua a scendere ed è ormai sotto il 60%, quello dei lavoratori stranieri continua a salire (anche se la loro disoccupazione relativa rispetto agli italiani resta più alta, perché lo era molto di più di partenza). I disoccupati italiani di lungo periodo, mano a mano che s’indebolisce col passar del tempo il sostegno al reddito da parte delle reti familiari di appartenenza, tendono a considerare lavori e paghe che altrimenti avrebbero rifiutato, cioè spesso proprio quei lavori e quei salari che gli immigrati non hanno remore ad accettare, e ad accettare “al ribasso”, rispetto a domanda di lavoro italiana.

Se Maroni ha dunque ragione nell’oggi e nel breve, Tremonti non ha però torto nel lungo periodo. Se consideriamo infatti che gli immigrati che lavorano regolarmente sono aumentati in soli tre anni del 40%, dal milione e mezzo del 2007 ai 2,2 milioni dell’anno scorso, ciò non è solo l’effetto di regolarizzazioni come quella assunta per le badanti. La questione è che per la solidità dei conti intergenerazionali italiani, alla luce degli attuali tassi di fecondità del nostro Paese e cioè della restrizione progressiva di adulti italiani in età da lavoro, noi continueremo ad avere bisogno di questi 180 -200 mila nuovi occupati stranieri aggiuntivi l’anno, nei prossimi due decenni a venire: abbiamo bisogno dei loro contributi sociali, per quanto basse siano le loro paghe, per sostenere l’INPS e pagare le pensioni a chi il diritto l’ha maturato.

Un Paese in cui molta offerta aggiuntiva di lavoro è più facilmente soddisfatta da immigrati che da italiani pone dunque il problema sollevato da Tremonti. E’ possibile credere che il lavoro aggiuntivo sia solo a basso costo? Quanti italiani, soprattutto giovani, saranno disposti a rivedere la loro contrarietà verso lavoro a forte componente fisica e manuale, che non significa solo operai nei cantieri ma anche e soprattutto qualifiche artigianali anche ben pagate, che restano scoperte? Sono queste, le domande sollevate dal confronto Maroni-Tremonti. Non mi sembrano sbagliate. Anche perché i numeri della disoccupazione come della bassa crescita italiana in realtà dimenticano “il” problema di fondo: senza il disastro del nostro Sud, le cose starebbero molto diversamente. Per dirne una: se siamo scesi sotto il 60% di occupati e lo stesso governo nel suo PNR afferma che entro il 2020 col piffero che potremmo mai giungere al 75% posto come obiettivo europreo, ciò si deve al fatto che nel Nord siamo a 2-3 punti di distanza dalle medie tedesche, nel Sud anche 25 punti sotto…

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13 Responses

  1. Pastore Sardo

    “abbiamo bisogno dei loro contributi sociali, per quanto basse siano le loro paghe, per sostenere l’INPS e pagare le pensioni a chi il diritto l’ha maturato”

    Caro Oscar, con infinita stima che sento nei tuoi confronti mi permetto di rappresentare il mio inc….o a riguardo di questa tua frase che hai già ripetuto in precedente commento.

    Molti cittadini non hanno maturato un diritto ma un FURTO ACQUISITO e preferisco che l’INPS si schianti e NON VENGA PAGATA LA PENSIONE anche agli innocenti perchè questi così non si può continuare.
    SACRIFICI e FIGLI dobbiamo fare, altro che far entrare centinaia di migliaia di persone che spesso non si integrano!!!

  2. Fabio

    Alcune considerazioni:
    1) Tra gli immigrati è probabilmente più diffuso il lavoro in nero
    2) Gli immigrati hanno impartato a sfruttare molto abilmente le “opportunità” previste dal sussidio di disoccupazione che come previsto in Italia è una follia e incita alla truffa.
    3) D’altronde la probabile perdita per loro dei contributi pensionistici è un problema che andrebbe risolto e incita all’illegalità

    Quindi è probabile che le statistiche sulla disoccupazione siano gonfiate. d’altronde se un italiano può permettersi di stare senza lavorare per lungo tempo usufruendo dei risparmi e dell’assistenza familiare , certo non vale altrettanto per un immigrato….

