14
Mag
2014

L’ottimismo di troppo sullo spread e quel che davvero serve al Sud

Renzi va a Napoli quando alla Camera dei Deputati è giunto al varo finale il decreto Poletti , che insieme al decreto sul bonus di 80 euro ai dipendenti fino a 25 mila euro lordi rappresenta al momento la produzione legislativa del governo Renzi. Per il resto del tambureggiante programma di riforme annunciato dal governo occorre aspettare le elezioni europee. Che rischiano di produrre conseguenze anche molto serie, sulla continuazione della collaborazione tra maggioranza di governo e Forza Italia in materia di riforme istituzionali e costituzionali. Forse anche sulla durata stessa della legislatura, visto che a quel punto i problemi interni al Pd si acuirebbero. Ma di tutto questo è il caso di occuparsi solo a voti europei contati, giudicando il distacco di Grillo da Renzi, e tra grillini e berlusconiani. Ora che il decreto sul lavoro diventa legge, è il caso invece di riflettere sulle condizioni generali dell’economia italiana. E del suo Mezzogiorno.

Aver attenuato l’eccesso di limiti posti nel 2012 a tempo determinato e apprendistato – attenuazione comunque frenata, proprio ad opera di una parte del Pd che sul mercato del lavoro non condivide affatto la via alla flessibilità indicata da Renzi e Poletti – ha sicuramente effetti positivi. Ma non è il caso di illudersi. La condizione italiana resta grave. La crescita italiana attesa nel 2014 è stata abbassata pochi giorni fa dall’Ocse a un modestissimo più 0,5%. In queste condizioni, occorrerebbero troppi anni per recuperare i 9 punti di Pil e i 24 punti di produzione industriale persi sin qui nella crisi, e per vedere la disoccupazione scendere sotto il 10%.

Purtroppo, è il caso di dire, la politica sembra credere che il barometro sia ormai stabilmente orientato verso il bel tempo, e sia quello espresso dal bassissimo spread sui titoli decennali tedeschi, ormai intorno a quota 150 punti rispetto agli oltre 550 del 2011. Ma non è affatto così. Ora che il rendimento sui titoli pubblici decennali italiani e spagnoli è praticamente pari a quello degli omologhi titoli pubblici statunitensi, bisogna ricordare che non è affatto detto che la cosa resti in questi termini. La crisi ucraina, la frenata di Cina, Giappone e Paesi emergenti, sono tutti fattori che contengono la crescita del commercio mondiale entro poco più del 2% nel 2014, e purtroppo allo stato attuale è questo l’unico treno a cui sono agganciate le 190 mila imprese italiane che esportano, e soprattutto le 70 mila che lo fanno strutturalmente. Non ci aiuta la bassissima inflazione europea attuale. A marzo, su base annuale, Grecia Portogallo e Spagna erano in deflazione, l’Irlanda ha un’inflazione allo 0,6%, l’Italia allo 0,9%. Al contrario avremmo tutti bisogno di una crescita nominale intorno al 2% che dovrebbe essere garantita dalla BCE: in assenza di essa, i debiti pubblici a questi risicati tassi di crescita reale non si stabilizzano, ma continuano a salire. Vedremo a giungo, che cosa Draghi potrà fare davvero. Ma ilo contesto internazionale dice che gli spread risaliranno.

Il vero problema – come sempre, checché dicano gli antieuro e i rinnovati sostenitori del “golpe”che sarebbe stato perpetrato contro Berlusconi nel 2011– sta a casa nostra. Sappiamo che in tempi brevi è infondato attendersi sostanziali sgravi fiscali alle imprese, visto che i tagli alle spese per il 2014 si sono fermati a 3 miliardi di euro devoluti al bonus Irpef. E per quanto una spinta a incrementare la domanda di lavoro possa venire dalla prossima riforma delle regole del lavoro – con il nuovo codice semplificato, il contratto triennale d’inserimento a tutele crescenti, l’estensione universale del sostegno al reddito di chi è disoccupati e la riforma dei centri per l’impego, tutte cose annunciate ma ancora di là da venire – anche questi saranno interventi utili a seconda di come davvero verranno scritti e approvati, ma di cornice più che di sostanza.

Nel semestre di presidenza italiana della Ue che comincia a luglio, c’è da sperare che Renzi faccia fare dei passi avanti veri al promesso Industrial Compact, visto che Europa si sono persi 3,8 milioni di posti di lavoro, l’11% dell’occupazione rispetto al 2008, e in Italia il numero di disoccupati è prossimo ai 2,6 milioni di unità, con un tasso di disoccupazione oltre il12% e oltre il 40% per i giovani. Ma in Italia abbiamo perso stabilmente a oggi circa il 15% del potenziale manifatturiero, con le 91 mila imprese scomparse al netto delle nuove create, e al Sud il declino di occupazione e imprese resta drammaticamente doppio e triplo che al Nord. Di conseguenza, molti ripetono che abbiamo e avremo bisogno di “politiche industriali” , un’espressione che è accettabile solo a patto che siano molto diverse da quelle nei decenni praticate – sbagliando – dalla politica, con la convinzione cioè di potere e volere indicare e pianificare i settori e concentrandovi risorse discrezionali.

