13
Gen
2011

Autorità. 30 giorni al big bang

Per chi segue la telenovela che ormai si trascina avanti da anni prima sul completamento, e poi sul rinnovo del collegio dell’Autorità per l’energia. Dopo il passo indietro del presidente designato, Antonio Catricalà, si è assistito a una girandola di nomi, dei quali i più accreditati parevano essere Rocco Colicchio e Raffaele Squitieri, improvvisamente tutto si è fermato. E’ infatti intervenuto un parere del Consiglio di stato, richiesto dalla stessa Autorità, secondo cui – in assenza di nomine – il collegio in carica avrebbe potuto restare in carica per altri 60 giorni. Da allora, la prima notizia è che non ci sono notizie. La seconda notizia è che non ci sono cambiamenti.

Apparentemente, essendo presi in altre incombenze, i decisori politici – di maggioranza e di opposizione – hanno considerato il parere del Cds non come un invito a sbrigarsi, ma come un permesso a prendersela calma. Del resto, c’era Natale di mezzo. Sicché i problemi che avevano portato all’impasse si ripropongono, oggi, sempre identici. Problemi di forma e di sostanza, oltre che di tempi.

Dal punto di vista dei tempi, oggi manca un mese esatto allo scadere della prorogatio. Dopo il 13 febbraio, secondo l’interpretazione del Cds e in assenza di interventi muscolari da parte del governo (per esempio un decreto che emendi la legge istitutiva dell’Autorità per consentire la proroga a tempo indeterminato), l’Autorità si troverebbe nell’impossibilità di operare, con l’emergere di problemi potenzialmente insormontabili per il funzionamento del mercato. Tuttavia, avendo sprecato i primi 30 giorni, i rimanenti 30 appaiono come un orizzonte molto stretto, vuoi per la confusione dello scenario politico, vuoi per le tante priorità che si accumulano sulle scrivanie di Palazzo Chigi. Infatti, per insediare il nuovo collegio non basta il via libera del governo (che a oggi non c’è stato ma che, secondo alcuni, potrebbe esserci durante la riunione di domani del consiglio dei ministri). Ci vuole anche l’approvazione delle Commissioni parlamentari competenti.

E’ qui che convergono i problemi di forma e di sostanza. Dal punto di vista della forma, non fa una buona impressione né sul mercato, né sul paese il disinteresse non solo manifestato: ostentato dal ceto politico per la questione. Pesa ancora di più l’apparente misunderstanding delle ragioni profonde del patatrac di dicembre. Secondo le indiscrezioni di stampa (per esempio qui e qui) il governo sta affrontando la questione avendo in mente la mera sostituzione del presidente: quando il terremoto era cominciato prima della rinuncia di Catricalà, e anzi aveva causato tale rinuncia. La presunta soluzione, cioè, sembra indirizzata più ai sintomi che alla causa.

La causa profonda, infatti, è l’insoddisfazione di molti parlamentari di entrambi gli schieramenti per la qualità del collegio (composto, oltre che da Catricalà, da Alberto Biancardi, Guido Bortoni, Luigi Carbone e Valeria Termini). Se alcuni dei membri designati posseggono indiscutibilmente le competenze e il prestigio richiesti dalla legge, per altri non si può dire lo stesso; o, almeno, così sembrano pensarla i parlamentari chiamati a pronunciarsi. Sta qui il problema di sostanza che l’esecutivo si ostina a non cogliere. I buoni risultati raggiunti sul mercato elettrico e quelli decenti su quello del gas sono anche frutto di un’Autorità che, sia sotto la guida di Pippo Ranci sia sotto quella di Alessandro Ortis, ha saputo interpretare bene il suo ruolo e difendere adeguatamente la sua indipendenza.

Questa volta, alcune delle nomine e il modo in cui il dossier viene gestito suggeriscono invece un tentativo di depotenziare l’Autorità, tentativo del resto in linea con interventi precedenti (per esempio il blitz per il suo commissariamento, fallito, e l’intervento parafiscale sul suo bilancio). Il rischio di un’Autorità troppo legata al potere politico (sia l’attuale maggioranza, sia l’attuale opposizione, dalla cui collusione nasce il collegio designato) o poco credibile nelle sue decisioni è quello di indurre comportamenti opportunistici e anticoncorrenziali sul mercato, o assistere impotenti alla sua destrutturazione per opera politica.

A quanto pare, il governo – immagino col tacito assenso del Pd – ha deciso di perseverare nell’errore. Mettendo a repentaglio l’approvazione parlamentare del collegio e la futura stabilità del mercato.

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