  3. Pietro

    Essendo io un “giovane” laureato disoccupato, che in Australia ha scoperto il lavoro ad alta componente di fatica ma ben retribuito e cola’ affidato agli immigrati, ho cercato un lavoro dalle stesse caratteristiche qui.
    Ho l’impressione che tali lavori siano generalmente preclusi agli italiani, perche’ c’e’ meno fiducia ad assumere personale che magari ha ambizioni segrete o piu’ facilmente procura grane/accampa diritti.
    Quindi, senza dare per questo la colpa agli immigrati, dubito che il mercato vorra’ gli italiani non giovanissimi e laureati per i lavori di fatica o anche artigianali.
    Tanto piu’ che il CV oggi sembra valere meno di niente, perche’ nessuno ci crede. E non se ne parla nemmeno di fare un periodo di prova. O ci si conosce personalmente, o si fa selezione basandosi su colloqui ridicoli (anche 3 incontri per: ricompilazione del cv; gioco di ruolo; mi dica i suoi difetti; quale degli altri candidati assumerebbe).
    Inoltre c’e’ il problema delle scuole; la laurea io la vivo come un handicap ed ho l’impressione che cosi’ faccia il mercato. E se invece del liceo avessi fatto un professionale forse le cose sarebbero andate diversamente (dubito sarebbero andate peggio).
    L’ultima colpa pero’ la do agli immigrati; e’ il mercato che e’ sclerotizzato. Appena posso riparto.

  4. Alberto Lusiani

    Caro Giannino, 10-20 anni fa c’era chi raccontava la favola che i meridionali (piu’ prolifici) avrebbero pagato le pensioni al resto degli italiani. La stravagante previsione e’ miseramente fallita in pochi lustri: la natalita’ meridionale e’ oggi ormai al collasso e se ci sono regioni in attivo sulla previdenza sono semmai Veneto e Lombardia.

    La nuova moda richiede che si sostenga che saranno gli immigrati a salvare uno Stato, quello italiano, sempre piu’ vicino al collasso. Mi spiace vedere che anche lei segue quest’onda emotiva ma non razionale, nonostante sappia riconoscere che i freddi numeri oggi danno ragione a Maroni. Se mi consente, i dati sulla disoccupazione danno ragione a Maroni ancora piu’ di quanto lei scrive perche’ l’~88% degli immigrati risiedono nel centro-nord Italia dove la disoccupazione e’ minore della media nazionale e spesso inferiore agli stessi Stati Uniti d’America.

    L’immigrazione in entrata nel Belpaese da circa il 2002 e’ eccessiva sotto ogni punto di vista. Supera di molto, in rapporto alla popolazione, l’immigrazione netta di Francia, Germania e Inghilterra, e credo anche degli USA. E’ semplicemente incompatibile con l’arretratezza e l’inefficienza dello Stato, e con la scarsa e tardiva alfabetizzazione e scolarita’ di massa degli italiani.

    Perche’ l’immigrazione sia vantaggiosa per tutti, nativi e immigrati, e’ indispensabile avere 1) uno Stato leggero, efficiente, senza eccessiva intermediazione 2) poche leggi e una giustizia imparziale, veloce ed efficiente. Lo Stato italiano approssima il contrario di quello che dovrebbe essere una “societa’ aperta” e favorevole all’immigrazione, in particolare per il livello infimo del funzionamento della giustizia civile e – in minor misura – penale.

    Mentre l’economia italiana arranca dal 1995, nonostante accolga tanti immigrati all’anno quasi quanti sono i nuovi nati piu’ o meno dal 2002, la Germania cresce economicamente ai massimi livelli OCSE e viene additata ad esempio pur avendo azzerato (si’ sostanzialmente azzerato, secondo i dati Eurostat) l’immigrazione piu’ o meno dal 1995.

    Vedendo al recente passato le previsioni per il futuro a breve termine sono facili: il collasso economico italiano continuera’ nonostante la massiccia immigrazione, che invece creera’ problemi assolutamente fuori dalla portata degli scalcinati apparati statali italiani.

  5. Emilio

    Immigrati servono ? SI, agli IMPRENDITORI CILECCA…..

