7
Giu
2012

Che pena l’Agcom partitica. Banda larga: come ne esce Bernabè?

Le nomine all’Agcom e Privacy fatte dai partiti ieri in Parlamento sono di vecchio, vecchissimo stampo. Purtroppo Agcom è l’Autorità il cui criterio di nomina è il più lottizzatorio, fatto apposta pr “fotografare” gli equilibri parlamentari., non certo per scegliere professionalità e competenze. Perché Agcom per la politica italiana significa da sempre “questione televisiva”, RAI versus Mediaset e vicevers. E,d è ovvio che per tenere le trincee contrapposte occorrono servi fedeli, non esperti del settore. Che schifo. E che pena che i partiti neanche adesso, capiscano che è ora di cambiare se non vogliono essere travolti. E’ anche un peccato per un’altra ragione. In reltà,  non è lo scontro televisivo la questione più delicata che toccherà assai presto sbrogliare all’Agcom. Sulla cosiddetta “banda larga”, nelle ultime settimane si è infatti improvvisamente messo in moto ciò che per anni era rimasto bloccato. L’intuizione che avemmo nello scorso ottobre, a Capri con François De Brabant e gli amici di Between, si è rivelata fondata, si è improvvisamente animata e ha preso a sprigionare conseguenze. L’intuizione era quella di tentare di uscire dall’impasse pluriennale tra Telecom Italia e gli OLO, con la prima protesa alla difesa della propria rete in rame ADSL come ultimo passaggio comunque obbligato tra armadietto e cliente finale, e OLO fermi nell’investimento su rete fissa dopo lo stop di Fastweb un decennio fa. Il tutto animando continui scontri regolatori sulle tariffe di unbundling che in Italia sono cresciute negli anni – unico caso tra i Paesi avanzati – prestandosi all’accusa di un’Agcom captive dell’incumbent. L’asta con oltre 4 miliardi d’incasso per le frequenze su cui sviluppare LTE per la banda larga mobile ha distratto l’attenzione, nello scorso autunno. Poi è subentrata la tensione politica per il freezing deciso da Passera e dal governo sulle frequenze gratis a Mediaset per i Multiplex del digitale terrestre. Infine l’attesa per la decisione di TI di separare e avviare la vendita di TIMedia e de la7.

Ma se ai media generalisti interessa innanzitutto lo scontro televisivo, per i suoi evidenti addentellati politici pro-contro-Berlusconi, dobbiamo sperare che non sia lo stesso alla nuova Agcom. Perché lo sblocco della banda larga su rete fissa, e una credibile serie di scelte sull’architettura regolatoria e tariffaria per avviarla, costituiscono a nostro giudizio la vera priorità per lo sviluppo dell’ICT nel nostro Paese, e per colmare quel gap di produttività complessivo che viene dall’avere centinaia di migliaia di imprese prive di un’ampiezza di banda tale da consentire davvero loro di utilizzare la rivoluzione digitale in ogni ambito delle proprie filiere, e strategie commerciali e di fornitura.

L’intuizione caprese fu quella di identificare in F2i guidata da Gamberale, e nel suo intervento in Metroweb da Milano aperta potenzialmente a tutti i players di settore con logica cooperativa, il player-ombrello che avrebbe potuto fungere da acceleratore della banda larga su fibra. Un acceleratore dotato insieme della caratteristica di rappresentare un ombrello-compensatore “terzo”, rispetto alla classica contrapposizione tra l’incumbent Telecom e i suoi concorrenti Vodafone, Wind e Fastweb.

Di fatto, sin qui l’intuizione si è rivelata quasi sorprendentemente giusta, dopo anni di barricate contrapposte. Dopo qualche mese di surplace Cassa Depositi e Prestiti – ergo il governo controllante e le fondazioni bancarie che ne costituiscono l’anima privata al 30% – ha scelto con forza il progetto delle reti internet superveloci di Metroweb, disposta a scommettere almeno mezzo miliardo dei 4,5 che Gamberale punta sulla cablatura di altre 29 grandi e medie città italiane, oltra al compimento di quella milanese conferita da Fastweb. Nel frattempo Vodafone e Wind hanno già raggiunto un accordo commerciale per piena la migrazione dei propri clienti “fissi” sulla rete attuale e futura di F2i tlc, in tutte e 30 le città. Con Teletu e Infostrada che già tra un paio d’anni potrebbe richiedere l’unbundling non più al loro fornitore storico e “naturale” – Telecom Italia – ma a Metroweb.
Telecom Italia ha reagito duramente. L’avvisaglia era già venuta con lo scontro sugli emendamenti parlamentari che TI ha avversato – perdendo – su questioni attinenti, nel decreto legge liberalizzazioni. Ma ora che Cdp ha formalizzato la sua scelta, per TI si tratta di combattere non più gli OLO, ma contro il governo.

