2
Lug
2009

La moda dei think tank, coperto incluso

In attesa che D’Alema spieghi perche’ lui c’ha il think-tank col trattino e Veltroni inauguri un think tank senza il trattino, la moltiplicazione dei pensatoi continua ad attirare commenti giornalistici dopo il Campi e il Colombo che segnalavamo ieri. Sul Sole 24 Ore, in particolare, oltre a un pezzo siglato da Rossella Bocciarelli, c’e’ un editorialino nella pagina dei commenti, giustamente salace.
“Nella foga di copiare gli Usa”, scrive il quotidiano confindustriale, “ci si scorda che nella nostra II repubblica le idee contano zero. Disprezzate a destra come a sinistra, tra propaganda, leaderismo e volgare contumelia”.
L’osservazione e’ azzeccatissima, in realta’ non solo rispetto alle “degenerazioni” del dibattito politico: ma proprio rispetto a quella che e’ una caratteristica vantata invece con decisione dagli uomini politici. Ovvero, il pragmatismo. Pragmatismo che significa il rifiuto di qualsiasi dimensione ideale, di qualsiasi visione consapevole e compiuta di quale dev’essere il rapporto fra individuo e Stato, perche’ ogni formula sarebbe “ideologica” e invece nel mondo di oggi, dopo il crollo del muro di Berlino, l’11 settembre e il fallimento della Lehman, bisogna navigare a vista.
I think tank americani sono sempre ancorati a un sistema di idee. Piaccia o non piaccia, il loro mestiere e’ calare nella realta’ concreta e difficile delle policies, una serie di principi che appartengono alle diverse grandi famiglie della storia politica del Novecento. Da noi al contrario quand’e’ che si parla dei vari centri studi? Quando fanno salotto. Quando “attovagliano” tizio caio e sempronio. Pensate al recente seminario milanese di Italianieuropei (di cui nella capitale morale si occupa un’eccellente persona come Carlo Cerami). Qualcuno ha letto sui giornali che si e’ detto, quali tesi sono state espresse? Io ho trovato solo elenchi, ora piu’ ora meno puntuali, delle presenze in sala.
La seconda repubblica e’ caratterizzata da una sorta di pragmatismo bipartisan: destra e sinistra unite dal non avere una visione del mondo, gli uni hanno un capo gli altri un nemico. Questo crea la necessita’ di qualche “zona franca” nella quale le appartenenze si stemperino, e pragmatismo di destra e pragmatismo di sinistra possano pragmaticamente confrontarsi. I “pensatoi” di maggior successo, coerentemente, sembrano essere quelli in cui migliore e’ la composizione dei “tavoli” e piu’ intensa e’ la chiacchiera informale fra interessi e decisori. Servono i think tank, o bastava un buon ristorante?

1
Lug
2009

Dumping o concorrenza?

Questa storia viene dall’Austria e ha dell’incredibile. Il proprietario di tre distributori di benzina nella regione di Salisburgo, tal Markus Friesacher, ha deciso di scatenare una agguerritissima competizione tra i rivenditori, prezzando diesel e benzina poco sopra i 50 centesimi al litro. Provocazione? Gag estiva? Niente affatto. La strategia di mercato del giovane imprenditore austriaco, la cui società (Free Energy Trading Gmbh) è nata nel settembre 2008, è quella di offrire al cliente il prodotto finale al più basso prezzo possibile. Senza orpelli, né personale, come è nell’ottica di tutte le stazioni di benzina discount che tanto successo hanno avuto in Francia e in Gran Bretagna. Risultato? I concorrenti della zona hanno incominciato ad abbassare i prezzi, nel tentativo di ridurre il capannello pazzesco di automobili ammassatesi dinanzi alle stazioni di Friesacher. D’altra parte, però, non tutto è andato liscio. L’autorità garante per la concorrenza e il mercato avrebbe in animo di aprire un’inchiesta, indovinate un po’, per prezzi “troppo” concorrenziali, ovverosia per dumping. D’altra parte, come spesso ricordano autori a dir poco critici nei confronti delle politiche antitrust, ogni politica dei prezzi può essere arbitrariamente sottoposta a controlli. Abbassare i prezzi sotto una determinata soglia significa per l’appunto fare dumping, alzare indiscriminatamente i prezzi significa tentare di maturare extraprofitti ingiustificati, mentre fissare i prezzi su un livello non troppo dissimile da quello dei concorrenti rischia di essere considerata una strategia di cartello… Per intanto, un grosso in bocca al lupo al signor Friesacher…