    ITALIA = tessuto industriale fatto di piccole-medie imprese= produzioni di bassa eccellenza= necessità di competere sul prezzo (vedi Cina) = lavoratori immigrati a basso costo…. non certo necessità di laureati Italiani costretti a migrare all estero…

    GERMANIA = molte aziende di grande calibro= produzioni di eccellenza= ridotta necessita di competere coi prodotti Cinesi= assunzione di lavoratori qualificati……dunque meno immigrati, stipendi piu alti, piu contributi….

    Il problema è a MONTE…. il modello produttivo è sbagliato…. non si è evoluto in qualità e noi cosa facciamo ? chiediamo piu immigrati e offriamo il destro a numerosi imprenditori incapaci di evolversi ….l’ alibi per perpetuare il danno….

    Ragazzi !!! gli anni 60 sono finiti da un pezzo …. non illudiamoci di fare i “Cinesi d’ Europa” ancora per molto

  6. Purtroppo si continua andare avanti con le vulgate, gli extracomunitari, non vengono a fari lavori nuovi, ma fanno lavori prima fatti da italiani, e li occupano perchè si accontentano di livelli salariali generalmente inferiori, quindi un triplo effetto negativo: tengono bassi i salari, tale fatto esclude da quel mercato del lavoro la manodopera locale e/o nazionale, toglie potere contrattuale al lavoratore italiano e quindi il posto di lavoro. Tutto questo senza alcun effetto benefico sui prezzi, perchè il datore di lavoro che sfrutta la manodopera extra comunitaria, non lo fa certo per abbassare i prezzi, ma solo per guadagnare di più. Altra vulgata assurda è quella della Previdenza, gli extraa comunitari come tutti i lavoratori, si pagano il futuro, con un distinguo, gli italiani se non arrivano ai 20 anni contributivi, perdono tutto, gli stranieri (dal terzo anno?) quando rientrano possono passare alla cassa e prendersi quanto hanno versato!

  7. Andrea Chiari

    Egregio dott. Giannino, perchè un liberista del suo prestigio si pone la domanda da bar sport se i nostri giovani sono disposti ad accettare lavori faticosi? Non ci dovrebbe essere una risposta automatica già nel mercato?
    Mi rende infatti molto perplesso l’affermazione che gli immigrati sono indispensabili in quanto disponibili per lavori che gli Italiani non vogliono più fare. In realtà, in un regime di mercato, anche il lavoro è una merce. Se chi cerca un lavoratore non lo trova, dovrebbe avere un solo strumento a disposizione: aumentare la paga. Io per duemila euro in fonderia
    non ci vado, per tremila ci penso e per quattromila probabilmente accetto. Ma se viene dall’estero un poveraccio che lo fa per mille euro o in nero, è chiaro che questo incide sul valore di mercato di quella prestazione. E certamente gli Italiani a quelle condizioni non accettano e quindi trova giustificazione l’opinione corrente sulla schifiltosità dei giovanotti nostrani (salvo poi, come dice lei un po’ freddamente, dato che c’è la crisi e si deve pur mangiare e fumare le sigarette, gli Italiani stanno abbassando le penne e si adattano a salari bassi prima rifiutati: il mercato allora funziona,ma solo al ribasso, dovrebbe funzionare anche al rialzo, se non si trovano braccia).

    Questo non vuol dire che si debbano chiudere le frontiere o che si debba scatenare una guerra tra poveri, però non è neanche giusto propagare affermazioni semplicistiche. Nella pianura di Foggia e altrove poi si va oltre e, nell’indifferenza delle autorità, è stato reintrodotta la schiavitù con tanto di caporali maneschi e perfino omicidi, com’è documentato da un libro recente. Con che forza i braccianti italiani possono chiedere un contratto dignitoso con questa concorrenza? Grazie alla manodopera clandestina o in nero, africana e polacca, il valore del bracciantato è di pochi euro all’ora. Anche questo andrà catalogato quindi “tra i lavori che gli Italiani non vogliono più fare”? E grazie tante!

