13
Set
2010

Sindacato per meno tasse? Evviva!

Domattina dedico la “versione di oscar” su radio24 all’annuncio venuto oggi da Cisl e Uil: le due confederazioni riuniranno congiuntamente le segreterie il 15 settembre, per varare una piattaforma di riduzione delle tasse, e scenderanno in piazza per questo il 9 ottobre. Lo dico prima di entrare nel merito delle loro proposte, prima di conoscerle in dettaglio anche se le immagino: dico e grido evviva. Evviva anche se magari dirò nel merito che è troppo poco e troppo tardi. Ma un evviva netto e chiaro. Non solo perché qualunque alleato per la riduzione della schiavitù fiscale è ben accetto. Ma perché il sindacato notoriamente nella storia italiana è un alleato potente. E se finalmente il sindacato si smuove dal solo mantra della lotta all’evasione per destinare più risorse ancora alla spesa pubblica ma – immagino – alla lotta all’evasione che resterà affianca finalmente anche richieste di riduzioni delle imposte, allora vuol dire che finalmente anche il lavoro dipendente comincerà a sentirsi dire da chi – ci piaccia o meno è altro discorso – lo rappresenta, che pagare le tasse NON è bellissimo, e quando poi le tasse sono abnormi è osceno. Non solo perché in cambio lo Stato offre quel che sappiamo. Ma perché più alte sono le tasse, maggiore è l’ingiustizia e l’inefficienza. E poiché nel nostro Paese le tasse sono altissime sia sul lavoro sia sull’impresa, è su entrambe che devono scendere per diminuire ingiustizia e inefficienza. Se avete dubbi, vi invito a leggere questo paper. E’ assolutamente illuminante. Lo ha scritto Richard Rogerson, fellow dell’American Enterprise.

Lo studio nasce in realtà dalla domanda se sia giusto, il tentativo di Obama in atto negli USA di estendere lo Stato e il suo prelievo fiscale sempre più verso grandezze europee. Ma poiché  per dimostrare la sua risposta – che è no – deve dimostrarne la ragione, e per farlo prende in considerazione gli effetti comparati che la tassazione sul lavoro esercita in concreto sulle ore lavorate in tutti i Paesi Ocse, ecco che i dati servono benissimo a riflettere anche a casa nostra, in Italia. Perché i dati mostrano inequivocabilmente che continua ad aver ragione il buon Ted Prescott, che ci ha preso il Nobel coi suoi studi sul rapporto che l’alta pressione fiscale esercita, disincentivando l’offerta di lavoro.

Per averne evidenza, prima ancora di leggere il paper andate direttamente alle due tabelle.  Nella tabella 1 trovate il totale della pressione fiscale e contributiva sul lavoro nei maggiori Paesi OCSE, nel 1960, 1980. e nel 2000. La media OCSE passa dal 25,4% del ’60, al 36% dell’80, al 41,9% nel 2000, cioè cresce in 40 anni di 16,5 punti. Gli Stati Uniti però sono il Paese che resta assolutamente sotto media, passando dal 22,1% del ’60 al 28,6% nel 2000, con un aumento di soli 6,5 punti. Tutti i Paesi europei hanno incrementi a doppia cifra e quasi sempre partendo da una  base iniziale più alta: la Germania passa da 33,5% al 47,7% con un più 14,2; la Francia passa da un 36,6% al 49,7% con un più 13,1; la Finlandia da un 26% al 52,4% con più 26,4. L’Italia è il Paese con la maggior crescita del prelievo sul lavoro nel quarantennio dopo appunto Finlandia e Svezia (quest’ultima passa dal 31,6% al 59,1% con un più 27,5). Sul lavoro italiano, la pressione ficale e contributiva  passa dal 25,5% del 1960 – una media pari allora a quella del Regno Unito – al 49,1% con un aumento di 23,6 punti (mentre il Regno Unito sale solo di 10 punti, e si ferma nel 2000 a un prelievo del 36%).

Qual è l’effetto sulle ore lavorate esercitato dal diverso andamento del prelievo tributario e contribuitivo? Andate alla tabella 2. In media le ore lavorate  settimanalmente per persona di età 15-64 nei Paesi Ocse passano da 28,1 nel 1960 a 23,3 nel 1980 a 22,5 nel 2000: in media cioè a un aumento nel quarantennio del 16,5% di tax rate reale corrisponde una diminuzione di ore lavorate pari a -18,7% in area Ocse.

Solo che questo dato è la media di due sottoinsieme assai diversi. Da una parte ci sono gli Stati Uniti (e il Canada), in cui la limitata crescita della pressione fiscale sul lavoro pari al solo 6,5% ha prodotto un aumento delle ore lavorate del 10% tra il 1960 e il 2000 (state attenti, la cifra delle ore lavorate nel 2000 USA è sbagliata per un refuso: ripetete quella sovrastante del Regno Unito ma ho controllato, in realtà non è 23,3 ma 25,3 rispetto alle 23,7 del 1960, dunque più 10% appunto). Nei Paesi europei, invece, in media maggiore è l’aumento della pressione fiscale maggiore è il decremento di ore lavorate:  in Germania il calo è del 30% passando dalle 28,7 del 1960 a 19,8; in Francia è del 35,3% passando dalle 29,8 a 19,3. In Italia il decremento è del 32,3%, passando da 31,2 ore settimanali a 21,2. L’unico Paese a fare vera eccezione alla regola è la Svezia, dove malgrado l’incremento di 27,5 punti di presione fiscale fino allo spaventoso 59%, il decremento di ore lavorate sui limita nel quarantennio al 7% cioè da 25,3 a 23,5: ma la spiegazione è che nel 1960 la media settimanale svedese era già la più bassa dell’Europa continentale, di 7,5 ore inferiore alla media britannica, d 5,9 rispetto all’Italia, di 3,4 rispetto alla Germania.

La conclusione è evidente. Più aumentano tasse e contributi, più la gente sta a casa invece di lavorare. Trovate tutta la letteratura del caso per approfondire indicata a fine saggio, se pensate che le differenze culturali abbiano un peso – ce l’hanno – come i più o meno efficienti sistemi nazionali di welfare – ce l’hanno anch’essi, e il nostro è inefficiente, basato sulle ipertutele rigide concentrate in capo ai dipendenti a tempo indeterminato.  Ma l’andamento dell’Olanda, disaggregato per periodi di tempo in cui tasse e contributi sono saliti rispetto a quando la politica ha deciso di abbassarli ( a differenza degli altri Paesi dove l’aumento non ha praticamente mai conosciuto se non soste, ma senza mai invertire segno), testimonia che a ogni discesa e risalita fiscale ha corrisposto inversamente un aumento o una diminuzione delle ore lavorate. Come volevasi dimostrare.

Per questo dico: evviva il sidnacato che si decide a scendere in piazze per meno tasse. Inevitabilmente anche di qui, passa la possibilità – per me: necessità – di una maggior produttività per l’Italia. Noi diremo sicuramente che i tagli a tasse e spesa servono più incisivi, ma il sindacato in questo caso dà una mano eccome. Perché rompe finalmente un tabù storico. Era tempo, santiddio.

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41 Responses

  1. Lorenzo

    tutto ok,vorrei solo dire che se la pressione fiscale passa dal 25 a quasi il 50%,é si aumentata di 25 punti…peró in percentuale é aumentata del 100%………..

  2. ForexNick

    conoscendo i sindacati , non e’ che forse chiedono di abbassare le tasse sul lavoro ma senza tagliare le spese pubbliche bensi’ aumentando simultaneamente le tasse sui patrimoni e sui risparmi ?

  3. Massimo

    Durante la trasmissione a Radio24 uno degli intervenuti ha ritirato fuori la solita questione dell’aumento della “tassazione sulle rendite finanziarie”, che nel resto del mondo si chiama “tassazione del risparmio”.
    Ora, quandanche l’aumentassero, con un rendimento BOT stabilmente al disotto dell’1% lordo (http://www.soldionline.it/notizie/obbligazioni-italia/bot-il-rendimento-del-trimestrale-scende-allo-0-683) quanto si crede di poter raccattare?