1
Lug
2009

Oppressione fiscale: l’Italia batte tutti

Aggiornamenti sull’emergenza vera, della competitività italiana: quella fiscale. Quella cioè che prima di tutte si potrebbe risolvere, a patto di decisioni energiche, visto che per il ritardo infrastrutturale e il gap energetico i tempi sono necessariamente lunghi, quand’anche intervenisse un Licurgo. Un nuovo studio comparato fresco fresco di pubblicazione attribuisce all’Italia la poco onorabile palma di Paese in testa alla graduatoria dell’oppressione fiscale mondiale. Il governo farebbe meglio a leggerlo. Ma anche Confindustria.  Perché credere che la caduta di gettito figlia della contrazione economica condanni all’inerzia delle aliquote – vista la fame di nuova spesa pubblica – significa solo contribuire aggiuntivamente alla caduta del PIL. Read More

1
Lug
2009

Think tank. Parole sagge da Campi e Colombo

Oggi Luca Cordero di Montezemolo ha battezzato “Italia Futura”, un “advocacy group” con caratteristiche direi innovative per la scena italiana. Non si tratta di una fondazione di cultura politica come quelle che abbiamo finora conosciuto anche in Italia: quanto piuttosto  di un gruppo di pressione “trasparente” che più che “policy papers” produce, come spiegano sul sito, “campagne”. Il direttore è un intellettuale di grande valore, Andrea Romano. Sicuramente da Andrea Romano possiamo aspettarci idee innovative e strategie di comunicazione intelligenti. Restiamo sintonizzati su questi schermi.
Intanto, un altro gruppo di politici, imprenditori e intellettuali riuniti attorno a Luciano Violante ha dato vita ad “Italia decide”, associazione che vuole riflettere su, e mobilitare energie contro, il “Paese del non fare”. Benvenuti anche a loro.
Certo che però questa inflazione di “think tank” un po’ preoccupa. Non tanto perché è curiosa, in un momento nel quale è difficilissimo raccogliere fondi privati da mettere a disposizione di iniziative non profit (ahimé!). Ma perché sembra essere una valvola di sfogo, una scorciatoia, in un contesto nel quale la scena politica è in buona sostanza “monopolizzata” dal centro-destra e, nel bene e nel male, da Berlusconi. L’approccio “sai che c’è? mi faccio una fondazione!” è sensato, per chi voglia fare politica, e non invece produrre idee?
Non ne sono sicuro, e temo che la moltiplicazione dei “think tank”, alcuni dei quali sostanzialmente diversi dallo “standard” dei “think tank” nel mondo (vuoi per le fonti di finanziamento, vuoi per ciò che producono), possa più che altro generare confusione, creando tanti piccoli indiani anziché realtà finalmente solide, autorevoli, e in grado di fare bene stando sul mercato. Non vorrei che, innanzi al consolidamento forse eccessivo dei partiti nella seconda repubblica, qualcuno avesse nostalgia della “poltiglia” della prima e la pensasse come un modello di successo per il mondo delle fondazioni.
Sul tema, si sono lette alcune cose interessanti, in questi giorni, oltre ai gossip un po’ stucchevoli (solo in Italia se uno apre una fondazione i media se l’immaginano già primo ministro!). Mi piace citare in successione un dubbio di Alessandro Campi (cui egli stesso poi risponde con più ottimismo, ma io mi terrei il dubbio) e un paio di certezze di Furio Colombo.
Campi (che è anche direttore di “Fare Futuro”) sul Riformista di oggi:

