2
Nov
2013

Oro: quello che si deve sapere. Parte II — di Gerardo Coco

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gerardo Coco.

Nella prima parte di questo saggio abbiamo spiegato i fondamentali dell’oro. Il primo è la sua utilità marginale che decresce molto più lentamente di quella di qualsiasi altro bene tanto da potersi considerare costante per cui ogni incremento aggiunto a una scorta preesistente ha sempre la stessa utilità e questo è il motivo che rende l’oro la sostanza più tesoreggiabile in assoluto. Il secondo è l’elevato rapporto tra lo stock esistente e nuova produzione, più alto rispetto a qualsiasi altro bene per cui non se se verificano abbondanza o scarsità in grado di influenzarne il valore. La caratteristica oggettiva del valore dell’oro è dunque la sua stabilità, mentre quella del suo prezzo, la volatilità. Ma quest’ultima non è altro che quella riflessa delle valute legali manipolate in cui il metallo è correntemente quotato. L’oggettività del valore dell’oro non contraddice il principio di soggettività del valore di tutte le cose ma afferma soltanto che la soggettività non può prescindere dai fondamentali «oggettivi» del metallo. Senza queste proprietà l’oro non sarebbe diventato il denaro per eccellenza e l’espressione sintetica di tutti i valori. Come espressione di ricchezza reale nella sua forma più permutabile e liquida, costituisce il regolatore della quantità e qualità del credito impedendo gli abusi del debito di cui è il mezzo di estinzione definitiva. Sono stati proprio tali requisiti a caratterizzare il sistema aureo di cui, in questa seconda parte, spieghiamo il funzionamento, il significato storico e le tappe della sua eliminazione dal sistema monetario internazionale.

Il sistema finanziario più solvibile mai esistito
Il sistema a base aurea, il Gold Coin Standard, è durato dalla fine delle guerre napoleoniche nel 1815 all’inizio della prima mondiale, nel 1914. E’ stata l’epoca del massimo sviluppo dell’umanità: l’era della elettricità, del motore a combustione, della rivoluzione dei trasporti delle ferrovie, viaggi transcontinentali e di tutte le altre grandi invenzioni che hanno rivoluzionato l’economia e il commercio multilaterale. Se l’oro avesse avuto natura «contrazionista» come si legge nei manuali di economia, tutto questo progresso non sarebbe stato possibile. Inghilterra e Stati Uniti prosperarono rigogliosamente per due secoli con la sterlina e il dollaro legati all’oro.

Lo sviluppo del gold standard autentico coincide con l’avvento della potenza industriale e commerciale inglese. Precedentemente c’erano stati periodi intermedi in cui circolava anche l’argento. Ma a cominciare dal 1700 ci fu una svolta: l’Inghilterra adottò l’oro come standard unico nella circolazione interna abbandonando definitivamente il metallo bianco, sostituito dalla banconote della Banca di Inghilterra. La liquidità del nuovo sistema, il monometallismo, si basava sulla circolazione di biglietti e depositi convertibili a richiesta in oro e nel metallo stesso. La Banca di Inghilterra ne accumulò sufficienti riserve per dare fiducia alla diffusione dei biglietti emessi e per far fronte stabilmente alle richieste di conversioni. Iniziava così il corso fiduciario del biglietto di banca e si sanciva la triplice composizione della circolazione: banconote, depositi e oro.