Bernabè ha forti supporter. Sia a Repubblica, dove Giovanni Pons ha scritto che il governo improvvisamente con Cdp sulla banda larga vuol fare un favore a Mediaset, confondendo lucciole con lanterne e lanciando la classica accusa da riflesso condizionato debenedettiano. Sia sul Corriere, dove assai singolarmente proprio Massimo Mucchetti, che per mesi e mesi ha invocato la mano pubblica sulla banda larga, “alla giapponese”, ora che la cosa potrebbe concretizzarsi ha invece offerto il megafono a Bernabè, che ha sparato a zero contro Cdp in F21 tlc.

Cerchiamo di capire nel merito che cosa pensarne, dal nostro punto di vista che non è né statalista rinazionalizzatore di ritorno, né viziato dal molto mediaticamente esteso riflesso condizionato storico verso l’incumbent, il peso del suo debito, e le esigenze dei suoi azionisti banco-assicurativi in Telco (a proprie volta alle prese con vere e e proprie esplosioni di mancata tenuta nel proprio perimetro, vedi Mediobanca-Generali).

Il nocciolo duro del no frontale di TI all’offerta Metroweb-F21 è l’obiezione che l’intervento di CdP configurerebbe aiuti di Stato, e che la Commissione europea metterebbe il veto perché l’assetto regolatorio comunitario consente gli interventi pubblici nelle aree a insuccesso di mercato – in cui stendere fibra non conviene ai privati per l’attuale bassa domanda, che allontana di decenni il rientro dell’investimento – o in quelle “grigie”, ma al solo patto che l’investimento avvenga alle medesime condizioni di costo del capitale che gravano sul privato.

Fosse così sul serio, per noi mercatisti l’obiezione di Bernabè sarebbe giusta, da condividere, insuperabile.

Ma non è così. Per criteri e norme condivise a livello europeo, CDP non rientro nel perimetro della spesa, del deficit e del debito pubblico: tanto è vero che la sorella tedesca KFW e la francese Caisse des Depot nella crisi sono intervenute senza batter ciglio con pacchi di miliardi non solo a garanzia, ma anche direttamente nel capitale delle piccole e medie imprese franco-tedesche. In più, a differenza delle sue sorelle continentali, la CdP ha nel 30% di fondazioni bancarie presenti nel suo capitale – e decisive per la scelta dei manager e delle linee operative della Cassa – il saldo presidio privato che gli statalisti ci hanno sempre vantato, quando eravamo noi a obiettare che magari bisognava farne un uso diverso del “parcheggio commutato” di quote Eni ieri, o Snam RG oggi.

Dunque, l’argomento Bernabè su questo non regge: o meglio, regge solo se s’intende che ciò che fino a ieri si diceva a favore di CdP, or si dice contro perché Cdp non regge il gioco a TI. O meglio ancora, serve a richiamare all’ordine alcuni azionisti bancari come Intesa, che si trova a essere in Telco esposta alle sue pesanti minusvalenze, e contemporaneamente azionista di F2i (nonché di Swisscom Italia idest Fastweb, e di A2a anch’essi in Metroweb).

Il direttore generale della Cassa depositi e prestiti, Giovanni Gorno Tempini, ha invitato TI a considerare l’iniziativa in chiave «complementare e sinergica», non di scontro. Ieri, il presidente di Metroweb e di Cdp, Franco Bassanini, è tornato a ribadire che l’aproccio di Cdp non è alternativo ma complementare. Di fatto, però, il piano presentato da Telecom – prima lotto delle 20 città cablate con 600 milioni fino all’armadietto da cui resta poi il rame sul cliente finale, con tecnologia vectoring e dunque unbundling obbligato su propria rete per i concorrenti che non avessero rete propria, e con un grave e irrisolto problema di ampiezza di banda in caso di assieparsi della domanda – è oggettivamente incompatibile con la fibra end to end perseguita in Metroweb da F2i e dagli OLO. Che poi il piano TI si estenda davvero successivamente alle cabine di 100 città con un quarto della popolazione italiana, e poi a 200 entro il 2020, alla luce del suo debito e dell’andamento di un titolo che in borsa è piombato verso quota 65 cents, resta molto ma molto difficile crederlo.

