7
Lug
2010

Ricordate la crisi finanziaria del 33 d.C.?

Riceviamo da Leonardo Baggiani (IHC) e volentieri pubblichiamo

Sul sito Working Ideas è stato condotto un approfondimento degli Annales di Tacito, storico latino, in quanto richiamati in un discorso di Trichet a Stanford. Oltre a suggerire di leggere questo gustoso articolo, voglio aggiungere qualche riflessione. Trichet trova giustificazione alla politica di quantitative easing e tassi molto bassi della BCE in un’analoga mossa dell’imperatore romano Tiberio. Il passo di Tacito, attualizzato con i termini suggeriti da Trichet stesso suona così: “la distruzione della ricchezza privata provocò il tracollo di onorabilità e reputazione. Alla fine [Governo e Banche Centrali] intervennero in aiuto distribuendo attraverso le banche centinaia di [miliardi] di [euro e dollari], e concedendo la libertà di prendere a prestito senza interessi per tre anni, a patto che i debitori fornissero allo Stato [come collateral] beni fondiari per un valore doppio. La fiducia fu così recuperata, e gradualmente tornarono i prestatori privati”. Perfetto.

Dovremmo però chiederci se le origini della crisi del 33 fossero analoghe a quelle attuali. Andando a ritroso si vede che il dissesto è seguito ad una ondata di vendite di beni fondiari al fine di copertura dei debiti, ma la conseguente svalutazione degli immobili ridusse i possibili recuperi lasciando i più indebitati nell’impossibilità di onorare gli impegni (da qui il dissesto generalizzato ed il “salvataggio” di Tiberio). Tale corsa all’estinzione del debito derivava da una specie di “sanatoria sull’usura”: per legge i prestiti dovevano infatti essere a tasso nullo e coperti da garanzie fondiarie, ma nell’Impero molti, Senatori compresi, avevano prestato “ad usura” cioè con un interesse positivo e magari senza garanzia. Per risolvere il vasto scandalo (già le condanne si sprecavano) fu concesso da Tiberio un anno e mezzo per il rientro dei prestiti ad usura con investimento del recuperato in beni fondiari, pertanto i debitori cercarono come poterono (quelli che poterono) di recuperare i denari liquidando ciò che avevano. Come già detto, le conseguenze delle liquidazioni di massa resero spesso impossibile il recupero delle somme.

Il prestito ad interesse e non garantito era vietato nel 33 d.C. per ragioni di ordine pubblico (“l’usura causa conflitti sociali”, si diceva), per questo il sistema era passato da tassi fissati liberamente tra le controparti, ad un tasso “pubblico” fissato dai Tribuni, fino al tasso zero con copertura fondiaria “inventato” da Cesare. Ma la gente da sempre si ingegna a creare strumenti per replicare ciò che è economicamente giustificato sebbene vietato dalla legge, ed oggi quelle pratiche sarebbero legali perché attualmente l’usura si misura sull’entità dell’interesse, non sulla sua mera esistenza (i ribaltamenti del concetto di usura si susseguono spesso nella storia, come si ricava anche da Hickman).

Trichet richiama la parte finale della cronaca di Tacito per dar ragione alla capacità salvifiche dell’intervento monetario centrale, in grado di costruire nel sistema una fiducia più forte di quanto sarebbe possibile con politiche rigorose tese ad evitare fenomeni di moral hazard. Trichet però non ha ricordato anche che la crisi del 33 derivò sostanzialmente da atti legislativi e giudiziari contro una pratica creditizia, e che questa pratica discende palesemente dalla necessità di aggirare una norma creditizia discriminatoria (tasso zero sì, ma solo a chi avesse terreni): a me pare che l’impianto del diritto di credito di Cesare fosse un sistema per bloccare buona parte della mobilità sociale, e che la soluzione di Tiberio all’illegalità dilagata anche nella società “alta” rimanesse in questa cornice: rientro dei capitali in un ristretto circuito fondiario. Il disastro sociale dovuto all’impossibilità di molti recuperi (il prestito al nulla-tenente, pur giustificato dalle sue capacità di commerciante, non dava possibilità di integrale e immediato rientro) ha “costretto” alla pioggia di sesterzi pubblici con una più intensa concentrazione della proprietà fondiaria. Alla fine Tiberio si è “comprato” una reputazione presso la Roma più “alta” (quella da cui fino a quel momento era costretto a tenersi lontano) riducendo di molto la più giovane “nobiltà” commerciale, i “nuovi ricchi” (eventualmente con un profitto personale in termini di patrimonio immobiliare).