    Ci sarebbe un discorso più complesso che coinvolge anche i sindacati. Se lavorare all’altoforno venisse retribuito in base a una logica di mercato, senza dumping sociale degli immigrati, sarebbe scavalcata la gerarchia aziendale che vede ancora il ragioniere o il funzionario del personale pagato di più dell’operaio. Già parve una conquista epocale, anni fa, unificare i contratti, ma credo che anche oggi (nell’opinione pubblica e perfino all’interno del sindacato) permanga una vischiosità a rivedere le retribuzioni secondo una logica di mercato che privilegi non solo la competenza ma anche la fatica, il disagio, il rischio, la difficoltà a trovare manodopera disponibile. Sarebbe una rivoluzione culturale difficile da far passare. L’immigrato in questo senso è fattore di conservazione delle gerarchie del lavoro. Può far comodo, sorprendentemente, a molti e non solo ai biechi padroni.

  8. Emilio

    @ANDREA CHIARI: rifacendomi al tuo esempio…..il problema è a monte, stà nella presenza delle fonderie in Italia ….non ce ne dovrebbero essere, punto. E’ chiaro che il datore di lavoro non puo permettersi di pagare piu di 1.000 euro di stipendio a chiunque, pena non essere piu concorrenziale….. … , il nostro tessuto produttivo è fatto di aziende piccole , a conduzione familiare, i fondatori forse ci sapevanio fare, i figli che hanno ereditato, hanno forse preferito investire gli utili nelle belle cose che la vita ci offre….invece di evolvere le loro aziende sul piano qualitativo ? Ecco perchè costoro hanno bisogno degli immigrati e non dei nostri laureati….cercano solo di stare a galla per fare il prezzo con il quale la loro “fonderia” puo sperare di sopravvivere alla Cina

  9. Andrea Chiari

    In sintesi. C’è disoccupazione e crisi e quindi gli Italiani, come dice
    Giannino, in parte si rassegnano e si adattano a lavori pesanti e malpagati.
    E questo – dice – va benone, è un fatto naturale! Se invece per trovare
    lavoratori in determinati settori svantaggiati si dovesse rispondere
    aumentando la paga, secondo una logica di mercato liberalissima,
    irreprensibile, quasi libresca, da super Chicago, questo non va bene perchè
    poi i nostri prodotti poi costerebbero troppo. E allora ben vengano gli
    immigrati, i lavoratori in nero, gli schiavi (altrimenti, applicando i
    contratti bracciantili, che non sono certo una elargizione principesca, i
    pomodori dell’Esselunga costano troppo). Come la mettiamo con questo mercato
    del lavoro che funziona solo al ribasso?
    Io resto dell’idea novecentesca che il lavoro debba essere pagato e che non
    rinuncio per una gabola dialettica al tenore di vita che ci siamo creati,
    alla possibilità di mandare i figli all’università, alle vacanze e al
    panettone. Di fronte allo smantellamento dello stato sociale e ai ricchi che
    (mi si perdoni l’espressione ottocentesca) continuano a gavazzare io,
    persona mite e riformista, prima mi incazzo poi meno le mani.
    Due sono le strade. La prima, impervia e rifiutata dal capitale
    multinazionale (anche se adombrata da Tremonti), è quella della “fortezza
    Europa”. Una rete protettiva intorno al continente che creasse un mercato
    grande ma comunque circoscritto e protetto. Saremmo costretti a ricostruire
    linee di produzione che in Europa non ci sono più, pagheremmo un occhio
    della testa elettronica e altri manufatti, ma gli stipendi sarebbero alti.
    Scelta protezionistica, sia pur su scala continentale, che, si dice,
    potrebbe essere foriera di guerre (che comunque ci sono lo stesso).
    L’altra è il mantra che ripetono tutti e che – se fosse applicata – sarebbe
    la soluzione bella e pulita: produrre con alto valore aggiunto, con
    efficienza e innovazione per compensare adeguatamente i lavoratori. Il fatto
    che i nostri imprenditori ci riescono soltanto con la Nutella

  10. Emilio

    @Andrea Chiari… concordo molto sulla Nutella… ci vorrebbero più Ferrero e meno imprese piccole-medie che sfornano prodotti manufatturieri ampiamente a rischio concorrenza Cina-India-Est Europeo…. ma le scelte andavano fatte negli anni 80 ora è tardi…io concentrerei le risorse sul Turismo e sul suo indotto… lor Signori Cinesi diventeranno pure i nuovi “ricchi” ma poi i soldini debbono spenderli qui da noi… il nostro patrimonio turistico è unico , non si puo copiare come avviene per le nostre macchine utensili e andrebbe valorizzato, altro che sprecare risorse per tenere in vita aziende decotte senza prospettive.