La differenza di fondo è che per difendere il rame e il collo di bottiglia sui concorrenti TI, quand’anche avesse i denari visto che a investimenti oggi parte assai più bassa di Metroweb, offre 30-50 mega che si abbassano nell’upload assiepato. Certo, contenendo i costi dell’investimento per cliente a circa 200 euro o poco più. Mentre i 100 mega “veri” offerti da Metroweb, passando la fibra subito fino al cliente, non dilazionano alle calende greche il balzo in avanti di ampiezza trasmissiva, e per questo moltiplicano per tre l’investimento-cliente, diluendo la sua redditività nel tempo. Ma la scelta avrà sempre una caratteristica di questo tipo, se si punta a disintermediare il rame. E se non si crede, come è giusto non credere, che alla banda larga bastino il rame vectoring nel fisso, più il mobile LTE di quarta generazione.

In base a queste considerazioni, ci sarebbe da augurarsi dunque che F2i e Metroweb vadano avanti per la loro strada. Ma dando per scontata, a quel punto, una conflittualità elevata e temibile da parte di TI, nella nuova Agcom che bisognerà vedere e giudicare quanto sensibile alle ragioni dell’incumbent, come a livello comunitario, dove TI vanta ottimi rapporti e non infrequenti energici sostegni da parte della commissaria Neelie Kroes.

A meno che….. e qui parte un retropensiero A meno che la battaglia attuale e i toni surriscaldati non celino qualcos’altro.

Solo tre mesi fa, Bernabè e TI avevano essi stessi allungato alla stampa come “voce dal sen fuggita” un progetto di piena separazione della propria rete fissa, perché il regolatore fissasse con formula RAB come per elettricità e gas una volta per tutte condizioni per l’unbundling non conflittuali e investimenti compatibili con un adeguato rendimento del capitale. Oppure anche per cederne una parte al pubblico, pur mantenendone il 51% al fine di non far franare la parte patrimoniale del bilancio di TI, ma al contempo cin un mega assegno capace di abbattere consistentemente il debito dell’incumbent, e consentire a Bernabè di chiudere con successo la sua partita nell’azienda e agli azionisti di Telco di pensare a un futuro meno gramo. Se questa è la vera ipotesi che resta sullo sfondo, allora la battaglia attuale serve solo a far abbassare a TI la pretesa di prezzo da farsi pagare.

Vedremo che cosa ci riserva il futuro. In ogni caso, un bel tappo è comunque saltato, e sarà difficile per tutti rimetterlo al suo posto.

16 Responses

  1. Simone Nava

    Non entro nel merito (sempre ineccepibile) delle argomentazioni di Giannino solo, la prossima volta, fate passare l’articolo attraverso il filtro di:
    – un correttore automatico (basterebbe il copincolla su un documento Word);
    – la revisione si un qualunque studente/stagista (che sarebbe grato anche solo di vedere in anteprima un qualche scritto del “vate”);
    – altro a scelta.
    La forma, in fondo, è anche buona sostanza.
    Grazie
    Simone

  2. Giovanni Russo

    L’ultima scelta dei nostri parlamentari ha colmato ormai il piccolo spazio che ancora resisteva in un bicchiere colmo. Indignato, non è sufficiente, eleviamo questa parola all’ennesima potenza e avremo una pallida idea dell’indignazione che molti italiani stanno vivendo. Ci sentiamo impotenti e nello stesso tempo vorremmo far sentire la nostra voce urlata, alta, potente per denunciare che ormai non possiamo più sopportare l’ignavia, la poca professionalità, l’irridente superficialità dei nostri “cosiddetti” politici. Non fanno nulla, si avvitano sulle loro stesse parole, nelle trasmissioni a cui partecipano singolarmente ci dicono che gli italiani hanno ragione che le tasse sono troppo alte, che bisogna fare tagli, tagli, tagli e poi raggruppati nei loro scranni in parlamento dimenticano tutto e continuano a riproporre gli stessi schemi e la stessa immobilità degli ultimi anni. Anche il governo non si capisce cosa voglia fare, perché non ci dice con chiarezza come pensa di uscire da questa situazione infernale? Aumentare le tasse, i costi è facile ma così si deprime soltanto una economia ormai spenta. Quando iniziamo a ridurre i costi realmente, quando si eliminano enti, poltrone, macchine, sprechi? Come pensano di procedere? Quando inizieranno? Ce lo dicano finalmente e soprattutto agiscano.

  3. Guglielmo Boghero

    Ma serve l’Agcom?.. se venisse a mancare.. assieme a tante altre autority… cosa cambierebbe.. per me nulla.. Io delegherei il controllo sulle comunicazioni alla polizia postale con il ruolo di raccolta denunce e di indagine. Per poi approdare o a sanzioni civili o a denunce penali e relativi processi.

