24
Gen
2011

Stiamo lavorando per voi. Ministri uniti contro i rincari

In genere gli incontri dei ministri dell’agricoltura non conquistano la ribalta o le prime pagine dei giornali, e questo non ha fatto eccezione. Ma la notizia che mi ha segnalato Giovanni Boggero un minimo di attenzione la merita.

Il Deutsche Welle racconta di un incontro nel quale si è affrontato il tema del rialzo dei prezzi delle commodities agricole, alla luce delle recenti rivolte del Nordafrica. In particolare i ministri francese (Bruno le Maire) e tedesco (Ilse Aigner) si sono detti convinti che non è accettabile vedere paesi come l’Algeria e la Tunisia subire rincari così repentini dei beni alimentari, e che quindi è necessario agire contro la volatilità dei prezzi e contro la speculazione.

Lascia un tantino interdetti (oltre al bersaglio da colpire, il solito spaventapasseri della speculazione) la soluzione che viene ventilata, quella di incentivare (non si specifica come) la produzione. Non è un mistero che l’Europa ha incentivato le produzioni agricole per decenni, garantendo l’acquisto delle eccedenze, che poi venivano (vengono) smaltite proprio sui mercati emergenti grazie a lauti incentivi all’esportazione. Un sistema che ha portato, alla fine degli anni ottanta, l’Europa a spendere circa l’80% del suo budget per rincorrere questa spirale innescata nel dopoguerra. Un sistema che si è dovuto (per forza)  abbandonare in fretta e furia all’inizio degli anni ’90 cominciando a incentivare non più la produzione ma la sussistenza.

Fino agli anni ’80 abbiamo incentivato la produzione agricola. Dopo la riforma Mc Sharry abbiamo cominciato a disincentivarla (aiuti diretti) incentivando però al tempo stesso gli investimenti delle aziende agricole (aiuti allo sviluppo). Oggi, mentre il dibattito sulla riforma della PAC prossima ventura sembra essere sempre più orientato verso il sostegno alla produzione dei cosiddetti “valori pubblici” (ne avevamo parlato qui), si ricomincia ancora una volta a parlare di incentivi alla produzione.

Ma se è lo stesso aumento della domanda globale di cibo a costituire un potente incentivo alla produzione, allora nasce il sospetto che dietro l’idea di sostenere l’offerta (sostenendo i prezzi all’origine con contributi pubblici, altri sistemi non mi vengono in mente) più che il desiderio di agire contro la volatilità dei prezzi per il bene dei paesi più poveri ci sia solo il vecchio caro protezionismo. I ministri europei non hanno a cuore la stabilità e la pace sociale dei paesi in via di sviluppo, altrimenti non darebbero ad intendere di voler riproporre uno schema che per decenni ha strozzato proprio le economie di quei paesi, che si vedevano bloccare le nostre frontiere per i loro prodotti e i loro mercati interni devastati dai nostri surplus. Ciò che (più che comprensibilmente) interessa loro è quello di mantenere in vita un sistema produttivo reso tanto inefficiente da mezzo secolo di pesantissimo intervento pubblico da non essere in grado di approfittare del più massiccio aumento della domanda di generi alimentari dai tempi della green revolution.

James Bovard, riferendosi ai sussidi all’agricoltura americana (ma il discorso è altrettanto valido per quella europea, se non di più), scrisse:

L’effetto principale dei programmi agricoli federali è quello di costringere gli agricoltori a fare in maniera inefficiente ciò che farebbero in maniera più che efficiente senza sovvenzioni, di costringere gli Americani a pagare di più per il cibo, di far salire i prezzi dei terreni agricoli (decimando quindi la competitività degli agricoltori americani) e di sperperare inutilmente alcune decine di miliardi di dollari l’anno.

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