Ma questo non è tutto: tramite le compensazioni di giroconto (clearing) si sviluppò il mercato del credito. Infatti la specie più importante dei prestiti, le operazioni attive delle banche, era data dallo sconto su titoli a breve scadenza, «le lettere di cambio» ossia tratte commerciali chiamate anche cambiali reali perché riferite a vendite reali fatte a credito («real bills»). L’ammontare dei prestiti era il valore nominale del titolo dedotto un interesse anticipato per la durata del prestito e la misura di questa deduzione si chiamava tasso di sconto. Le banche scontando cambiali impiegavano la moneta dei depositanti in prestiti rappresentati da titoli prontamente liquidabili e a reddito. Un enorme flusso di cambiali con scadenza trimestrale accompagnava le vendite a credito di semilavorati e beni di prima necessità (alimentari, vestiario, combustibile e medicinali) che venendo girate e accettate come mezzo di pagamento al posto dei biglietti e della moneta trovavano sempre un esito che pagava automaticamente il titolo che stava a fianco dell’operazione commerciale. Le cambiali reali, il capitale a breve, divennero il surrogato qualificato del medio circolante: il venditore traeva una lettera di cambio sul compratore pagabile alla scadenza convenuta e si serviva del titolo di credito per fare acquisti e pagamenti cedendolo ad altri i quali a loro volta se ne servivano allo stesso uso cedendolo a terzi e così di seguito. Tutte le transazioni intermedie, avvenute con la stessa cambiale venivano saldate senza l’intervento dell’oro e, giunta la scadenza, il primo debitore, dopo aver effettuata la vendita, pagava la cambiale all’ultimo detentore e pertanto il credito con la cessione finale della valuta aurea si autorimborsava. Quando il creditore e il debitore si trovavano in due paesi differenti, allora la lettera di cambio che il primo traeva sul secondo, poteva essere ceduta a un terzo per effettuare il pagamento nel paese estero dove risiedeva il debitore, evitando così il doppio invio del denaro e compensando debiti e crediti che ogni paese aveva verso l’estero. Le grandi correnti del commercio mondiale multilaterale si svilupparono in questo modo.

Ma tutto l’edificio del credito poggiava sulla base incrollabile della riserva metallica. I pagamenti e riscossioni in lettere di cambio affluivano alle discount houses che liquidavano debiti e crediti per miliardi di sterline mediante partite di giro, l’oro intervenendo solo per la liquidazione del saldo finale risultante dalle compensazioni. Pertanto non è mai esistita una riserva aurea del 100%, ma è sempre oscillata tra il 25 e 40% del medio circolante (la riserva del 100% avrebbe comportato il finanziamento sia degli impieghi a breve che a lungo termine col solo risparmio, il che è impossibile, come si dimostra nel paragrafo successivo). Ad esempio, secondo la legge bancaria tedesca del 1873, tutte le banche dovevano tenere il 33,3% di riserve in oro e la differenza cambiali commerciali a tre mesi garantite almeno da due firmatari il che le rendeva la posta attiva più liquida e smobilizzabile dei bilanci, seconda solo all’oro come componente di riserva e base di nuove emissioni. Pagate alla scadenza, ritornavano alle banche insieme ai prestiti che, liquidati in via definitiva, non alimentavano espansioni creditizie allo scoperto. Il sistema delle cambiali commerciali risolveva così il problema del credito «elastico» non inflazionario.

L’Inghilterra ebbe pertanto una circolazione perfettamente sana e, senza mai ricadere dopo il 1815 nel regime di corso forzoso, un commercio esteso e relazioni in tutto il mondo: qualunque pagamento o riscossione veniva eseguito con lettere di cambio tratte su Londra e il grado di elasticità e di liquidità di questo sistema monetario non è stato mai più raggiunto. Il commercio cambiario presupponeva il possesso dell’oro in mano ai consumatori: anche se il metallo era custodito nei forzieri delle banche è come se circolasse fisicamente perché, alla fine, gli strumenti di credito in scadenza si risolvevano nel pagamento dell’oro la cui circolazione era ridotta ai minimi termini. Questo regime sarebbe incompatibile con quello odierno perché le real bills, strumenti di credito di liquidità superiore, dovrebbero, alla scadenza, «maturare» invece che in oro, in strumenti di debito di liquidità inferiore, ovvero in valute inconvertibili, aumentando il debito invece di estinguerlo. Il grande sviluppo del 19esimo secolo non sarebbe stato possibile senza la divisione del lavoro tra oro e cambiali commerciali.