  4. MassimoF.

    @Massimo : la proposta è quella di portare la tassa al 20%, con l’esclusione dei titoli di stato. Quindi il problema da tè posto non esiste. Il problema è un’altro: 1) la legge attuale prevede la tassazione al 27% per i possessori di quote azionarie in società quotate superiori il 2%, mentre è il 12,5% per chi stà sotto. Se si porta al 20% abbiamo che i ricchi pagheranno meno , e i piccoli risparmiatori di più. Comunque se ai ricchi rimarrà al 27% , a pagare di più saranno solo i piccoli risparmiatori. 2) la chiamano rendita finanziaria, ma le forme di investimento che colpisce non sono tutte uguali e non sono tutte rendite. Per esempio lasciano fuori la tassazione dei bot, che sono veramente una rendita, mentre invece colpiscono chi investe in borsa, dimenticando che quando uno compra azioni, diventa a tutti gli effetti identico all’imprenditore che possiede l’azienda, e quindi produttore e non rentier.
    Và da sè che tutta la proposta dei sindacati è totalmente inconsistene. Si aumentano le tasse da una parte per darle ad un’altra. E i benefici sono solo nella mente di chi la propone.

  5. stefano tagliavini

    Le tasse sono odiose e belle solo per coloro che le contemplano? Certamente, ma quelli che le pagano onestamente senza evadere le pagano perchè hanno guadagnato e la cosa ancora più odiosa è pagarle anche per gli evasori, subire il loro aumento, vedere gli evasori premiati senza che lo Stato faccia alcunchè per debellre questo cancro. Tra le 13 e le 16 mentre qualcuno era in pausa pranzo, qualche commerciante di una delle città più povere d’Italia ma con la proprietà di beni dui lusso, ha fatto una capatina a San Marino, non per turismo, ma per depositare parte dell’incasso della giornata sottratto legalmente al fisco, ponendo in essere un operazione impeccabile sotto il profilo fiscale, complimentoni!!!! In un paese dove si pagano i giocatori di calcio facendo fallire le aziende con gli operai che hanno famiglia, si pensa e si parla d’altro. Credo che l’illustre Sig. Giannino- che io rispetto sinceramente per la sua intelligenza e capacità professionale – facendo il suo dovere fino in fondo di cittadino contribuente fedele – non ne ho mai dubitato – guadagni davvero tanto da dover pagare davvero un bel gruzzolo al fisco italiano. In tanti altri paesi sarebbe un esempio, in Italia lo è solo per i fessi come lo sono io che credono nell’onestà, ma questo è un altro discorso.

  6. Massimo74

    @stefano tagliavini
    Non è affatto vero che se paghi le tasse significa che hai guadagnato.Infatti la follia del sistema fiscale italiano fa sì che a causa di cose tipo l’irap,gli studi di settore,i costi indeducibili,gli ammortamenti,gli acconti fiscali,gli acconti degli acconti,l’iva pagata al momento dell’emissione della fattura e non dell’incasso e chi più ne ha più ne metta,alla fine non’è affatto infrequente il fatto che molti cittadini siano costretti a pagare delle somme di denaro che non hanno mai guadagnato e spesso per far ciò si indebitano pure con le banche.
    Tutto questo poi per mantenere uno stato parassita,ladro e corrotto fatto di politici ciarlatani che sono sempre in prima linea a sparare a zero contro i cattivi evasori,salvo poi scoprire che i primi evasori sono proprio loro visto che come dimostrato ad esempio da un servizio delle iene di qualche tempo fa una larga parte dei parlamentari italiani si serve di collaboratori(i cosidetti portaborse) tutti pagati rigorosamente in nero.

  7. stefano tagliavini

    @Massimo74
    Per chi si comportamente onestamente hai ragione tu non ci sono dubbi, spesso il sistema inrodotto dai nostri politici è veramente una perseguzione, ma il punto è proprio questo, ci sono cittadin tartassati per raccogliere da loro quello che altri hanno evaso. Gli strumenti per ridurre l’evasione non vengono applicati perchè fa comodo che ci sia evasione. Sono anni che si parla di scaricare l’IVA anche per i consumatori, perchè non è stato fatto? Perchè non vengono incrociati i dati tra i proprietari di ombarcazioni e altri beni di lusso con i redditi dichiarati utilizzando come strumento di verifica il redditometro? Perchè non viene introdotto un sistema che permetta la verifica automatica quando si acquista un autovettura superiore a un certo valore?
    Ha ragione sullo stato parassita e sulla responsabilità dei politici, ma dimentichi una cosa, che i politici occupano i loro posto perchè qualcuno ce li ha messi e non per investitura divina

  8. stefano tagliavini

    @Massimo74
    spesso dimentichiamo che i cittadini italiani, non tutti sia chiaro, sono abbastanza ignoranti e hanno uno scarso senso della cosa pubblica, penso all’ultima relazione della Corte dei Conti che ha detto come il dipendente pubblico occupa un posto dimentiando che ricopre una posizione per servire i cittadini e non se stesso. Difficile pensare che se i cittadini sono questi la classe politica che promana a loro sia migliore.

  9. adriano

    Meglio l’imposizione indiretta.Non sono commosso da chi paga il 60% per l’acquisto di diamanti.Non
    sono commosso neppure da chi paga in modo virtuale.Tutti coloro che operano in regime di mono-
    polio o che forniscono servizi indispensabili,fanno pagare al cliente con l’allegro sistema del trasferi-
    mento di imposta.Anche chi lavora per lo stato in attività passive paga sulla carta.I soldi in questo
    caso non esistono,ma sono solo scritture contabili che arricchiscono il debito pubblico.
    Rimangono i dipendenti delle aziende private non assistite.Quelli non sono soldi furbi e sono reali.
    Detassiamo loro.In ogni caso i tagli devono essere simmetrici,altrimenti sono inaccettabili.
    Se chi paga il 50% scende al 20% o allo 0%,chi paga il 30% deve scendere allo 0% o allo 0%.
    Altrimenti non si è favorevoli alla diminuzione delle tasse,ma solo delle proprie.

  10. Masimo74

    @stefano tagliavini
    E pensare che basterebbe pagare i servizi a consumo invece di finanziarli attraverso l’imposizione fiscale.In questo modo non solo avremmo servizi molto più efficenti(In quanto se lo stato non da un servizio efficente il cittadino smette di pagarlo),ma avremmo risolto all’istante il problema dell’evasione.

  11. Stefano

    Ma perchè il Sig. Giannino e gli altri illustri autori di questo blog non si candidano alle prossime elezioni politiche? Io li voterei in massa!
    Stefano

  12. giorgio

    Una proposta su cui lavorare: il recupero dell’evasione (mi pare si parli di 9 miliardi nel corso del 2010) deve andare alla riduzione delle imposte (si badi IMPOSTE).

    Se non c’è questo recupero (e se non c’è consenso su questo punto di partenza) allora casca l’asino: il recupero dell’evasione serve solo a mantenere uno stato dilagante, inefficiente, corrotto e ladro…

    Poi possiamo discutere come fare i conti. Potremmo anche discutere di farlo anche su base territoriale (distribuisco la riduzione laddove ho recuperato l’evasione), dando così una spinta concreta al federalismo.

    Caro Giannino, batta un colpo?! E’ d’accordo o no?

  13. MassimoF.

    @Giorgio : lei ha perfettamente ragione. Il problema è che se prima non si blocca almeno i meccanismi di crescita della spesa pubblica, anche se c’è accordo sull’uso del recupero dell’evasione fiscale , dovrà volente o nolente usare l’extragettito per abbattere il deficit. Oramai , a causa del debito pubblico accumulato e la grandezza dei capitoli di spesa, e il persistente deficit , basta poco per mangiare completamente ogni risorsa. Pensi solo se i tassi di interesse dovessero rialzarsi. Si creerebbe immediatamente un buco di bilancio. E prima o poi succederà.

  14. stefano

    Ora, non serve l’accademia per ricordarvi che attraverso un sistema di tassazione progressiva e attraverso una spesa pubblica efficiente (salario indiretto) si può perseguire una politica redistributiva in favore delle fasce reddituali deboli (ad esempio garantendo un sussidio di disoccupazione e una continuità di reddito, tra l’altro in accordo con il libro bianco di Biagi).
    Se poi si vuol sostenere che a causa della storica inefficienza del sistema di welfare pubblico italiano sia il caso di praticare una bella eutanasia, beh si butta il bambino con l’acqua sporca. Nel senso che si abbandona, in un momento tra l’altro di grave crisi, una buona fetta di gioventù (tasso di disoccupazione giovanile verso il 30%) o alla cura delle famiglie (fin che i risparmi reggono) o allo sfruttamento del lavoro nero (altro bel primato italiano con l’evasione) o all’emigrazione che si pensava sepolta col novecento. Ma a parte l’esempio, resta il fatto che vi è un concreto bisogno di welfare pubblico in Italia (istruzione, sanità, trasporti…). E non si pensi ad un richiamo morale, quelli son monopolio d’oltre Tevere. Io parlo anzitutto da economista. Con la globalizzazione, cioè con l’apertura dei mercati dei beni e dei capitali, con la deregolamentazione del mercato finanziario, e con la conseguente liberalizzazione del mercato del lavoro, abbiamo assistito da un lato ad un crescente gap nei salari tra lavoratori unskilled e lavoratori skilled; dall’altro alla caduta della quota di reddito destinato al lavoro (questo sopratutto in europa continentale). Ora si potrebbe discutere a lungo sugli effetti di breve e lungo periodo di un tal cambiamento nella distribuzione dei redditi. Io vi do questo spunto, tratto dal paper di Hein e Tarassow (Berlin School of Economics and Law), e a sua volta iscrivibile nel filone post-keynesiano o meglio post-kaleckiano:

    “Empirical research based on the Bhaduri/Marglin-variant of the Kaleckian model has recently shown that aggregate demand in many medium-sized and large open economies tends to be wage-led in the medium to long run, even in a period of increasing globalisation. In this paper we extend this type of analysis and integrate the effects on productivity growth, theoretically and empirically.”

