28
Giu
2012

Nella partita per l’NGN la grande esclusa è la concorrenza

L’avevamo sperato, persino noi di Chicago Blog, che il sostegno della Cassa Depositi e Prestiti a Metroweb e al suo piano di sviluppo della rete in fibra potessero finalmente innescare gli investimenti di cui la banda larga ha bisogno e che da troppo tempo si fanno attendere. Certo, destava qualche preoccupazione l’ipotesi che un organismo sostanzialmente pubblico assumesse una posizione tanto definita nel mercato: ma ciò appariva come un problema superabile al cospetto del perdurante immobilismo del settore. Senonché l’evoluzione del dibattito ha presto dimostrato che le crisi di coscienza dei liberisti telematici potevano essere archiviate.

Prima è stato il turno di Carlsten Schloter, che in un’intervista al Corriere Economia ha mostrato per il piano di Telecom Italia un favore che non ci si sarebbe attesi dal presidente di Fastweb, nonché azionista di Metroweb. Poi ha gettato acqua sul fuoco Franco Bassanini, presidente di CDP, aprendo all’impegno della Cassa anche nel progetto dell’ex monopolista. Quindi l’abboccamento è proseguito con le dichiarazioni di Marco Patuano e Franco Bernabè, che in una magistrale interpretazione del paradigma “poliziotto buono, poliziotto cattivo” hanno mostrato la disponibilità dell’incumbent a scendere a patti, ma alle sue condizioni. Infine è giunto il suggello del ministro Passera, che ha auspicato la massima sinergia tra gli investimenti. La querelle si è rivelata, insomma, per quello che è: l’ennesimo episodio di quella grande commedia dell’arte che sono le telecomunicazioni italiane.

La realizzazione delle reti di nuova generazione è una priorità del paese, che vi è peraltro vincolato dagli obiettivi dell’Agenda digitale europea. Ma sarebbe folle pensare che valga tutto. Il modo in cui l’obiettivo verrà perseguito non è indifferente: e la grande assente nel dibattito di questi giorni è purtroppo la concorrenza, oscurata dall’invito diffuso – e di apparente buon senso – a evitare duplicazioni degli investimenti – come se l’aritmetica non insegnasse che il doppio di zero è pur sempre zero.

L’Italia ha già scelto in passato – pur in modo obliquo – la rete unica: con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. L’ex monopolista mantiene una centralità che non si riscontra negli altri paesi europei, dove la competizione non s’incarna unicamente nell’accesso disaggregato, ma corre su piattaforme alternative. Spiace anche per questo osservare che la prospettiva di centralizzare le scelte sulla banda larga raccoglie consensi unanimi, sebbene le contrattazioni proseguano prevalentemente sottotraccia. Telecom conta di risolvere nel processo il rebus del rame, e spera di garantirsi a tempo debito il controllo anche della fibra. Gli operatori alternativi riscoprono che investire in prima persona è gravoso – e rischioso. La politica assapora la possibilità di mettere le mani sulla governance di un’infrastruttura cruciale. E tutti sperano di poter piegare a proprio favore un clima di perenne ostilità reciproca.

Con il risultato che, in questa gazzarra, nessuno riscontra condizioni minime di prevedibilità del contesto tali da giustificare i considerevoli investimenti richiesti: cosicché appare chiaro che il problema non è certo quello di evitare che si investa troppo, o in modo disordinato, ma quello di far sì che qualcosa si muova. Le altre questioni – si pensi alla condivisione delle infrastrutture – coinvolgono, se correttamente inquadrate, mere decisioni imprenditoriali, la cui configurazione dipende dall’andamento del settore e dalle caratteristiche dei diversi mercati locali.