La situazione è paragonabile a quella all’origine dell’ultima crisi? Per certi versi sì, per altri no. Troviamo ancora un avvitamento tra distruzione del credito e svalutazione delle garanzie, fondiarie in entrambi i casi. Il processo giudiziario romano è poi, in qualche modo, assimilabile alla stringenza delle norme di Basilea II (“rientro” obbligato da certe posizioni creditorie in forza di legge allo scattare di alcuni eventi). Ma non c’è lo stesso “grilletto”: se il caso romano suona come una specie di “Tangentopoli” ante litteram (nel caso, “Usuropoleis”), il caso attuale mostra una meccanica più endogena di tipo “austriaco”. Ammesso e non concesso che nel primo caso la creazione di nuova liquidità fosse la cosa opportuna da fare, non ne discende che la soluzione di allora fosse ottimale anche nel mondo attuale. Per dirla tutta, Trichet non completa il passo di Tacito, che in realtà rivela risultati di questo “salvataggio” nel complesso deludenti.

È rilevante in questa comparazione il fatto che la crisi attuale faccia perno su una euforia da “credito facile” a sprezzo del rischio (si vedano i fenomeni Sub-prime e alt-A), mentre mancano elementi per dire lo stesso della crisi del 33; anzi, pretendere un interesse positivo in luogo della mancanza di garanzie (e ancora di più in costanza di queste) indica proprio avversione al rischio e non certo la sua sottovalutazione, oltre che una normale preferenza per la liquidità che solo un’autorità statale può ignorare! Esiste un ulteriore parallelo molto interessante. La vulnerabilità (legale) del sistema romano è dipesa da una risposta individuale alle norme del “tasso zero collateralizzato” che aveva fini di “stabilità sociale”. L’impostazione delle relative norme non è diversa in linea di principio dal caso della “ownership society” americana, dove si è spinto politicamente sul mercato immobiliare sfruttando anche una leva monetaria per inseguire un proposito di natura “sociale”. Per quanto i fini potessero essere (umanamente) lodevoli sia nel I secolo che in questo passaggio tra XX e XXI secolo, è proprio dove si è voluto intervenire “socialmente” che sono scoppiati i problemi maggiori, perché i problemi nascono sempre dal pretendere di far i conti meglio dell’oste.

Nella mia interpretazione la soluzione di Cesare nascondeva in realtà fini molto più “classisti” funzionali al mantenimento di un certo “ordine” sociale, e le mosse di Tiberio era ben più opportuniste e politiche piuttosto che improntate a fini “sociali”. Spero che Trichet, con il suo “non dire”, denunciato anche nell’articolo più sopra richiamato, non volesse richiamare questo doppio-senso. Dietrologie a parte, oggi come nel 33 d.C., le crisi partono da lontano, di solito da forzature in nome del “bene pubblico”, le soluzioni non sono mai pienamente soddisfacenti e hanno sempre una forma inflazionistica, così che sia chi è “in basso” a pagare i vantaggi di chi è “in alto”. Politics as usual, in duemila anni non è cambiato molto.

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1 Response

  1. maurizio

    Non si puo’ paragonare quell’epoca a questa.
    La banca centrale a quei tempi non esisteva, l’Imperatore coniava moneta e le banche commerciali che oggi creano denaro virtuale
    chiamato credito non esistevano.
    Oggi c’e’ troppo credito creato dal nulla che erode quella poca economia
    reale (inflazione).
    Troppa spazzatura finanziaria!!

    Saluti Fraterni.
    Maurizio.

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