    Che voglio dire?! Semplice, con questa distribuzione dei redditi noi (come europa, ma se pensiamo alla crisi dei subprime… subprime si può tranquillamente sostituire con lavoratori unskilled… anche gli usa, soprattutto gli usa!!) siamo destinati a rimanere in uno scenario sottoconsumista e il recente passato dimostra che il problema si può rimandare (con l’export -vedi germania ma anche cina- o con il suo opposto, con l’esplosione del credito al consumo -vedi usa). Ma come diceva Marx, il capitalismo non risolve mai le sue contraddizioni, le rimanda solo ad un livello più alto. Il fatto è che quando esplodono…

    Ritorniamo al problema della tassazione. E’ indubbio che il sistema va riformato, seguendo due linee: semplificazione e severità. Ma la funzione redistributiva è cruciale e non va solo mantenuta ma potenziata, specie in una situazione di sottoconsumo.

    Ultime due precisazioni: se lo stato è inefficiente ma va a sopperire ad un fallimento del mercato (esternalità negative -ad esempio il tema ambientale- o positive -sanità ed istruzione), beh la soluzione è rendere efficiente lo stato (e qui è un discorso si volontà politica); tutti i confronti sull’orario di lavoro rispetto all’Italia dovrebbero tenere fortemente conto a) del fatto che in Italia ci sono circa 3 milioni di lavoratori a nero; b) che nelle ditte sotto i quindici dipendeti gli straordinari sono normalmente pagati “in nero” (le imprese sotto i 15 dipendenti sono il 95% e occupano il 46% dei lavoratori); c) il 20% dei contratti in edilizia è part-time (non servono commenti, ma la copertura col part-time è presente in molte altre realtà). Inoltre quand’è che la riduzione dell’orario di lavoro è diventata un regresso (intendo per la società, non certo per Confindustria)??

    Un cordiale saluto da un lettore casuale e a voi assai avverso.

  15. MassimoF.

    Caro Stefano : se la crisi è nata a causa dei mutui subprime che ha portato all’insolvenza le principali banche americane, cosa c’entra la domanda aggregata ? Prima è scoppiata la crisi bancaria, poi è diminuita la produzione a causa del prosciugarsi del credito bancario , e buon ultimo sono diminuiti, e neppure tanto i consumi. Capisco che lei parte dall’ottica marxista del consumo, quindi anche il fatto che il moltiplicatore keynesiano degli investimenti non funziona, non la preoccupa minimamente, ma la sua teoria , dimentica completamente tutta la parte che riguarda l’offerta, o meglio, la considera , caratteristica prettamente marxista , come data e immutata e immutabile. Ma così non è. E lo si vede dal problema dei salari. Se lei li aumenta senza che sia parimenti aumentata la produttività ( come per esempio avviene se diminuisce l’orario di lavoro a parità di salario ), lei metterà semplicemente sotto pressione nel breve periodo i profitti. Non avrà aumento della domanda, in quanto l’effetto reddito sarà ritardato e semmai ( soprattutto in periodi di crisi ) aumenteranno i risparmi ( senza considerare la domanda di prodotti esteri ). E le aziende risponderanno con l’aumento del prezzo dei beni venduti ( quindi più inflazione ) e con il licenziamento della forza lavoro, in quanto diventata più cara . Se posso darle un consiglio, lasci stare Marx, Kalecki e Sraffa. In italia, con questi tre abbiamo già dato a sufficienza, e ne stiamo ancora pagando le conseguenze.

  16. stefano

    @MassimoF.
    Caro Massimo, La ringrazia della cortese risposta che mi permette di articolare meglio il mio ragionamento. Ma partiamo con una provocazione: se Lei pensa di poter afferrare una realtà così complessa come quella dei capitalismi contemporanei nonchè di quelli storici prescindendo dallo studio dei vari Marx, Kalecki, Sfraffa, ma ovviamente anche Smith (che voi neoclassici o monetaristi fareste proprio bene a leggere, partendo dalle sue opere di filosofia morale magari..), Marshall, Keynes, Fisher (1933, deflazione da debito) o economisti contemporanei come Galbraith o gli italiani Pasinetti, Garegnani, Graziani… Se posso permettermi tanto consiglierei di riprendere in mano un certo Hyman Minsky, do you Know?. Sviluppa in modo assai convincente alcune intuizioni di Keynes sul mercato finanziario… Questo tanto per sfuggire alla facile etichettatura marxista (semmai accetterei di essere un marxiano, ma non è il caso di soffermarci su queste cose ora).

    Andiamo ora a trattare nel merito i punti del tuo intervento. La crisi a mio parere è una crisi sistemica, trova origine strutturale nei crescenti squilibri a livello mondiale (vedi bilance commerciali, paesi neomercantilisti in avanzo strutturale e paesi in deficit permanente -Stati Uniti, ma anche il “club-med” europeo) e nella caduta della quota di ricchezza distribuita al lavoro. A questa situazione siamo arrivati dopo 25 anni di politiche neoliberiste (vedi New Consensus, Lucas, Friedman, Stigler e voi..), cioè di nuova e cieca fiducia nel mercato cioè nella deregolamentazione, nella liberalizzazione, contro ogni intervento discrezionale della politica. La cosa buffa è che poi il mercato stesso è un’istituzione, cioè un insieme di regole, cioè non esisterebbe senza essere regolamentato, ma lasciamo perdere.

    Ora la famosa crisi dei subprime non ti sembra che segnali il fatto che l’economia Usa fino ad allora sia riuscita a mantenere la domanda aggregata ad un livello che consentisse di mantenere una crescita sostenuta solo attraverso l’indebitamento di gran parte dei consumatori ad un livello tale da raggiungere il punto di rottura… Non lo noti il sistema di “credito a salario”?
    Poi potremmo pure discutere della tanto decantata efficienza del mercato mobiliare americano… Magari mi potresti spiegare come mai l’efficienza del mercato che dovrebbe esplicarsi nella sua capacità di prezzare ottimamente (nel senso paretiano del termine) le merci in esso trattate (siano titoli finanziari o case) possa passare di bolla in bolla…

    Noto che mi sto dilungando troppo… Credo sia una conseguenza della nostra lontananza di vedute e mi scuso. Mi permetto solo un’ ultima provocazione intelletuale: Lei nel proseguo del suo intervento mi poneva la questione del rapporto tra salari e produttività con tutto il cascame sull’inflazione, la disoccupazione etc..
    Nuovamente La invito ad ampliare il suo spettro d’analisi, sia culturalmente che temporalmente. Se i salari aumentano più della produttività come conseguenza mi aspetterei in effetti una pressione sui profitti, con una diminuzione della quota di reddito ad essi assegnati. Ora Lei giunge all’immediata conclusione che questo provocherà a) Aumento dei prezzi; b) Disoccupazione. Ora prenda le serie storiche relative alla dinamica dei salari e della produttività e noterà che la risposta strategica è paradossalmente l’innovazione tecnologica. Mi spiego meglio: la dinamica salariale italiana negli anni 69-79 ha in effetti superato più volte la dinamica della produttività e la risposta è stata la ristrutturazione con conseguente aumento della produttività… Come dire un processo dialettico… Mi sa che parlo arabo con voi che venerato l’individualismo metodologico… Ma tanto fa, la macroeconomia dal vostro punto di vista rimarrà sempre incomprensibile e perciò inutile…

    Mi scuso ancora per il tempo che Le ho fatto perdere e La ringrazio della risposta. Buonasera.