La fonte della stabilità
Nel gold standard la banca di emissione poteva aumentare la dotazione monetaria solo acquistando oro oppure scontando tratte commerciali che il mercato (non la banca) per la loro elevata liquidità monetizzava. Se titoli sostitutivi di mezzi di pagamento vengono emessi simultaneamente a merci di valore equivalente e l’erogazione di nuovo credito avviene pari passu col rimborso di quello scaduto, quando il consumatore paga e rimuove entrambi dal mercato, non si hanno effetti inflazionistici. Pertanto quando le banche accettavano gli effetti sulla base della capacità economica del traente e degli avallanti non c’erano problemi che invece sorgevano quando scontavano cambiali di comodo o fittizie solo per prolungare i crediti oltre la scadenza. Il loro continuo rifinanziamento senza collaterale prontamente liquidabile avrebbe causato inflazione e questa immediatamente innescato richieste di conversione in oro per trasferirlo all’estero dove per la minore inflazione aveva maggior potere d’acquisto. Per evitare il salasso delle riserve, la banca di emissione doveva immediatamente elevare il tasso di sconto che contraendo la circolazione, diminuiva i prezzi, aumentava il rendimento delle lettere di cambio e richiamava l’oro in patria.

Questo meccanismo automatico di riequilibrio era tipico del sistema aureo. La manovra del tasso di sconto regolava le correnti auree e insieme i flussi del capitale circolante (semilavorati e beni di consumo) nella forma delle lettere di cambio che la banca scontava e che si autoriborsavano trasformandosi in beni tangibili di consumo. Ma se esse costituivano, nel settore dei beni finali, la fonte del credito a breve che l’oro, per la sua scarsità economica non aveva l’«elasticità» di soddisfare, non potevano rappresentare, allo stesso tempo, la fonte del credito a lungo termine per acquistare il capitale fisso che si ripaga solo dopo anni. Per cui gli investimenti durevoli potevano essere finanziati esclusivamente dal risparmio, cioè dall’oro. Mentre la fonte del credito a breve era regolata dal tasso di sconto, quella a lunga scadenza era regolata dal tasso di interesse.

Ora una delle grandi virtù del gold standard era la stabilizzazione dell’interesse che il metallo manteneva al livello più basso possibile compatibilmente con la produttività del capitale e del lavoro. Poiché esso varia in relazione inversa al corso del titoli del debito pubblico che godevano della massima fiducia perché rappresentavano l’impegno al pagamento delle cedole e del capitale in valuta aurea, i corsi dei titoli e quindi gli interessi rimanevano stabili. Quando i governi riducevano i tassi a livelli irragionevoli per finanziare il debito, penalizzando così il risparmio, inducevano i cittadini a vendere i titoli e a tesoreggiare il metallo. Il conseguente ribasso dei titoli e il rialzo degli interessi provocava l’operazione inversa col ritorno all’equilibrio. Per questo motivo, all’epoca, non esisteva il fenomeno della « volatilità » e quindi neppure la speculazione finanziaria che prospera sugli arbitraggi dei prezzi. La stabilità dell’interesse spiega inoltre quella della produttività e dell’occupazione.

Pur fissati dalla banca, quindi, tasso di sconto di sconto e di interesse erano di fatto governati dal pubblico. Il primo era regolato dalla propensione al consumo che proporzionava il credito a breve; il secondo, dalla propensione al risparmio che proporzionava quello a lunga scadenza. Gli squilibri tra produzione e consumo erano pertanto transitori e prontamente riequilibrati. Infine gli eccessi inflazionistici di medio circolante venivano evitati col ritiro dei depositi da parte dei privati per convertirli in valuta aurea obbligando così le banche a regolare le riserve. Offerta monetaria e debito pubblico non erano determinati dai diktat delle banche e dei governi ma dalle reciproche relazioni naturali che si stabilivano nel mercato.

Il Sabotaggio del sistema
Il sistema aureo internazionale fu sospeso nel 1914 poiché si ricorse all’inflazione per finanziare il primo conflitto mondiale. Alla cessazione delle ostilità, nel 1918, le potenze vincitrici decisero di congelare il commercio multilaterale e permettere solo quello bilaterale per controllare il commercio della Germania e prevenire il suo riarmamento. Il sistema di clearing dell’oro fu soppresso, e dopo che la Germania subì l’iperinflazione, il gold standard fu restaurato nella versione del Gold Exchange Standard. Questo sistema rimasto in vigore da dal 1925 al 1931 prevedeva la circolazione dell’oro solo nel sistema bancario (oro in sbarre) e non tra i civili (oro coniato), utilizzandolo come mezzo di pagamento internazionale per saldare le punte passive delle bilance commerciali. Ma per la prima volta i paesi fissarono d’autorità le parità valutarie snaturando il gold standard il cui principio è che il prezzo dell’oro non venga manovrato. Fissare il prezzo di qualsiasi merce significa infatti provocarne scarsità da una parte o abbondanza da un’altra e questo fenomeno colpì anche l’oro.