cosa si nasconde dietro tanto attivismo, come si deve interpretare un simile accavallarsi di iniziative pre- o meta-politiche, tutte rivolte – almeno sulla carta – alla produzione di ricerche e piani di riforma, alla formazione di una nuova etica pubblica e alla costruzione di un’Italia più decente e meglio funzionante dell’attuale? A pensare male, lo si potrebbe considerare un espediente fumoso e tattico: come la copertura nobile ed edificante, scelta da singoli politici o da singoli protagonisti della scena economica, per compensare il vuoto etico e progettuale nel quale siamo sprofondati da qualche anno e che ha toccato in particolare proprio i nostri gruppi dirigenti. Insomma, non avendo questi ultimi più nulla di sostanziale da dire, non avendo più valori nei quali credere o passioni per le quali combattere, si accontenterebbero di mettersi una medaglietta sul bavero per farsi belli in pubblico. La cultura, nella società dell’immagine, è pur sempre un discreto investimento, soprattutto poi per chi abbia in testa altri e più prosaici obiettivi da perseguire.

Qui invece Furio Colombo:

Vi diranno che “think tank” come il nuovo “Italiadecide” sono spesso il fiore all’occhiello, tecnico, scientifico, politico, della vita pubblica americana. E’ vero. Ma con due avvertimenti:
Il primo. I “think tank” veri sono sempre politicamente orientati (conservatori o liberal, repubblicani o democratici, vicini all’impresa o vicini al sindacato), e lo dicono. Reclutano i cervelli del “think tank” secondo le affinità dichiarate. La credibilità risiede nel livello delle persone e nella qualità del lavoro. Non nel fare finta di niente sulle diverse storie politiche.
Il secondo avvertimento è più drastico, difficile da evitare. Mai i politici attivi in Parlamento, meno che mai nel governo, possono partecipare a un ”think tank”. Hanno strumenti molto pesanti per esprimersi e, almeno come ipotesi, possono sempre rispondere con un dono o con una minaccia al giurista, all’economista, all’imprenditore che si fa notare nelle cordiali discussioni nel gruppo. Dunque niente mix fra studiosi e politici, tra tecnici e titolari del potere.

Ecco, da punti di vista molto diversi, mi sembrano cose di buon senso. La povertà del dibattito politico c’insegna che la cultura politica è importante, essenziale. Ma le culture politiche sono poche, antiche, e non s’improvvisano. Di più: la loro forza produce risultati nel lungo periodo (facendone materia per pochi inguaribili ottimisti). Onestamente, il compito delle fondazioni e dei centri studi è riallacciare i fili di tradizioni che continuano. Non tentare il “minestrone” per raggranellare consensi. La debolezza dei partiti porta molti ad auspicare maggiore incisività da parte dei “think tank”. Ma sono “oggetti” diversi che debbono fare mestieri diversi. Guai a confondere le cose.

1
Lug
2009

Aneddoti della “banca più stupida” di Germania

Frank Schäffler è un parlamentare libertario che milita nelle file dell’FDP. Da tempo denuncia i collateralismi tra politica ed economia entro le mura del gruppo bancario Kfw, istituto che grosso modo potremmo assimilare alla nostra Cassa depositi e prestiti e che funziona un po’ come la banca di fiducia del governo. Per prestiti alle imprese e opere di interesse pubblico, dal 1948 sino ai recenti pacchetti congiunturali del gennaio scorso ci ha sempre pensato questo ente ad erogare il credito necessario. Con una piccola e non trascurabile differenza: rispetto alle altre banche, il Kfw può concedere denaro a pioggia senza essere sottoposto al controllo della Bafin (la Consob tedesca), ma dipendendo solo dal Ministero delle Finanze, ossia dalla politica. Ecco perché chi l’ha guidata, oggi come in passato, era noto ai più per le sue conoscenze nella stanza dei bottoni che non per la sua esperienza nel mondo dell’impresa. Un nome su tutti, quello di Ingrid Matthäus-Maier (Spd), il cui curriculum non le avrebbe mai consentito di diventare presidente di un gruppo bancario privato, ma che le ha invece permesso di diventarlo in quello pubblico per eccellenza. Un sunto dei pasticci da lei combinati nel goffo salvataggio della controllata IKB lo potete leggere in questo bel contributo (in inglese) di Wolfgang Reuter per Der Spiegel. Ma l’apoteosi è stata raggiunta all’indomani del crac di Lehman Brothers, quando il Kfw le versò inavvertitamente la modica cifra di 320 milioni di euro. Di qui l’appellativo affibbiatole dai media di banca più stupida di Germania. Oggi accade però che i responsabili di quel grottesco trasferimento di denaro, licenziati in tronco, abbiano ottenuto dal tribunale del lavoro di Francoforte il diritto al pagamento dello stipendio fino alla scadenza del contratto nel 2013. Il Kfw dovrà perciò sobbarcarsi il peso di un ulteriore milione di euro per retribuire chi commise quell’errore a dir poco stravagante. Ma non eravamo entrati nella “nuova era” della “responsabilità”? Frau Merkel, se è lì, batta un colpo.