  17. MassimoF.

    @Stefano: Partendo dall’ ultimo suo punto : se rilegge bene il mio intervento precedente vedrà che avevo specificato che la caduta dei profitti sarebbe stata nel breve periodo, questo perchè è del tutto evidente che se il fattore lavoro aumenta di costo, nel breve periodo l’azienda ha come unica via l’aumento del prezzo del bene prodotto. Nel lungo , invece, l’azienda può cambiare la propria struttura produttiva e adattare il fattore lavoro in modo da rielevare i profitti grazie ai nuovi investimenti. Il problema è che se però lei rende permanente l’aumento del costo del lavoro più della produttività avrà un meccanismo di inseguimento, che porterà le aziende a prevenire l’inflazione futura,aumentando il prezzo dei beni oltre il livello necessario, causando una spirale inflattiva. Ora, l’esempio che lei cita degli anni ’70, conferma semmai questo. Ovvero l’inseguimento tra salari e inflazione. Come ho detto questa via Sraffiana è stata un disastro. Si è conclusa agli inizi degli anni ’80 , con i salari che comunque non avevano retto il passo dell’inflazione e un tasso di disoccupazione a due cifre. Se poi le aziende si sono ristrutturate , e dico grazie al cielo, lo si deve al fatto che la pressione fiscale era ancora accettabile e non tale da scoraggiare gli investimenti come invece è oggi.
    Per i mutui sub-prime, le chiedo se tra tutti gli economisti che lei ha citato ( tra l’altro sappia che non solo ho studiato Marx, keynes, Marshall e Fisher- Friedman l’ho fatto per conto mio, visto che nelle università italiane è bandito -e conosco e ho letto meglio di quanto lei creda Minsky ) , ha mai avuto modo di leggere qualcosa di Mises e Hayek. Vedrà che per esempio Mises , in un suo libro del 1912, aveva descritto benissimo l’attuale crisi bancaria. La Fed tra il 2002 e il 2005 ha portato i tassi di interesse reali negativi per 1,5 punti percentuali? Direi proprio di sì. Questo per lei non comporta nulla? Se io chiedo un mutuo, pago un costo dato dal tasso di interesse. Se questo non solo è uguale a 0, ma anzi è negativo, non ho forse la convenienza a farlo ? Direi proprio di sì. Questi sono fatti. La fed ha manipolato per anni i tassi di interessi, e questo ha completamente distorto la struttura produttiva. La crisi nasce da quì. Per finire, sulla domanda: lei ha citato le aziende italiane degli anni ’70 che hanno aumentato la produttività. Questo vuol dire che le aziende non producono beni fissi con sistemi produttivi fissi, ma anzi sono flessibili. Perciò, se la domanda muta, o addirittura scende, le aziende risponderanno cambiando sia la struttura produttiva , sia i beni prodotti. Tutto il resto non è altro che distorsione . La domanda non c’entra nulla; quello che importa è la flessibilità nella risposta alla crisi delle aziende.
    Sulla crisi sistemica, staremo a vedere. Le previsioni , soprattutto in ambito economico hanno spesso sbagliato. Paradossalmente , proprio i teorici della scuola austriaca ( di cui io faccio parte, quindi non sono monetarista ), che hanno sempre teorizzato l’impossibilità delle previsioni , sono stati gli unici a prevedere da subito e nei termini precisi il crollo dei regimi marxiani.
    Questa volta mi scuso io della lunghezza.

  18. stefano

    @MassimoF.
    Ancora buonasera signor Massimo.
    Apro chiedendole chiarimenti circa la sua battuta conclusiva.. Onestamente di regimi marxiani non avevo ancor sentito parlare, ma conoscendo i contenuti che date a termini quali libertà, globalizzazione e crescita Le dico che infondo non sento di dover rispondere. Ovviamente senza offesa. Comunque mi consenta di dire che con marxiano intendo colui che non crede che Das Kapital sia la nuova bibbia ma nemmeno rifiuta l’insegnamento di Marx, la prospettiva critica, il sospetto, l’analisi reale della situazione reale (questo è Lenin, non si scandalizzi).

    Detto questo proseguiamo il dialogo e vediamo che ne nasce. Allora vedo che concorda che nel lungo periodo la risposta ad uno schiacciamento nei redditi è storicamente (e questo si è verificato in tutta l’europa continentale anche se con tempistiche differenti; diversa è la situazione negli Usa dove non è riscontrabile una simile dinamica dei redditi – rimando al paper da me citato in un precedente post) una ristrutturazione, cioè un investimento in nuove tecnologie che, quanto meno inizialmente prevederanno risparmio di lavoro che verrà sostituito da capitale. Sto generalizzando ma gli spazi e i tempi mi ci costringono. Se vuole, pur posandosi su legami causali diversi, è la stessa logica dell’innovazione schumpeteriano e quindi del ciclo economico schumpeteriano. Che tra l’altro, passando attraverso Spiethoff nasce da un’intuizione di Marx (badi bene, solo un’intuizione). Anche Hayek, come ben sa, arriva alla sua teoria del ciclo partendo e ampliando Marx. Ma su Hayek torno dopo.
    Ora questa dinamica schiacciamento profitti–>innovazione è cruciale nel mio ragionamento. Anzitutto è innovazione cost-push, o effetto Marx-Hicks. In secondo luogo riecco l’utilità del concetto di domanda effettiva Keynesiana. Cosa voglio dire? Beh voglio andare oltre alla sua troppo parziale uscita sul rapporto investimenti-tassazione. Ovviamente la tassazione gioca un ruolo dal lato dei costi ma non mi insegnate voi che un investimento verrà realizzato se avrà un VAN positivo, cioè se il suo rendimento oltrepassa il costo del capitale (r*). Lei continua a guardare solo da una parte, quando il fattore cruciale è invece la stima del rendimento atteso dall’investimento. Ora mi permetto di citarvi io Keynes. Keynes è prezioso quando descrive gli animal spirits che governano la spesa in investimenti. Data la sua formazione e i suoi studi matematici, conosceva bene la differenza tra rischio ed incertezza, e sapeva che il futuro è incertezza, cioè una lotteria di cui non conosciamo nemmeno tutti gli esiti possibili. In questa situazione concorderà che la prospettiva si accorcia, che per dirla con Keynes “nel lungo periodo siamo tutti morti”. E allora potrà comprendere l’insensatezza della relazione tra tasso d’interesse e investimento e invece la pertinenza della domanda effettiva come fattore chiave. Ora se aumentiamo la quota di reddito assegnato al lavoro e se concordiamo sul fatto che la propensione al consumo dei redditi inferiori è sicuramente più alta, stimoliamo la domanda, gli investimenti e la ripresa. Noti ancora che ho detto ripresa. Perchè poi è ovvio che se si spinge la crescita oltre il livello di crescita potenziale si avrà un surriscaldamento del sistema, cioè l’inflazione ma non solo (ancora Marx e l’esercito di riserva, o il ciclo politico kaleckiano). Ma in questo momento le pare che siamo in una situazione del genere; Le pare forse che stiamo sforando?? Io dovessi aver paura di qualcosa temerei la deflazione in questo momento. Ma son forse troppi anni che vi bevete le sirene antiinflazionistiche della BCE. Sempre sott’occhio i prezzi, cioè i salari. Sempre sull’offerta, che tanto poi si crea la domanda da sola. E parlo di mercato dei beni come di mercato dei capitali. E lo dovreste sapere che non sta in piedi la legge degli sbocchi. Salutami Say.
    Proseguo. Io non ho mai detto di spingere costantemente la dinamica salariale oltre la dinamica produttiva. Però mi pare altresì chiaro che non si possa parlare di “salario di equilibrio” ma che ne venga appunto fuori il fatto che la quota profitti e di converso la quota salari possano muoversi se non liberamente quanto meno all’interno di un certo range. E questo sconfessa tutta la vostra visione del mercato del lavoro. E da là cade tutto il resto.
    E arriviamo ad Hayek. Lo conosco (come hai notato prima) e conosco la sua teoria del ciclo economico. La favoletta delle perturbazioni monetarie, dei fattori esogeni che vi spostano dal vostro bell’equilibrio statico. Ah, ma chi sono io per parlare del grande Friedrich August von. Però ho ben presente come è finito il carteggio tra lui e Sraffa. Si ricorda che poi Hayek non si è più pronunciato su aspetti teorici??! Le dice niente. Vede per voi se la Macroeconomia non fosse mai esistita sarebbe assai meglio. Ne uscite male.
    Eccoci alla Fed. Il maestro Greenspan non gode più dei vostri favori vedo. Beh Lei sarà a conoscenza che Greenspan quando si presentò alla Fed nel 1987 si fece precedere da una serie di dichiarazioni di chiaro segno monetarista: tassi su e guerra all’inflazione. Poi gli cadde in testa il lunedì nero tanto a chiarirgli che la musica stava cambiando. E giù i tassi. Da lì in poi, senza bisogno di focalizzarsi sul 2002-2005 e sulla vostra cazzata della Taylor rule che già sento nell’aria, ogni volta che Greenspan ha provato a rialzare i tassi c’era un tonfo in borsa. Che Le dice questo?? Io suggerisco che il sistema finanziario è fortemente cambianto e che la progressiva deregolamentazione a portato ad un sistema assai fragile, che non tollerava alcun rialzo dei tassi e che passava da una crisi all’altra a livello mondiale. Che inizialmente colpisce le periferie (1997- crisi asiatica). Poi attraverso il calo dei prezzi delle materie prime tira giù Russia e Brasile. E poi eccoci alla crisi al centro dell’impero.
    Badi bene che la questione richiederebbe alcuni tomi e qui si semplifica. Ma per favore non mi risponda che il problema è che ci si è discostati dalla Taylor rule. Mi parli di Minsky piuttosto, dato che lo ha letto.