Nel 1925 l’Inghilterra bloccando la parità aurea al livello prebellico e sopravalutandola rispetto all’oro ne provocava l’esportazione inducendo scarsità di mezzi di pagamento all’interno. Gli Stati Uniti, viceversa, mantenendo la vecchia parità, con un livello dei prezzi inferiore a quello dell’Inghilterra sottovalutavano il dollaro rispetto all’oro che veniva importato. In generale, i paesi con le valute sopravalutate avevano un deflusso di riserve auree subendo deflazione, mentre quelli con valute sottovalutate ne avevano un afflusso, subendo inflazione. Quando si criticano gli effetti «contrazionisti» dell’oro ci si riferisce appunto alla grave depressione inglese del 1931 che costrinse l’Inghilterra a uscire dal sistema aureo, ma si tace sul fatto che tale era l’effetto della sua versione contraffatta che, se in un luogo determinava scarsità di mezzi di pagamento, altrove ne causava eccessi.

Ma il disinnesco del gold standard autentico ebbe conseguenze ancora peggiori. Fino dall’inizio del 19esimo secolo infatti, l’immenso mercato delle cambiali commerciali era stato, in virtù della sua liquidità, lo strumento di credito per anticipare i redditi ai lavoratori del settore dei beni di consumo la cui vendita reintegrava il fondo salari. Il blocco della loro libera e spontanea circolazione contrasse brutalmente la produzione e distribuzione della massa dei beni in altissima domanda prosciugando il fondo salari e provocando la disoccupazione mondiale. La Grande Contrazione del 1929-1933 seguita dalla Grande Depressione del 1933-1941, lungi dall’essere determinata dal regime aureo, come la propaganda anti oro sostiene, fu determinata proprio dalla sua abolizione. Il fenomeno della disoccupazione strutturale non era mai esistito prima. Se gli Stati Uniti e gli Alleati non le avessero espulse dal sistema, le «real bills» sarebbero state tratte in massa sulla piazza internazionale di New York come su quella di Londra nel secolo precedente e ripristinando la liquidità dei portafogli bancari, avrebbero continuato a finanziare il movimento mondiale delle merci e la domanda di lavoro. Ma Il presidente americano Roosevelt nel 1933 preferì dichiarare il possesso dell’oro illegale e sostituirlo con i suoi concorrenti sleali, i titoli di stato e il sistema bancario a riserva frazionaria inflazionista, inaugurando così il sistema monetario più inefficiente di tutti i tempi che ha privato produttori, consumatori e risparmiatori dell’ultimo strumento di difesa contro le dittature finanziarie e fiscali.

Il gold exchange standard riapparve alla fine della seconda guerra mondiale nella stessa forma mutilata. Ma se non altro costituiva ancora una salvaguardia contro il potere illimitato di monetizzare il debito. Ma proprio per questo, all’inizio degli anni 70, fu rimosso dal sistema monetario internazionale con un semplice tratto di penna. A partire da quell’epoca, iniziava la via crucis delle crisi: ascesa parabolica dei debiti pubblici, instabilità finanziaria permanente, squilibri cumulativi fra i paesi, disoccupazione strutturale. Infine, sistemi fiscali oppressivi per finanziare un sistema congenitamente illiquido, hanno completato l’opera di devastazione economica. Come segno implicito della sfiducia del pubblico verso governi e sistemi bancari è ritornato il fenomeno di massa della tesaurizzazione dell’oro già verificatosi due millenni fa durante il declino dell’Impero romano d’occidente, quando il metallo dopo decenni di manipolazioni monetarie emigrava in oriente. Ma questa è anche la cronaca dei nostri giorni.