1
Lug
2009

Prima consulenza gratuita

L’Antitrust ha aperto nei giorni scorsi una istruttoria su alcuni fatti che hanno riguardato l’Ordine degli avvocati di Brescia. Nello specifico, tale Ordine avrebbe “censurato” l’iniziativa di alcuni avvocati che hanno dato vita all’A.L.T. (Assistenza legale per tutti). Il “reato” compiuto da questi professionisti: essersi comportati in maniera “non conforme a correttezza e decoro”. Come? La condotta contestata consiste

nell’aver aperto in Milano, viale Abruzzi 67, sotto la suggestiva insegna A.L.T. Assistenza legale per tutti, un ufficio direttamente affacciato sulla via pubblica alla cui porta di ingresso è applicata una scritta, a caratteri vistosi, recante l’indicazione ‘Prima Consulenza Gratuita’.

Questo fatto violerebbe il codice deontologico dell’Ordine. Va detto che a seguito del decreto Bersani alcune norme riguardanti gli avvocati sono mutate. Innazitutto, sono state abrogate tutte le limitazioni riguardanti i divieti di pubblicità (anche riferiti alle caratteristiche del servizio offerto). Read More

1
Lug
2009

Aiutati che il cielo d’aiuta, e il Papa temo di no

John Triggs ricorda che centocinquant’anni fa (oddio, oggi ormai quasi centocinquant’anni e una settimana fa!) veniva pubblicato “Self help” di Samuel Smiles. per leggerlo on line andate qui. E’ un libro curioso, tradotto in italiano come “Aiutati che il ciel t’aiuta”. Il titolo italiano è fedele al messaggio.
Triggs nota che

while Darwin’s work caused controversy it was Smiles’s book, simply titled Self Help, that really got the Victorians excited.
Because although Darwin was revealing the secrets of life from its very beginnings, Smiles promised to make his readers rich, successful and famous.
Today when we think of self help we don’t just think of one book, we think of a whole industry.

Il paragone con l’Origine delle specie è francamente un po’ esagerato, ma Triggs ha senz’altro ragione quando nota come il messaggio di autorealizzazione, l’invito a pensarsi protagonisti della propria vita, l’elogio della frugalità e del duro lavoro, erano perfettamente intonati all’età vittoriana. E così pure congeniali a quella “vittoriana fuori tempo massimo” che è Margaret Thatcher. Nel cui operato di primo ministro, e prima ancora nella cui “predicazione” pubblica, c’è in primis questo atteggiamento, più che quell’enfasi consumista sul qui ed ora con la quale i nemici del libero mercato hanno ridicolizzato l’ “edonismo reaganiano”.
In tempo di crisi, c’è da chiedersi se il “self help”, la cui variante contemporanea è forse riconducibile all’ “invito” del Ministro Sacconi ai giovani ad “andare a lavorare” (sottinteso: svolgendo anche mansioni umili e diverse da quelle in vista delle quali si è compiuto il proprio corso di studi), non sia destinato a tornare di moda. Non solo come strategia per superare il peggio ma come filosofia di vita. L’enfasi sul sacrificio come strumento di miglioramento di sé, in un mondo laddove è sempre più evidente che senza fatica e senza sacrifici nulla si può.
E’ un po’ lo spirito che in Italia aveva Luigi Sturzo:

Sarebbe forse possibile all’uomo ottenere nulla senza sacrificio?E non è la vita tutta una milizia, come la chiama Giobbe? Gli studi non sono forse una elaborazione dello spirito per la vita? E che cosa ci aspettiamo nel mondo? (…) è vero anche che Cristo non venne al mondo a darci una pace nel male; ma con la lotta e la vittoria sul mondo…

ps: un vaticinio amaro. Vedrete che don Luigi Sturzo sembrerà meno lontano dal Gordon Gekko di Wall Street, che dalla “enciclica sociale” che aspettiamo di leggere a giorni.