    Ok, stavolta mi scuso non solo con Lei ma anche con gli altri dato che mi sono allontanato parecchio dal tema originario.
    E’ stato comunque un grande piacere. Buonanotte.

  19. MassimoF.

    @Stefano : innanzitutto su tasse e investimenti: come ha detto lei un investimento è rischioso , ed è per questo che gli investitori vogliono un premio per il rischio assieme al tasso privo di rischio. Questo al netto delle tasse. Perchè forse a lei potrà sembrare strano, ma gli investitori sanno benissimo che un rendimento al lordo del 10% , con tasse al 50% scende al 5% . Lei parla di domanda, ma ammesso e non concesso che abbia ragione, non esisterà mai una domanda tale che possa spingere il rendimento al 25% per tutti gli investimenti. Perchè con la pressione fiscale che abbiamo oggi, tale è il rendimento da ottenere perchè sia non tanto conveniente, ma semplicemente neutrale con le altre forme di investimento. Per quanto riguarda Minsky , ha fatto a mio parere personale un discreto lavoro sull’analisi del debito in fase boom-burst, ma ciò non toglie che questo nasca da un’espansione monetaria artificiale. Su quest’ultimo punto , se permette , si vede tutta l’incoerenza del suo discorso. Lei , non io , dice che quando Greenspan è arrivato alla fed, era monetarista, ma col lunedì nero, ha cambiato ed è diventato altro; lei non specifica , ma immagino sia keynesiano. Poi , sempre lei, dice che dopo questo ogni volta che ha tentato di rialzare i tassi, si sono verificate crisi finanziarie. Bene , questo è tutto vero e lo sottoscrivo. Ma non le viene il dubbio che tutto ciò nasca proprio dal fatto che Greenspan abbandonò subito il monetarismo e abbracciò la gestione monetaria allegra tipica della sinistra keynesiana? A mè pare proprio di sì. I fatti sono lì a dimostrarlo. Quanto al fatto che per lei un’aspansione monetaria artificiale distorca gli investimenti , sia solo una favoletta o una cazzata, può pure pensarlo, ma deve dimostrarlo, e questo non lo può fare , o meglio non riesce a farlo, perchè : oggi siamo in piena crisi, e ieri , si era in piena espansione monetaria artificiale; perchè oggi le banche sono in difficoltà, e ieri erano in prima fila a prestare denaro grazie al suo basso costo; questi sono fatti, descritti molto prima della crisi dalla scuola austriaca e puntualmente successi. Quanto ad Hayek e Sraffa, è del tutto evidente che a lei non passi nemmeno per la mente che Hayek abbia abbandonato la discussione semplicemente perchè si era stancato di far capire a qualcuno , qualcosa che questo proprio non vuole capire. Fortunatamente , i fatti hanno dato ragione ad Hayek, e continueranno a farlo. Sull’equilibrio statico , le consiglio di leggere bene Hayek, vedrà che ne parla in termini molto diversi da quelli che lei dice, e per nulla statici , anzi. Sulla domanda aggregata, ripeto quello che ho già detto precedentemente e che lei ha semplicemente aggirato; sulla legge di Say , che sia sbagliata và dimostrato: le ricordo che Keynes,non Hayek, diceva che nel lungo periodo saremmo tutti morti, ma l’inizio della frase era che nel lungo periodo aveva ragione il liberismo , e nel liberismo l’offerta trova la sua domanda. Come ha detto lei, continuare richiederebbe troppo spazio , però mi lasci concludere dicendo due cose: lei parla di crisi e deregolamentazione, però la crisi si è sviluppata ed è nata anche in paesi che deregolamentati non lo erano e non lo sono mai stati, un’esempio su tutti , il giappone fine anni ’80. L’unico tratto comune è sempre stata la politica monetaria iper-espansiva. Rifletta. Infine , noi liberisti siamo individualisti e per noi viene prima l’individuo. Penso che questo sia una benedizione, in quanto società che si basano sul rispetto dell’individuo ( e del suo pensiero anche se sbagliato-io non ho mai definito le sue idee , cazzate ), non svilupperanno mai legislazioni lesive dei diritti delle persone, al contrario di società basate sul bene comune, che proprio per fare questo, si sentiranno legittimate a calpestare i diritti dei singoli , se giovano alla società.

  20. Giorgio G

    Finchè non verrà abolito l’istituto del sostituto d’imposta in Italia i politici non prenderanno mai sul serio la riduzione e la semplificazione delle tasse.
    Voterò per chi si farà carico di fare questa riforma, a prescindere dal colore politico.

  21. stefano

    @MassimoF.
    Caro Massimo, attualmente non ho la possibilità di risponderle in modo adeguato… Quindi le propongo solo un breve accenno:
    1) Gli investimenti sono dominati dall’incertezza e non dal rischio!!
    2) Greenspan non può proprio essere definito Keynesiano.
    3) La legge degli sbocchi di J.B. Say trova una elegante negazione in Keynes: non è vero che ogni offerta generà la sua domanda perchè esiste la possibilità di tesoreggiare. Se la distribuzione dei redditi privilegia i profitti questo viene vieppiù evidenziato. Certo bisogna concordare sul fatto che i percettori di redditi bassi abbiano una maggiore propensione al consumo. Il che è opinione comune a tutti gli osservatori.
    4) La critica sraffiana alla teoria del capitale è inattaccabile. Tutto il vostro sistema va a scatafascio. Questo lo sapeva benissimo sia Sraffa che Hayek. Se poi preferisce la sua spiegazione da soap-opera..

    Inoltre mi scuso per aver definito una cazzata la Taylor Rule. Concorderà comunque che è una legge fortemente arbitraria il cui scopo principale è negare ogni discrezionalità alla politica monetaria (in conseguenza della critica di Lucas).

    Se Lei mi facesse il favore invece di evitare di accusare di totalitarismo ogni visione del mondo che contrasti con la sua, sarebbe un buon passo avanti. Ma questa sera conto di risponderle meglio anche su questo punto.

    Buonagiornata

  22. MassimoF.

    @Stefano:
    1) se un investimento è incerto, è quindi rischioso. E questo rischio o incertezza, deve essere remunerata. La cosa è lapalissiana.
    2)Greenspan non sarà Keynesiano, ma la sua politica monetaria non è stata monetarista, e questo lo ha detto lei, non io.
    3)Il tesoreggiamento avviene perchè i prezzi non si adeguano al mutare della struttura produttiva. Un imprenditore che non investe perchè non gli conviene deve essere benedetto, perchè altrimenti farebbe una allocazione inefficiente dei capitali.
    4) Questa è una sua opinione. Per essere presa in considerazione deve essere provata. Finora l’unica cosa che è stata dimostrata è l’erroneità del pensiero Sraffiano, e la stagflazione degli anni ’70 lo dimostra. Le soap-opera , esistono, ma non stanno nel pensiero Hayekiano.

    Sulla legge di Taylor, trovo sia un’utile punto di partenza, soprattutto per togliere influenza alle perturbazioni politiche, sempre distruttive. Meglio sarebbe eliminare completamente le autorità monetarie e quindi anche solo la possibilità teorica di manipolare a fini politici gli aggregati monetari.

    Sull’individualismo, ho semplicemente spiegato perchè ritengo sia non solo giusto, ma da estendere il più possibile.

    Buona giornata anche a lei.

  23. stefano

    @MassimoF.
    Caro massimo, rimando nuovamente ad un momento futuro una risposta più completa… Intanto Le rispondo per punti:

    1) Si legga il Trattato sulla probabilità di Keynes; oppure si applichi alla microeconomia avanzata, alla teoria della scelta. La differenza tra rischio e incertezza è che mentre il rischio è calcolabile ed è quindi possibile massimizzare la funzione di utilità, l’incertezza non prevede la conoscenza di tutti gli esiti possibli e quindi non è possibile massimizzare staticamente alcun che; è lo stesso motivo per cui il valore di un’opzione si compone del suo valore strutturale e del suo valore temporale; essendoci un time value non è possibile compiere scelte che massimizzino l’utilità; siamo nel mondo delle scommesse insomma; o degli animal spirits.