L’esperienza della rete in rame c’insegna che certe posizioni di privilegio sono tuttora pressoché inattaccabili, a distanza di quindici anni dall’avvio della liberalizzazione delle telecomunicazioni. La transizione alla fibra ottica rappresenta un’occasione preziosa per rettificare le logiche che tanti danni hanno arrecato allo sviluppo del mercato. Riprodurre quegli stessi meccanismi ci condannerebbe, nel migliore dei casi, a dipendere da una regolamentazione intrusiva; e nel peggiore, qualora questa risultasse insufficiente, ci condurrebbe a un nuovo monopolio. Il tema è abbastanza determinante da richiedere qualche ripensamento.

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8 Responses

  1. Mike

    Le criticità illustrate nell’articolo (molto interessante) sono assolutamente fondate. Del resto, siamo in Italia e buon sangue non mente.

  2. claudio p

    uno degli imprenditori più audaci e innovativi al mondo in fatto di reti di telecomunicazioni è italiano, si chiama silvio scaglia. L’inventore di fastweb.
    l’italia lo ha premiato per il suo impegno e le sue capacità sbattendolo in carcere senza processo con l’accusa di evasione fiscale.. a perenne monito di chiunque voglia seguire i suoi passi.

  3. Andrea E.

    Una nuova rete di servizi, se vogliamo sia costruita in tutto il territorio italiano e non solo nelle grandi città, non può essere fatta in concorrenza, semplicemente perché non è economicamente conveniente costruirla.
    Fastweb ha posato la fibra solo dove era fortemente conveniente farlo, poi si è fermata (e non per mancanza di concorrenza).
    Le reti devono essere pubbliche ed affidate ad onlus, nessuno deve guadagnarci. Ricordiamo infine che proprio l’ex monopolista ai tempi della SIP, prima che si aprisse questa falsa concorrenza, aveva già iniziato a posare la fibra in modo massiccio (progetto Socrate), naufragato per le politiche scellerate fatte dall’Italia nelle telecomunicazioni. Per assurdo, se fosse rimasto il monopolio nelle TLC, ora avremmo già da anni la fibra in casa tutti quanti.
    La rete Telecom è rimasta l’unica solo perchè nessuno ha voluto investire, quindi rischiare, nulla. Non c’è nessuna legge che ha bloccato Fasweb, anzi, si è fermata da sola. Basta vedere nel mobile, regolato dalle stesse norme, li la convenienza economica c’era e Vodafone si è costruito la propria rete capillare senza contributi anzi pagando fior di miliardi (di Euro…) allo stato per le frequenze.

    Non è quindi questione di liberalizzare, è questione di rientro degli investimenti. L’NGN varrà per i prossimi 50 anni, i costi di costruzione non si possono ammortizzare in 5/10 anni, quindi nessun privato mai investirà in questa rete.

  4. claudio p

    @Andrea E.
    concordo. esistono investimenti e infrastrutture che non reggono economicamente, se non in periodi sconvenientemente lunghi. ma il fatto che in Italia gli investimenti sulla rete non siano ancora partiti non dimostra niente: l’incertezza delle regole e il peso della burocrazia impediscono una valutazione oggettiva.
    aggiungo una cosa: se costruisco uno chalet su un promontorio panoramico perso tra le valli dolomitiche per passarci le vacanze estive, non posso pretendere che sia connesso alla fibra ottica a spese del contribuente. il caso è estremo ma abitare in città ha i suoi pregi e i sui difetti (per altro ben ponderati dal mercato immobiliare), la prossimità agli snodi di comunicazione (fisici e telematici) è uno dei pregi.

