29
Lug
2017

Se l’Italia passa come la terra delle opportunità

A dispetto dei tanti problemi e delle tante criticità che affliggono il sistema economico del nostro Paese, in tema di mobilità intergenerazionale l’Italia non se la caverebbe poi così male. Questo è quanto sostenuto da un paio di paper a cui hanno lavorato alcuni noti economisti Italiani.

Il primo paper (“And Yet, It Moves”: Intergenerational Mobility in Italy) di Paolo Acciari, Alberto Polo e Giovanni Violante, offre evidenza empirica a sostegno della tesi secondo cui i livelli di mobilità sociale intergenerazionale del nostro Paese sarebbero di poco inferiori a quelli dei Paesi del nord Europa ma più alti di quelli degli Stati Uniti, la terra delle opportunità.

Il secondo paper (Intergenerational Mobility And Preferences For Redistribution), di Alberto Alesina, Stefanie Stantcheva e Edoardo Teso, presenta i dati di un questionario, svolto per l’occasione su campioni rappresentativi (in base a qualche variabile osservabile. In generale, è facile credere che chi risponde ai questionari sia molto diverso, per caratteristiche non sempre osservabili facilmente, da chi non lo fa. Ma prendiamo la rappresentatività per buona, tanto non è il punto) della popolazione di diversi Paesi, con cui si sono indagate le percezioni delle persone sulla mobilità intergenerazionale del proprio Paese. I risultati mostrano che gli Europei (tra cui gli Italiani) sono più pessimisti degli Americani sulla mobilità intergenerazionale del proprio Paese e troppo pessimisti in relazione alla mobilità intergenerazionale realmente rilevata. Inoltre, la mobilità intergenerazionale reale in Europa sarebbe più elevata rispetto a quella riscontrata negli Stati Uniti.

Prima di vedere utilizzati i risultati di questi paper per difendere questo o quell’aspetto del nostro sistema economico, tre considerazioni.

La prima riguarda ciò che in accademia anglosassone viene comunemente chiamata Construct Validity. Da questa prospettiva, si ritiene facile studiare il peso o l’altezza delle persone dal momento che facile è misurare peso e altezza delle persone. Più difficile è studiare la mobilità intergenerazionale perché più difficile è misurarla. In questi casi si ricorre a variabili proxy, che pur non misurando esattamente il costrutto sotto indagine né dovrebbero descrivere fedelmente l’andamento. Nel caso di questi due paper, la proxy è data dalle dichiarazioni dei redditi di padri e figli, per l’Italia rispettivamente nell’anno 1998 e 2012. Gli autori del primo paper qui presentato mettono in guardia, in una mezza paginetta, dal fatto che tassi di evasione diversi tra padri e figli potrebbero distorcere le stime. Entrambi si dimenticano di notare, tuttavia, che qualcosa di non irrilevante è successo tra queste due date: gli studi di settore sono stati intensificati. Un contribuente che nel 2012 guadagnava 100 ma dichiarava 30, con il padre che guadagnava 120 ma dichiarava 10 (sono, evidentemente, numeri a caso per rendere l’idea), risulterebbe probabilmente come uno che ha fatto un bel balzello nella scala nazionale dei redditi dichiarati, pur non avendo fatto alcuno scatto nella realtà dei fatti.

La seconda riguarda la distribuzione dei redditi nei diversi Paesi, specialmente in quelli dichiarati. Complice la struttura del nostro sistema fiscale, in Italia anche i ricchi non sono poi tanto ricchi. Circa l’1% dei contribuenti Italiani dichiara più di 100.000 € all’anno. Negli Stati Uniti, circa il 16% dei contribuenti americani dichiara sopra i 100.000 $. Chiaramente euro e dollaro non sono la stessa cosa, ma il dato è sufficientemente netto per chiarire che saltare da un decile a uno più alto nella distribuzione dei redditi (misura della mobilità intergenerazionale) americana non è tanto facile quanto lo è in Italia, dove pochissimi fortunati sono davvero ricchi.

Terzo, un’assunzione implicita alle considerazioni fatte nei due paper riportati consiste nel ritenere che tutti coloro che non si trovano nel decile più alto della distribuzione dei redditi abbiano una stretta preferenza ad arrivarci. Ceteris paribus, sicuramente più soldi è meglio di meno soldi per (quasi) tutti. Ma, per esempio, esistono persone che preferiscono vivere in campagna con meno soldi piuttosto che doversi spostare in città per farne di più. Se si vuole davvero misurare la capacità di un sistema di offrire opportunità, si dovrebbe limitare l’analisi a coloro che, al di là di ogni dubbio, vogliono migliorare la propria condizione in un Paese. Suggerirei, per le analisi future, di restringere il campo agli immigrati. Sarebbe interessante capire, primo, dove scelgono di andare gli immigrati che vogliono migliorare la propria condizione e, secondo, vedere dove è più facile per loro riuscirci. Potremmo accorgerci che i veri ottimisti non sono i cittadini americani, ma gli economisti italiani.

Twitter: @glmannheimer

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