30
Giu
2009

Che pessima Francia

Due notizie a conferma che lo statalismo fa sempre danno. Leggete qui la minaccia dell’ex monopolista telefonico alla decisione dell’Arcep, l’Agcom d’Oltralpe, di consentire anche ai suoi concorrenti di stendere fibra ottica per offrire banda larga alle abitazioni dei francesi. Semplicemente e brutalmente:  France Telecom fa sapere che quand’è così lei rinuncia ai suoi 4 miliardi di euro di investimenti, e che il governo si aggiusti, se intende lasciar spazio alla concorrenza. Gli ex monopolisti hanno vizi eguali. vedremo quale sarà la risposta a Parigi, da noi per il momento di banda larga, semplicemente, dopo qualche confronto sul rapporto Caio non si parla più.

Seconda notizia.   Leggete qui. Il premier Fillon non ha il fegato di bocciare apertamente l’idea bonapartista lanciata dal presidente Sarkozy, convocando i due rami del Parlamento a Versailles, e cioè il prestito nazionale obbligatorio anti-crisi che fa tanto “sostegno patriottico” e insieme deve però pagare tassi più elevati di quelli di mercato, per non essere un esproprio o una tassa aggiuntiva. Fillon si limita a dire che non sarà “obbligatorio”, appunto.  Bene: in quel caso i tassi offerti dovrebbero essere ancora maggiori, di conseguenza. E’ l’idea in sé a essere sbagliata, stampella di echi bellici quando l’unica guerra santa da fare è all’eccesso di spesa pubblica e tassazione.

30
Giu
2009

Inflazione, attenti a leggere bene

Il dato dell’inflazione rilasciato oggi dall’Istat obbliga a una lettura distinta, rispetto a quello eurozona rilasciato da BCE. Apparentemente, lo 0,5% del nostro mese di giugno sembrerebbe più “sano”, dell’inflazione negativa al -0,1% rilevata nell’euroarea. Al contrario, è un segnale di allarme aggiuntivo.  Il segno negativo dell’inflazione europea è un bias nei confronti della BCE. Basta leggere il comunicato rilasciato oggi da Francoforte per assistere a una nuova discesa degli impieghi finanziari a famiglie e imprese, e il dramma è che per la prima volta la componente famiglie e credito al consumo assume un segno negativo, rispetto all’anno precedente. L’andamento mese dopo mese dice che in Europa il rischio-deflazione è più che mai aperto. tradotto: i 325 punti base tagliati dalla Bce ai tassi d’interesse, e interventi come il rilascio straordinario di liquidità per 442 miliardi di euro al sistema bancario la settimana scorsa, non si rivelano sinora affatto in grado di stoppare la caduta in basso dei prezzi degli asset. La BCE dovrebbe forse reagire con qualche decisione imprevista, giovedì prossimo, invece di tenere tutto fermo come i mercati attualmente scommettono.

Quanto al dato italiano, non è affatto un segno di minor malattia. Anzi. Una lettura del dato scomposta per diverse componenti attesta che anche quando l’euroarea va a inflazione negativa, noi continuiamo a incorporare variazioni di prezzo che testimoniano la maggior improduttività delle nostre catene distributive ed energetiche, la nostra maggior vischiosità nel meccanismo intertemporale di traduzione dei prezzi dalla produzione al consumo. Tradotto: l’euroarea dovrebbe tagliare Stato e detassare, oltre che “spingere” con politiche monetarie più anticicliche; noi dovremmo, in più e oltre tutto questo, liberalizzare.