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4 Responses

  1. claudio p

    Concordo sul fatto che il gold stanfard, prevenendo un certo abuso di potere da parte dei politici, dei burocrati e dei banchieri che operano fuori dalle logiche di mercato, dava stabilità al sistema. Ma mi chiedo se il free banking teorizzato da alcuni economisti liberali (tra cui Hayek) non assecondi ancora meglio le esigenze mutevoli dei mercati e il tumultuoso sviluppo delle economie emergenti.
    Non mi cimenterei mai nel tentativo di elencare i difetti del gold standard, in un’accanita ricerca di informazioni storiche o teoriche per denigrare l’oro. Ma, per definizione, è la concorrenza il metodo più efficace per mettere a frutto le informazioni a disposizione dell’umanità (e che nessun uomo possiede in toto).
    E’ vero che che la moneta è una merce come la altre? E’ vero che coniare e distribuire moneta (stabile e affidabile) è un servizio come tutti gli altri? Perché questo genere di servizio non può essere affidato alla concorrenza?
    In fondo non si tratterebbe affatto di prescindere dall’oro, anzi, con tutta probabilità resterebbe comunque l’asset più importante.
    Un ultima considerazione: non sarà mica che il difetto del gold standard sia proprio quello di non potersi auto-difendere? Sono spinto a credere che se ci fosse un mercato delle monete maturo, globale, articolato… i politici faticherebbero a resettarlo molto più di quanto hanno faticato a ripudiare il gold standard.

  2. Il problema dello Standard Aureo è che l’oro non può circolare facilmente e quindi si deve depositare in banca e la banca deve emettere note bancarie (banco note) che rappresentino le monete d’oro che ha in cassa.
    L’oro che la banca ha in cassa diventa il bersaglio dell’avidità del banchiere (che invece di conservarlo e porteggerlo lo presta in giro per guadagnare sugli interessi), e diventa bersaglio dell’avidità dei ladri e banditi, il più potente dei quali è lo stato, il governo.
    L’oro in banca presto finisce per essere mosso nella banca centrale e dopo un po’ reso indisponibile ai clienti, non più convertibile.
    Il Gold Standard ha il rischio di controparte, che la controparte non rispetti i suoi impegni e non restituisca l’oro quando e nella quantità concordata.

    Inoltre, le necessità commerciali attuali (da almeno 100 anni) richiedono la possibilità di pagare a distanza per acquistare a distanza merci e servizi. Questo è il motivo per cui siamo costretti ad usare le banche e le valute fiduciarie.

    Fortunatamente qualche anno fa, qualcuno di nome Satoshi Nakamoto ha trovato la soluzione. Un sistema monetario dove l’emissione di nuova moneta è preordinata, limitata e immutabile: Bitcoin.
    Il protocollo permette di cambiare il possesso di unità monetarie in modo rapido, incensurabile e immodificabile.
    Attualmente il costo di modificare una transazione sulla rete bitcoin è di 5-10 milioni di $ nei primi 10 minuti e aumenta di altrettanto ogni 10 minuti; e vale per tutti, che sia un privato o lo stato. Dopo un giorno è di oltre 700-1400 M di $.

    L’oro può essere confiscato contro la volontà del suo proprietario, i bitcoin no. Se si applicano le giuste precauzioni nessuno può mettere le mani sulla password che permette di accedere ai propri bitcoin.

  3. Anonimo

    Il sogno segreto del liberista: il ritorno alle monete d’oro e all’Età Vittoriana, magari all’Ancien Regime..no grazie!!

  4. Francesco_P

    Gentile Anonimo, 4 novembre 2013,
    Il problema è che se non si ritorna ad una forma di gold standard, ovviamente con delle mediazioni per adeguarlo all’attuale realtà, ci si deve basare unicamente sulla solvibilità del debitore. Con l’espansione incontrollata del debito pubblico di questi ultimi anni, persino la solvibilità degli Stati è messa in discussione. Una grave crisi di solvibilità di una sola nazione importante produrrebbe un collasso finanziario mondiale, con conseguenze tragiche sull’economia reale. Altro che crisi dei subrpime!
    Per non tornare all’età Vittoriana, come lei impropriamente afferma, vale la pena di tornare al baratto preistorico dell’età dei primi insediamenti agricoli? No, grazie!

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