    Per quanto riguarda il discorso “fortezza Europa” mi sento incline a darti ragione…. nel senso…. ma negli anni 80 , sentivamo forse la mancanza della Cina nell ‘ economia globale ? No …e per equivalenza….nel 2011, sentiamo forse la mancanza dei prodotti e dell’ apporto del continente africano ? No. Ma allora quale è il senso di mercato globale e quale la sua reale necessità ?

    Domanda per Giannino …

    abbiamo oggi un Europa a 25…. di ca 500 milioni di individui ma quanto deve essere grande un mercato per considerarsi auto-sufficiente…?

  11. Riccardo

    Cari signori, il vostro signorile disquisire sembra volare alto e distaccato dalle mere e aride regole del mercato. Io lo so il perchè. Non producete ciabatte o camice. Facile sentirsi estranei. Io ho ipotecato la casa per produrre con robot e alta automazione, qualità e rispetto di sicurezza e diritti dei lavoratori, Purtroppo sto chiudendo perche in Cina c’è chi compie la mia mansione per 1/20 del mio prezzo.
    E’ inutile girarci intorno, i braccianti stanno spooiantando la macchina a vapore, la storia va alla rovescia e anche le nostre società regrediscono. Servirà tempo ma presto capiremo tutti, che chi parla di Cina come di opportunità non sta pensando a noi.

  12. Andrea Chiari

    Io lavoro nel turismo (settore pubblico, consentitemi l’autoironia sul verbo “lavoro”. Diciamo che me ne intendo). Il turismo è spesso sopravvaluato, come se fosse un settore “facile” e scontato, con tutto il po po che abbiamo (ma il 40% o 50% o 60% del patrimonio artistico mondiale in Italia, come si ripete spesso, è una bufala. Non ci sono analisi che lo confermino. Se guardiamo ai siti UNESCO, che è un indicatore rozzo, siamo al 6-7%, comunque non poco).
    Negli anni cinquanta si credeva bastassero le nostre città, il nostro mare, le nostre montagne, senza dover spenderci fatica e così non si è sviluppata una adeguata organizzazione e cultura del turismo, è tutto un fai da te, prezzi alti, poca sinergia, promozione come paese quasi zero. Oggi il turismo si fa anche nei deserti, nel terzo mondo, sui ghiacci, in posti che un tempo era una bestemmia paragonare ai nostri. Ci vogliono analisi di mercato, programmazione territoriale e infrastrutture. Guardate le coste della Calabria, della Sicilia o della Puglia, con le dune masacrate, le seconde case finite a metà, alberghi da campi profughi, accessibilità zero. Turismo è una industria, non un frutto spontaneo, ci vogliono scelte e investimenti. Resta una opportunità, si può migliorare ma non pensiamo che sia la soluzione salvifica per un paese avanzato e complesso: il panel deve restare molto più articolato.

  13. Emilio

    “Oggi il turismo si fa anche nei deserti, nel terzo mondo, sui ghiacci, in posti che un tempo era una bestemmia paragonare ai nostri ”

    è verissimo guarda Dubai…. però ci sono stato e mi apparsa subito come artificiale ….”plasticosa”…. , tutta grattacieli, ristoranti e shopping… noi in Italia se investissimo di piu nel turismo e meno in altri settori senza prospettive potremmo ritagliarci una nicchia consistente, sfruttando le nostre unicità…. diversamente presto avremo dilapidato il nostro patrimonio accumulato per sostenere settori senza alcuna prospettiva…. L’ Italia è come una bella donna….ma disadorna , le manca solo un vestito elegante per attrarre di più delle varie Francia, Emirati Arabi et similia

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