    Tagliare… Tagliare… Tagliare… Tagliare… Tagliare… Tagliare…

    Caro Giannino.. ho capito che non vuole scendere in politica.. ma possiamo salire in tanti.. magari partendo con una proposta di legge popolare. Coraggio abbiamo bisogno di gente come Voi che dia il LA a qualche cosa che alla fine è l’ultima speranza… Cosa dovremmo fare la prossima volta.. Votare Grillo!!!!!!!

  4. Stefano

    Basta autority.

    Se devono fare scelte nel loro campo di azione si tratta di scelte politiche e non tecniche e devono essere fatte dai governi e, se necessario, ratificate dal parlamento.

    Se invece devono aggredire mancati adeguamenti a norme si tratta di attività giurisdizionale, compito della magistratura.

    Basta entità terze,

  5. Mike

    Agicom, ovvero la solita triste storia di spartizione partitocratica. Provo sempre più disgusto per i politici, “vil razza dannata”. Spero almeno che Oscar Giannino abbia ragione sul “tappo saltato”. La banda larga serve come l’aria all’economia di questo nostro disgraziato Paese. Sempre che nel frattempo essa riesca a sopravvivere alle tasse del professor Monti. Un genio assoluto, non c’è che dire.

  6. adriano q

    Questioni interessanti ma a mio avviso marginali rispetto ad altre,dall’osservatorio del consumo.Assodato che concorrenza è una parola vuota se si mantengono possibili accordi di cartello e non si separano le gestioni tecniche delle componenti del servizio (rete e centrali),rimango in attesa di semplificazioni nella opzione di cambio.La possibilità di scelta fra gli operatori non deve essere affidata ad opinabili offerte fumose e a tempo ma alla possibilità di comportamento da supermercato.Entro senza obblighi o vincoli e scelgo alla fine l’offerta più conveniente.Con un bip,senza cavilli contrattuali o clausole vessatorie.Oggi qui,domani là,digitando un prefisso.La banda larga o stretta è importante ma non decisiva se l’altra banda rimane la stessa.

  7. Ricardo De Stefano

    Sempre e soltanto poltrone. La situazione non cambia.
    La banda larga è fondamentale per un paese, la rete dovrebbe essere pubblica, e gestita da professionisti. Ma nel nostro caso probabilmente sarebbe gestita da un chirurgo iscritto ad un partito.
    Pertanto il problema resterebbe.
    IL SISTEMA NON FUNZIONA E VA TOTALMENTE SOSTITUITO.

  8. Andrea E.

    L’Italia è un paese delle piccole città e comuni, la banda ultra larga è una necessità imprescindibile per sostenere lo sviluppo del Paese, l’idea che la rete di nuova generazione venga fatta dai privati è sbagliata in quanto non sarebbe capillare ma verrebbe portata solo nelle zone più densamente popolate (Milano, Roma Napoli Palermo, Genova e poche altre città).
    La copertura dell’Italia comporterebbe investimenti il cui rientro è prevedibile in 30-50 anni impensabili per qualsiasi privato.
    Se la stessa politica sarebbe stata adottata 50 anni fa per le autostrade viaggeremmo ancora su strade bianche….
    Le reti dei servizi (acqua, luce, gas, ferrovie e telecomunicazioni) deve essere affidata a società senza fini di lucro.
    Questo è l’unico modo per tenere bassi i prezzi dei servizi.
    Ricordiamoci che la privatizzazione della SIP è costata alla stessa circa 35 miliardi di Euro che sarebbero bastati per portare la fibra in tutte le case quasi due volte….
    L’authority dovrebbe solo occuparsi di vigilare sui costi e sui parametri di qualità dei servizi erogati.

  9. Luca

    Caro Giannino, il suo retropensiero ha piu’ di un fondamento. Oltre a rispondere a una strategia di memoria “rovatiana” il vectoring consentirebbe a Telecom di portare comunque molta fibra fuori dalle centrali (e qui Metroweb serve eccome) riducendo notevolmente il numero delle stesse (tra gli esperti si parla di passare da circa 12mila a 1-1500, ovvero abbattere di un ordine di grandezza).
    Come fa notare Andrea E., oltre ad essersi indebitata per 30Md, Telecom e’ anche nell’incresciosa situazione di dover pagare l’affitto per la maggior parte delle sue centrali e questa evoluzione contribuirebbe non poco ad abbassare i costi operativi suoi e anche degli OLO (meno punti di interconnessione, minori costi anche per loro).
    Da mercatista impenitente credo che tutti (OLO e incumbent) dovrebbero essere messi in condizione di competere equamente con tutte le tecnologie, chi vuole la fibra a 10Gb/s, chi si accontenta del vectoring a 50Mbit con rischio di ressa in uplink e chi invece va ancora benone con l’ADSL classico o addirittura il modem analogico (ammesso ne esistano).
    Dopo aver imposto a milioni di vecchietti e non esoterici decoder televisivi e risintonizzazioni continue diamo almeno per scontata la maturita’ digitale del paese senza accampare scuse del tipo “ma la nonna di Macerata e la casalinga di Voghera non lo compreranno mai” ergo serve l’aiutino di stato piu’ o meno mascherato.