  5. marcomaria

    Egr.Sig.Trovato ma perche’ dobbiamo stupirci, il Suo (come il nostro) e’ uno sfogo inutile perche’ non ha nessuna possibilita’ di evolversi a breve e in positivo ,pur con tutte le ragioni del caso. Dato che Lei ha una certa intelligenza innata, come purtroppi pochi Italiani ,gli altri sono distolti giornalmente dall’effimero e incapaci di pianificarsi la vita,Lei sa’ benissimo che le principali compagnie presenti nel nostro Paese, pseudoprivatizzate, sono a maggioranza statale. Di cosa ci illudiamo se gli azionisti privati alla fine non hanno nessuna possibilita’ decisionale in quanto artificiosamente in minoranza ? Siamo in una situazione di ex paese Socialista tipo ex Jugoslavia e la colpa e’ sempre dei cittadini (me compreso ex illuso Lega -p.s credevo molto nel Prof.Miglio, a sua volta”segato”-e a volte da Berluscaillusionidea) che ,complimenti ai media, sono disinformati e/o volutamente indifferenti per convenienza percio’ subiscono la situazione attuale di crisi.Nella mia profonda ignoranza non ho ancora notato un serio esempio di privatizzazione concorrenziale (forse discount alimentari e grande distribuzione) e chiedo seriamente a chiunque con dati reali e incontestabili se cio’ esiste in questa Paese…….faro un serio mea culpa!!! Distinti saluti.Marco M.

  6. Giuseppe C

    L’esempio citato prima, dove si paragonano l’acquisto delle licenze di Vodafone con gli investimenti di Fastweb sulla Fibra Ottica hanno delle specifiche non paragonabili, ovvero in un mercato in cui Vodafone ha milioni di utenti attivi, non tenere il passo acquistando le licenze significa perdere il passo, per Fastweb investire sulla Fibra Ottica significa fare un investimento sperando che gli utenti si abbonino, cosa che comunque sta continuando a fare, anche se con un passo meno spedito, inoltre sta investendo molto nel raggiungimento delle centrali telefoniche pubbliche con la Fibra Ottica, in modo da non dipendere totalmente da Telecom per il rame, tranne che per l’ultimo miglio.
    Inoltre per i provider scavare e portare Fibra Ottica, significa avere a che fare con la PA che per rilasciare permessi arriva ad impiegare anche 5-6 mesi, e spesso parlo per esperienza diretta i contratti vengono annullati dalla committente per superamento dei termini.

  7. Franco

    Ma la fibra ottica interrata del progetto SOCRATE DI Telecom che arriva fino in casa mia a Bologna è persa ? Non è possibile riutilizzarla ?.
    Ci dobbiamo sorbire anche questo spreco ?
    Franco

  8. roberto manzoni

    Una storia lunga 7000 Km di cavi Mission
    in fibra ottica di Metroweb SpA

    Metroweb è proprietaria della più grande rete di fibre ottiche di Milano
    e della Lombardia, la più estesa rete metropolitana in fibra ottica in
    Europa con oltre 7000 km di cavi.
    L’azienda è nata nel 1997, quando Citytel è stata costituita da AEM per
    sviluppare e gestire reti e servizi di telecomunicazioni.
    Nel 1998 Citytel ha ottenuto la licenza dal Ministero delle
    Comunicazioni e ha siglato un accordo col comune di Milano per
    costruire nuove tratte della rete.
    Nel 1999 AEM ha siglato un accordo con il gruppo e.Biscom per
    sviluppare servizi a larga banda per le telecomunicazioni. Citytel è
    diventata Metroweb, focalizzando le sue attività sulla fornitura di una
    rete di fibre ottiche “spente” (dark fiber). AEM ha trasferito a Metroweb
    le proprie reti e contestualmente e.Biscom ha acquisito il 33% di
    Metroweb con un aumento di capitale.
    Nel 2003 AEM ha rilevato da Fastweb (già gruppo e.Biscom) il 33% di
    Metroweb, diventandone così proprietaria al 100%.
    Nel 2006 il fondo d’investimento Stirling Square Capital Partners e
    alcuni membri del gruppo dirigente dell’azienda hanno rilevato il 76,5%
    di Metroweb da AEM, oggi “A2A”.

    Il 30 Giugno 2011 il Fondo F2i – Fondi italiani per le infrastrutture SGR e IMI hanno rilevato la maggioranza delle quote di Metroweb coinvolgendo il management della società nell’investimento e nella prosecuzione del progetto.

    Tra le pieghe della storia societaria risalta la lungimiranza di Albertini la stupidità della Moratti e con il” l’avevi di che svendum ” di Pagliarini . Privatizzazioni / dismissioni all’itagliana

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