    2) Su Greenspan non mi dilungo oltre; perchè non è Greenspan il problema; il problema è la crescente fragilità accompagnata al crescente peso del sistema finanziario internazionale. Cioè il numero delle crisi finanziarie che si sono susseguite dalla fine degli anni ’70 in poi e il fatto che ogni nuova crisi era più grave delle precedente. Questo è il punto su cui mi dovrebbe rispondere. Io ho una mia teoria ma gliela proporrà un’altra volta. Comunque ancora le consiglio Minsky.

    3) Se vi è tesoreggiamento o se i profitti se ne vanno in finanza invece che essere reinvestiti nell’ economia reale, beh allora non è vero che tutto il reddito viene interamente speso e la legge di Say non vale. Non c’è soluzione. E la cosa non è nuova (Teoria generale, 1936, Keynes). Che poi i capitalisti (non li chiamerei proprio imprenditori nel senso schumpeteriano se non investono) non investano se non sono convinti di trarne un rendimento pari o superiore al costo-opportunità è ovvio. E magari questa reticenza è, più strutturalmente, frutto di una crescente incertezza. (E anche di un sistema di tassazione che favorisce la finanza rispetto all’economia produttiva, certo). E questa incertezza magari nasce proprio dall’indiscriminata apertura dei mercati e dalla liberalizzazione spinta del mercato del lavoro. Cioè da una competizione feroce per accaparrarsi i mercati internazionali, da un lato. E dalla contrazione subita dalla domanda aggregata, dall’altro. Che poi è frutto della nuova dinamica distributiva. Che si spiega sia con i mutamenti nella domanda di lavoro (skilled versus unskilled) sia con i mutamenti intervenuti nell’offerta (immigrazione e crescente partecipazione femminile). Ok ora prosegua da solo.

    4) Guardi la stagnazione degli anni settanta non si può attribuire proprio nè a Keynes nè a Sraffa. Dalla metà degli anni ’60 in poi si parla apertamente (tranne che nella vostra torre d’avorio) di “keynesismo bastardo”, se la cosa Le dice nulla. Certo che i trent’anni gloriosi erano frutto di un capitalismo monopolista in cui i guadagni di produttività erano completamente assorbiti dalla crescita salariale. E la disoccupazione europea stava al 2%, quella americana al 4%. Poi so come voi vi siate attaccati alla stagflazione degli anni ’70 per pompare su una nuova fiducia nel mercato (selvaggio). Ma questo è tipico della storia economica.
    Solo mi chiedo come non Le sovvenga di riflettere sulla situazione attuale. Magari identificando le politiche economiche che hanno portato alla più grande crisi dal 1929. Ma non mi illudo certo che voi siate mossi dalla ricerca della verità. No, voi vigilate sulla salute del capitale e tanto vi basta. E non riempitevi la bocca di dittatura. Parlatemi piuttosto del vostro (della scuola di chicago, intendo) democratico intervento Cileno. O del capitalismo cinese. Siate realista.

    Quanto all’individualismo metodologico lo rifiutava Smith, Ricardo, Mills, Keynes… oh, anche Marx, certo. Se questo basta per marchiare tutti questi grandi economisti di pericolosi teorizzatori del gulag lo lascio valutare a Lei.

    Buonanotte… e prosegua la sua caccia alle streghe. Ma attento che non Le cade in testa la sua bella costruzione teorica e la sua bella realtà economico-sociale.

  24. stefano

    Ah, un’aggiunta alla fine del punto tre: anche i mutamenti istituzionali sono importanti per spiegare il mutamento distributivo. Per mutamenti istituzionali devono intendersi i mutamenti nella struttura della contrattazione (decentramento), nel peso del sindacato (densità sindacale) etc..

  25. MassimoF.

    @Stefano:
    1) la chiami pure incertezza, e la ritenga pure non calcolabile, il discorso non cambia, anzi lo aggravia, e la deve remunerare. Sul fatto specifico della non calcolabilità semplicemente sbaglia. Gli investimenti hanno ritorni gaussiani , certo con curtosi spostate e magari con code non perfette, ma una media è comunque calcolabile e questa la può usare come perfetta base di partenza. Quindi , non c’è nulla di non calcolabile. Magari non avrò il valore esatto , ma questo non serve.
    2)Vedo che quando qualcosa non le piace o non rientra nel suo schema, lo cancella. Legittimo, ma sbagliato. I fatti, non le opinioni, dicono che dove ci sono state crisi finanziarie abbiamo avuto politiche monetarie iper-espansive e manipolazioni degli aggregati monetari. Hayek impera sovrano.
    3)Proseguo da solo e le dico lei sbaglia. Se avviene il tesoreggiamento, e ribadisco il se, la colpa è del mancato riallineamento dei prezzi. Soluzione: riallineamo i prezzi. Tutto il resto sono solo distorsioni inflattive della struttura produttiva.
    4)Se non le piacciono gli anni ’70, va benissimo. Prendiamo gli anni ’50, dove i salari erano sotto controllo, le tasse erano basse, i sindacati erano ancora al loro posto, e l’economia cresceva a ritmi sostenuti. Come vede le cose non cambiano. Quello che serve all’economia sono meno tasse a partire dai ricchi , meno potere sindacale , nessuna politica monetaria e ovviamente , per non riempire l’economia di debiti, meno welfare . Purtroppo in italia questo non è stato fatto e non verrà fatto, e le conseguenze le vediamo.

    Sui regimi totalitari, certo il liberismo può convivere con le dittature, ma al contrario dei regimi socialisti, ne può fare anche a meno. Invece , i regimi socialisti se hanno due costanti sono proprio: la dittatura e la povertà.
    Sull’individualismo ribadisco quanto detto in precedenza , salvo ricordarle molto umilmente che salvo Marx, gli economisti da lei citati , pur magari non aderendo all’individualismo metodologico, erano liberali, e per tutti ( sempre escluso Marx ), anche se a gradi diversi, i diritti dei singoli individui erano un bene da salvaguardare.

  26. Anto

    Anch’io come Giorgio credo che cambierebbero tante cose se venisse cancellato il sostituto d’imposta. NOn è la stessa cosa avere in mano dei soldi e poi materialmente e personalmente pagare le tasse. Cambierebbe l’approccio psicologico con cui si rapporta verso la cosa pubblica e forse si presterebbe molta più attenzione a come chi governa lo stato spende i nostri soldi. Ci sarebbe un cambiamento culturale da parte di chi ha un lavoro dipendente. Chiedete a qualcuno che prende la busta paga quando paga di tasse. E’ difficile che vi diano una cifra esatta senza rifletterci e spesso è sbagliata. Poi magari si ricordano della busta paga, calcolano quanto è il lordo e lo confrontano con il netto. Ma ripeto, a bruciapelo non lo sanno e quindi non è una loro preoccupazione. Sono convinto che se dovessero pagare le tasse materialmente se lo ricorderebbero eccome e se ne ricorderebbero bene al momento del voto.

  27. stefano

    @MassimoF.

    Caro Massimo, che lei non voglia una banca centrale, nè alcuna politica redistributiva, nè alcun tipo di regolamentazione è ben chiaro. Solo che tutta questa libertà è nient’altro che libertà del capitale. Per un lavoratore si traduce in libertà di essere sfruttato. Io Le consiglierei semplicemente di affermare questo perchè quando prova a dare una giustificazione teorica elegante al suo pensiero è destinato a fallire come ha fallito in ogni post che ho letto qui.
    Un esempio?? La legge di Say non vale perchè i prezzi non si riallineano? Ok, allora il mercato non è efficiente, in quanto non riesce a prezzare efficacemente i beni in esso trattati. E la legge di Say continua a non valere, almeno nel breve periodo; nel lungo invece siamo tutti morti… Che non vuol dire che ha ragione Lei, semplicemente che le contraddizioni e le conseguenti crisi in cui incorre sempre più spesso il sistema capitalistico, anche in conseguenza di quest’ondata di nuovo laissez-faire, minacciano la sua stessa esistenza nel lungo periodo.. Senza arrivare a questi esiti catastrofici, comunque ribadisco che il sistema capitalistico deregolamentato quando entra in crisi si allontana dalla sua dinamica naturale e (vedi fenomeni di isteresi, ad esempio) niente garantisce che ci ritorni autonomamente, anzi. Per questo un colto borghese come Keynes, animato non certo da intenti socialisti quanto dalla volontà di salvare il capitalismo individualista, ben sapeva che solo ponendo soluzione alla disoccupazione di massa attraverso l’intervento dello stato si sarebbero potuti evitare esiti dittatoriali. Un chiaro esempio di ciò è stato fornito dall’Italia fascista e dalla Germania nazista. Che poi è stata la soluzione delle classi dominanti di fronte al pericolo bolscevico.