  10. ANTONIO CATALANO

    Egregio dr. Giannino,
    nel marasma politico, giornalistico, artistici e toh, anche sportivo una delle poche persone che ascolto e seguo volentieri è Lei. Immagino di essere uno dei tanti che se dovessero indicare un presidente del consiglio, oltre che tecnico umano, pratico e scevro da nozioni distanti dalla realtà della vita quotidiana, indicherebbero Lei. Purtroppo non sono Napolitano e anche per ragioni di età ne sono felice. Se leggerà queste righe le do alcune indicazioni sul sottoscritto: uno dei tanti imprenditori ceh bla, bla bla stanno patendo o hanno patito la crisi. Sono un fortunato che ha tentato il suicidio e per probabile imbranamento non c’è riuscito. Ho descritto questa mia esperienza di uomo e imprenditore che mi farebbe immenso piacere sottoporLe. Se avesse questa disponibilità ( mezz’ora di lettura) sarei felice di inviarglielo.
    Grazie per l’attenzione ed un saluto sincero
    A. Catalano

  11. Renato Amato

    Oscar si candidi, saremmo in tanti (più di quanti si possa immaginare) a sostenerla attivamente e votarla.
    Sarei il primo a mettere a disposizione il mio tempo e le mie capacità per supportare una personalità / professionalità come la sua.
    Mi perdoni l’approccio “informale” ma la seguo quotidianamente da molto tempo.. e l’impressione è quasi quella di conoscerla.
    Saluti cordiali.
    Dott. Renato Amato

  12. Lucio Bucci

    Gentile dott. Giannino, volevo porle una domanda, apparentemente assurda, ma sono certo che la sua risposta, al contrario, non lo sarà.
    Se il nostro debito pubblico, venisse azzerato con la bacchetta magica, nel giro di un mese, di quali benefici reali ogni cittadino italiano potrebbe godere, sia esso dipendente od imprenditore? Attendo, se vorrà rispondere, e poi Le racconto un sogno che ho fatto. Saluti cordiali. Lucio Bucci

  13. Giacomo Lontra

    Dott.Giannino, la banda necessaria alle imprese c’e’ gia’. Glielo dico dopo 20 e passa anni di ICT nella piccola media e grande impresa.
    Mancano cultura ed infrastruttura.
    Cultura del cliente, cultura dell’impresa moderna, cultura di un ICT che vada oltre un piano di produzione che sia un foglio di carta faxato settimanalmente.
    Mancano le infrastrutture per rispondere in tempo reale ai clienti, per consegnare organicamente (vuole confrontare le nostre poste con l’USPS anche se in crisi?).

    La larga banda per le imprese e’ uno specchietto per le allodole.
    Basterebbero i 7 mega garantiti e non fasulli, cioe’ che diventano zero appena gioca la nazionale e lo streaming uccide tutti i server.

    Porgendole distinti saluti
    Giacomo Lontra.

  14. luigi

    Gentile dott. Giannino,
    io sono fermamente convinto che la privatizzazione di Telecom Italia a vantaggio dei soliti noti, ha espropriato al paese non solo infrastruture che erano di proprietà degli italiani,ma ha anche consentito il proliferare di aziende che senza alcun investimento e senza alcun rischio d’impresa si lanciano nel business delle tlc senza alcun vantaggio oggettivo per i Clienti. Il ritardo negli investimenti e il noto problema del digital divide trovano origine nello scempio firmato D’Alema.
    Appare evidente che non avendo ulteriori margini di manovra adesso costruiscono un ulteriore “giocattolo” “cui prodest”?………………
    Passando ad altro argomento, sono uno dei tanti che se formasse un suo partito politico la voterebbe senza indugio……. ci aiuti a voltare pagina e a cacciare l’attuale classe politica definitivamente!!!!!!!

  15. Piernicola Comuniello

    @luigi

    Vero. Giannino mi sembra un economista serio. Ma non so se basterebbe nella situazione attuale. Con rammarico.

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