    Su Greenspan Le ho già risposto a sufficienza. In generale mi pare di aver dedicato fin troppo tempo a discutere con Lei e credo che per Lei valga lo stesso. Semplicemente a mio parere Lei è un fondamentalista di mercato: invece di riconoscere il fallimento esplicito delle politiche da Lei propugnate (o forse non c’è la crisi più grande dal ’29?!), sostiene che queste non siano state messe in pratica adeguatamente; che le si sia abbracciate troppo moderatamente. La realtà è ben diversa ahimè… la realtà è la barbarie che ci circonda. Che poi Lei non se ne accorga o riusciendo a riempirsi la pancia comunque possa fare a meno di accorgersene, questo le assicuro che è e sarà un problema suo.
    Ed ecco il vostro liberalismo: nient’altro che una serie di cazzate (oops, di concetti “pseudo-sperimentali” -questo è Vilfredo Pareto, noto bolscevico della prim’ora..) atti a consentire ad una elitè privilegiata di salire e mantenersi al potere. Proseguirei con Canfora, ma immagino la replica. E allora senta ancora: Pareto afferma che la storia è una storia di élites che si avvicendano al comando, una volta in nome del libero mercato, una volta in nome della classe operaia: quindi, semplicemente, la storia di una successione di minoranze privilegiate, che si formano, lottano, arrivano al potere, profittano di questo potere, cadono in decadenza e sono sostituite da altre minoranze, con la forza o con mezzi pacifici.
    Vede a me non scandalizza concoradare quanto meno in parte con ciò, perchè io sono marxiano non marxista!!

    Ma adesso basta, non c’è dialogo tra noi… siamo e saremo sempre avversari… apperteniamo a due mondi diversi e a due mondi destinati a combattersi.. Quindi eviti di cercare di prendere per il culo e cammini smascherato. Tutte queste coperture del suo pensiero classista non son altro che un indice della vergogna che prova per la sua posizione. Ciò mi ricorda una riflessione di Schumpeter sul detino del capitalismo dei trusts… Ma se lo legga Lei che ha sicuramente più tempo di me…

  28. MassimoF.

    @Stefano: il mercato è efficiente se viene lasciato libero di operare. Se , invece , come è adesso, dove il riallineamento dei prezzi viene bloccato anche per via legislativa, darne la colpa alla mancanza di efficienza mi sembra veramente assurdo. E’ come condannare a morte una persona e dopo averla uccisa dire che è morta perchè non amava la vita.

    Per quanto riguarda tutto il resto, il problema nasce semplicemente da quello che dice lei ” perchè io sono marxiano non marxista “. Ora , il pensiero di Marx, piaccia o non piaccia, è sbagliato. La teoria del valore-lavoro è sbagliata. La legge tendenziale sulla caduta del saggio del profitto è sbagliata. Che dopo 150 anni e le esperienze alternative al capitalismo ancora non si sia capito questa semplice verità, è umanamente capibile, ma razionalmente inconcepibile.

    Nota personale: non creda che chiunque non la pensi come lei sia ignorante e non capisca le cose. Io non solo ho studiato Keynes e Marx, ma ho letto anche Shumpeter , Minsky, Sraffa ( quì lo ammetto, ho letto solo ” Produzioni di merci a mezzo di merci ” ), e molti altri economisti. E penso anche di averli capiti. A volte mi piacciono , a volte nò, ma se trovo qualcosa di utile , anche se detto da un economista politicamente a mè avverso, mi piace e lo uso.
    Una delle più belle lezioni della scuola austriaca è che non esistono verità assolute , ma solo verità che fino ad oggi non sono state falsificate, al contrario delle teorie di Marx.

  29. stefano

    @MassimoF.

    Il mercato è un’istituzione ed esiste solo se regolamentato. Sì può regolamentarlo più o meno, in un modo o nell’altro, ma non esiste il mercato “lasciato libero di agire”. Il mercato stesso produce regolamentazione. Lei è un fondamentalista e vive di queste seghe mentali, ma attualmente nei paesi sviluppati lo stato intermedia dal 45% al 55% della ricchezza prodotta. Questo è il capitalismo storico.

    Io proprio perchè son marxiano e non marxista non mi preoccupo della teoria del valore-lavoro (che è sbagliata) nè della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto (già per altro criticata da marxisti quali Sweezy). Io non mi consolo nell’ideologia. Sraffa (neo-ricardiano) delinea chiaramente il rapporto profitto-salario e, cosa che le ho già detto, la possibilità di collocarlo all’interno di un range. Da qui si può tranquillamente ripartire e se Marx ci sta bene, altrimenti si va avanti lo stesso.

    Quello che non rifiuterò mai di Marx è la sua analisi del capitalismo come forma storica, non naturale e transitoria.

    La talpa continua a scavare. Nonostante tutto quel che può dire Lei.

    Ora mi lasci respirare, mio caro liberale e libertario (o servo del capitale?!).

  30. MassimoF.

    @Stefano: la talpa scava, ma è cieca. Vedo con piacere che ammette l’erroneità delle teorie di Marx, e questo è già un passo in avanti. Per quanto riguarda le teorie di Sraffa, sò benissimo che per lui non esiste un valore economico di equilibrio del tasso di profitto, e che questo dipende dalla politica , o per meglio dire dalla forza contrattuale delle due classi sociali concorrenti. Il problema è che pure questa formulazione è errata. E’ sbagliata , perchè semplicemente ignora due cose: 1) un profitto deve essere almeno uguale ad un tasso sicuramente noto e dato, ovvero quello dell’investimento a lungo termine privo di rischio, e questo non è determinato in alcun modo dal mercato del lavoro, se non attraverso vie molto trasversali, e comunque un minimo premio per il rischio o incertezza, verrà sempre richiesto ; 2) la teoria sraffiana ritiene che non sia possibile calcolare la produttività marginale del lavoro, ma per farlo , e quindi far crollare tutto il pensiero di sraffa, basta scontare il valore della produttività futura ad un tasso di sconto pari al tasso di profitto storico ( che poi essendo di fatto una media , sarebbe quello di equilibrio ) .
    Tutto questo è quello che succede, e che ha spinto le aziende italiane negli anni ’70 ad aumentare prima i prezzi dei beni venduti e poi a licenziare i lavoratori ristrutturando le aziende per riportare il tasso di profitto al valore di equilibrio storico, e questo nonostante la forza dei sindacati e la contrarietà della politica.
    Detto questo , mi consideri pure se vuole un servo del capitale ( ma è un’offesa? ), e sempre se vuole un esimio ignorante , e chiami pure i miei pensieri seghe mentali , io da liberale non solo non mi arrabbio, ma anzi sono lieto che non esista un pensiero unico, poichè ritengo che nessuno sia depositario della verità, men che meno io, ma tutto questo , non rafforza le sue idee, e men che meno diminuisce le mie.

  31. stefano

    @MassimoF.
    Ok Massimo, un’altra risposta… Allora se riesce ad infilarselo in testa che di Marx io condivido il metodo, la filosofia e alcune intuizioni farebbe lei un passo avanti.. Ma certo capisco che è molto più comodo etichettarmi come una specie di filologo dell’opera del grande maestro defunto… D’altronde ogni volta che va nel merito delle questione da me poste non convincerebbe nemmeno una matricoletta universitaria appena un po’ sveglia.

    Per quanto riguarda Sraffa, si prenda un po’ di tempo e legga qualcosa di più. Sraffa fa cadere tutta la vostra concezione tramite la critica alla teoria del capitale… che nel merito vuol dire che egli dimostra l’impossibilità di dare una misura del capitale senza conoscerne in anticipo il tasso di profitto. Che però nella vostra teorizzazione è l’incognita. E’ cioè la produttività marginale del capitale e per essere calcolata abbisogna di un valore per K. Che però si ottiene solo conoscendo il rendimento di ogni bene capitale. La sto tirando un po’ lunga allo scopo di farle notare la circolarità del processo e l’impossibilità di una soluzione. E’ matematica, logica.
    Si è provato in effetti ad aggirare la critica ma senza successo. E’ storia del pensiero economico.

    Sugli anni ’70/80 lei semplifica come farebbe un liceale (magari lo è)… In gioco ci sono talmente tanti fattori (fine dell’era fordista, crollo del sistema monetario di bretton woods, apertura dei mercati, deregulation, inizio della finanziarizzazione) che il discorso deve necessariamente essere più articolato..

    Ancora su Sraffa… Le avrò scritto tre, quattro volte che si parla di un range entro cui può “liberamente” (cioè in base ai rapporti di forza) variare il tasso di profitto… Quindi è ovvio che ci deve essere un tasso di profitto minimo almeno pari al tasso di investimento + una compensazione per il rischio… e questo in ogni sistema che non sia stazionario… Se poi vuole fare scuola agli scolaretti inizi con i suoi che qui la curiosità e lo sforzo di soddisfarla non sono mai mancati..

    Sul mercato come istituzione non l’ho sentita esprimersi… come sul Cile.. d’altronde un liberale si accontenta della forma e non entra mai nell’officina del capitale, nella fabbrica, fra i suoi ingranacci di sangue e carne… Moralisti da quattro soldi…

    E se servo del capitale (certamente ben stipendiato) non lo prende come offesa non c’è da stupirsi… Certo la critica per Lei deve essere un concetto eccessivo…

    Sul pensiero unico Le consiglierei un Bauman a scelta…

    Grazie ancora della conversazione ma riparliamone magari in un altro post, che dice??

  32. MassimoF.

    @Stefano: lei è una persona simpaticissima. Mi insulta in tutti i modi possibili, salvo poi darmi ragione su tutto. Ammetto che questo mi spiazza un pochino. Di solito chi mi insulta, non mi dà ragione. Riassumendo, lei parla di Marx, io le faccio notare che Marx sbaglia, lei mi insulta, salvo poi concludere che è ovvio che Marx sbaglia. Lei parla di impossibilità di calcolare il profitto, io le faccio notare che invece si può fare anche se non in maniera precisa, lei mi insulta continuamente, salvo poi dire ” Quindi è ovvio che ci deve essere un tasso di profitto minimo almeno pari al tasso di investimento + una compensazione per il rischio ” , che guarda caso è quello che dico io. Che dire, la ringrazio. Però da questo dovrebbe trarne anche le implicazioni pratiche.
    Sugli anni ’70, le concedo ( ma neanche tanto , visto che in Italia, la distorsione salariale è stata macroscopica e si è per l’appunto visto ) che le variabili in gioco sono molte, ma allora mi spieghi perchè questo dovrebbe valere solo per quell’epoca e non per esempio nella nostra o negli anni ’30.
    Sul Cile, a mè personalmente piace quello attuale, ovvero un paese libero, democratico e non socialista. Come le ho già ripetuto prima, il liberismo è si possibile adottarlo nelle dittature, ma al contrario del socialismo, può ed è ,adottato anche dai paesi liberi e democratici. Questi sono i fatti.
    Sul fatto di essere servo del capitale, proprio non riesco a capire dove sia l’offesa. Se vuole spiegarmelo meglio le sarei grato.

  33. stefano

    @MassimoF.
    Massimo Lei ha rotto il cazzo… Continui da solo a farsi le sue seghe mentali… Io non Le do ragione su un cazzo di niente… ma mi son stufato di spiegarglielo…

  34. Riccardo

    sinceramente, tutti questi interventi sono molto interessanti (a parte alcune cadute di stile) ma altrettanto sinceramente credo che sia necessario prima di tutto pensare ad assicurare il classico pasto caldo a tutti ogni giorno ( e l’assistenza sanitaria decente, ed una educazione di base e comune ecc.ecc) e questo credo che possa solo farlo la comunità, ovvero lo stato, sperabilmente in modo efficente,. Difficilmente il privato può dare la soluzione a queste necessità di una nazione moderna e civile.
    Se anche negli USA, che sono gli USA, lo stato intermedia circa il 30% del PIL quaclhe ragione ci sarà..back to the basics

  35. Oscar Giannino

    No, il problema a mio avviso non è il pasto caldo di Stato, caro Riccardo, a meno che con questa formula indichi ammortizzatori sociali per i lavoratori nelle imprese che ristruytturano, e in quel caso è il contrario di ciò che fa lo Stato in Italia, visto che CIg ordinaria e straordinaria sono intese a tutelare il posto di lavoro dov’era e com’era con l’idea che le imprese non debbano mai licenziare….credo invece che illungo appassionato dialogo tra Stefano e Massimo ci abbia indicato molte buone cose, tantissimi autori che sarebbe bene in Italia si facessero leggere agli stuidenti – non succede praticamente più, in alcuna università o quasi a mia conoscenza – e lo scontro molto forte tra chi sostiene dal punto di vista “macro” la circolarità irresolubile di crisi da sfruttamento oligarchico (semplificando) se non si fissa – loro dicono “si conosce”, ma per loro sifgnifica “si fissa” il tasso di rendimento del capitale – e chi sostiene invece che ciò che comnta è solo il “micro”, cioè che regolatore monetario e politico attraverso tassi e sistema del credito non alterino discrezionalmente i rendimenti del capitale in modo da spiazzare anche e proprio gli impieghi produttivi che pure sono molto a cuore degli stessi sostenitori della tesi avversa. E’ uno dei punti aperti, centrali e fondamentali, dell’eredità lasciataci dal pensiero economico degli ultimi 150 anni. Il mio modesto avviso è che bisogna sapercisi confrontare evitando di rifugiarsi nelle reciproche scomuniche “sei un leninista” “e tu un servo del capitale e di Pinochet”: e questo credo s’impari o con l’età – ma non so quanti anni hanno Stefano e Massimo, e comunque non mi permetto di giudicarli, sto solo dicendo la mia su questo blog in cui ho qualche responsabiità ma che resta aperto a tutti – oppure anche no, ma in questo secono caso l’autoreferenzialità di ciascuna tesi contrapposta diventa leggermente sterile, cioè diretta solo a convincere chi ne è già convinto. e non credo che noi siamo tutti qui solo per riconvincerci di ciò che ci ha già convinto: chi ha studi economici, comunque la pensi, non può che essere affasdcinato dalla quanità di problemi, apsetti e interrogativi vecchi e nuovi che essa pone a qualunque tesi e scuola, e la risposta non è mai la mera conferma delle auctoritates precedenti…mai. grazie dunque a stefano e masismo, e spero che ricomponiate i toni astiosi dell’addio

  36. Piccolapatria

    @Stefano e Massimo F. si sono esibiti in corposi interventi zeppi di citazioni altisonanti che non mi azzardo a commentare dal fondo della mia ignoranza specifica, salvo rilevare che Stefano, un pochino nervosetto, ha mandato a quel paese Massimo perchè, forse esaurita la capacità di interloquire, ha preferito chiudere al solito modo “elegante”, tanto caro a coloro che non sopportano chi la pensa diversamente e controbattono usando concetti raffinati e colti ma immiseriti da copiose e sgarbate grossolanità di tipo personale.
    Più terra terra, ritengo che anche lo Stato non possa permettersi all’infinito di spendere e spandere risorse che, non possedendole, se le procura in primis con tasse esorbitanti tagliando le gambe ai cittadini che dice di voler “assistere” e facendo debiti giganteschi che resteranno sul gobbo delle generazioni future. Ben venga una riflessione collettiva sull’entità delle tasse e imposte, su come lo Stato nel suo complesso impiega il denaro che incamera a vario titolo visto che sovente si dimostra sprecone, non efficiente, ingiusto e clientelare a corrente alternata. Subito, un taglio coraggioso e decisivo alle spese statali, lo spazio per farlo è abbondante e non è prorogabile. Una diminuzione del peso fiscale, che in tanti casi raggiunge anche il 60% del reddito di una piccola impresa, favorirebbe l’iniziativa privata, la creazione di nuovi posti di lavoro e agevolerebbe l’emersione del “nero” a tutto vantaggio delle entrate tributarie. Serve un “capo famiglia” serio e oculato che spenda quel che c’è nel borsellino di casa, sa rinunciare alle spese non vitali e, quando occorre, fa i debiti giusti a misura di quel che potrà pagare nel proprio futuro.

  37. stefano

    sono un altro stefano.
    Non ho capito bene,avevo anche altre cose per la mente, ma mi pare che al TG il servizio sullaprotesta sindacale contro le tasse abbia portato al solito refrain “le tasse gravano soprattutto sui lavoratori dipendenti”. A questo punto mi viene voglia di invitare certa gente ad andare in un luogo piuttosto stretto e odoroso, perché veramente non si rendono nemmeno conto di quello che dicono/fanno.
    Andiamo avanti con questo divide et impera, grazie sindacati per il vostro impegno contro le tasse, ma avete sbagliato indirizzo.

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