Facciamo degli esempi. Rispetto ai principali paesi europei, la diffusione delle imprese innovative, valutata come la quota di imprese che hanno introdotto nel periodo 2008-2010 innovazioni di prodotto, di processo, organizzative o di marketing, vedeva una media italiana (56,3%) superiore a quella della UE a 27 (52,9%). Ma mentre le innovative del Nord Est italiano erano il 62% del totale, e quelle settentrionali il 60%, i valori del Sud e delle Isole erano di 15 punti inferiori. Considerando la spesa per innovazione, il Centro risulta simile alle regioni del Nord, mentre nel Mezzogiorno sia l’investimento per impresa che quello per addetto sono inferiori alla metà delle altre macroaree italiane. Se consideriamo i brevetti depositati nell’anno di inizio crisi, il 2008, il Nord superava i 110 brevetti per milione di abitanti, il Centro era a meno della metà, nel Sud erano meno di 15. I brevetti a maggiore contenuto innovativo, quelli high-tech e ICT, erano nel Nord Ovest il triplo che al Sud. La geografia della diffusione dei marchi è analoga a quella dei brevetti. Tra il 2003 e il 2011 sono stati depositati circa 11 marchi ogni mille addetti nel Nord Ovest e nel Nord Est, 7 nel Centro , solo 2 per mille addetti del Sud e Isole. Il ricorso al design industriale vedeva 21,5 marchi depositati per mille addetti nel Nord, 3,3 al Sud e isole.

Ecco, la politica di sviluppo del Sud ha bisogno di un aggancio strutturale tra università e imprese meridionali all’orizzonte europeo di ricerca 2020, incentrato sulla diffusione di brevetti, marchi e innovazione. Serve molto più questo che le vecchie anticaglie dei nostalgici della Cassa per il Mezzogiorno. E non servono affatto incentivi a fondo perduto, scissi dall’avanzamento verificato di piani d’impresa seri. Serve il riaccorpamento “centrale” delle risorse europee che le regioni del Sud continuano in percentuali elevatissime a non saper usare.

E servono infrastrutturazione digitale e cultura, servono anche al turismo e allo sfruttamento dei beni culturali. Al Sud è minore la diffusione e la familiarità con le nuove tecnologie: nel 2011 solo l’8% della popolazione meridionale usava Internet per acquistare beni e servizi, rispetto al 19% nazionale. Solo il 5% della popolazione meridionale tra i 25 e i 64 anni era impegnata in attività di formazione e riorientamento al lavoro, più del 20% in meno rispetto alla media nazionale. er attenuare disoccupazione e deserto d’impresa serve più tutto questo, insieme a meno tasse ed energia meno cara, che mille sia pur opportune riforme delle regole.

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4 Responses

  1. mi permetto di ricordare che, a fronte di quanto fatto da Renzi, oggi bankitalia ha comunicato che il debito pubblico “ufficlale” ha sfondato tutti i record, mentre quello reale sarà circa un paio di cento miliardi più elevato, un 2300 finale, come dicevo qui

    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2013/09/09/governo-lettaberlusconi-la-realta-romanzata/

    al tempo stesso il governo Renzi, come il precedente, sta sbaraccando le basi antropologiche della nostra civiltà, con la legge omofilia totalitaria, la propaganda omofila nelle scuole, il decreto filiazione, la liberalizzazione della droga e lo ius soli, che Renzi ha appena nuovamente rammmentato di voler fare. Aggiungo al volo gli inutili F-35, l’operazione Mare Nostrum e il ministro Lupi che sèguita a tener bordone ai project-financing autostradali fantasma:

    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/04/29/avvenire-e-pedemontana-che-cose-la-verita-2/

    Mentre invece, da buon catto-comunista, si guarda bene dal fare l’unico investimento sensato, quello sull’educazione: il buono-scuola.

    Non credo manchi molto allo schianto finale. Peccato.

  2. Mike_M

    “Il vero problema – come sempre, checché dicano gli antieuro […]– sta a casa nostra.”
    Caro Giannino, Lei è sicuro che l’euro non c’entri proprio nulla? Il buon Luigi Zingales – che certamente non può essere accusato di antieurismo – riconosce, nel suo ultimo libro, che l’eurozona non è un’area valutaria ottimale…

  3. marco

    purtroppo ho un po’ meno fiducia, buona parte delle 91.000 imprese decedute erano già con un periglioso futuro nel 2008 e la pulizia non è finita; i non intrepidi imprenditori che coll’avvento del tremontismo hanno investito in capannoni e in Cayenne non si sono ancora estinti, ma hanno appreso come finanziarsi un buen ritiro, come si vede dai fallimenti che stanno incrementando le sofferenze bancarie…..e per finire l’incertezza del diritto (su falso in bilancio e riscossione dei crediti) non incentiva gli investimenti dall’estero (anche solo l’acquisto di quote di mercato acquisendo imprese in difficoltà). Tralascio per carità di patria lo sconfortante stato delle presunte risorse manageriali disponibili e l’assenza totale di un sentimento meritocratico da parte dei cittadini oltre che delle imprese sia pubbliche che private (se no non dovremmo leggere nessuno scandalo quotidiano, sarebbe intrinsecamente irrealizzabile se ci fosse un minimo di deontologia manageriale)
    Grazie e …si salvi chi può da noi gli Schettino non si suicidano né si dimettono coloro che li hanno messi al comando

  4. adriano

    Anch’io.”Il vero problema_come sempre,checchè ne dicano gli antieuro…_sta a casa nostra.”Dunque,vediamo.Lo spread,chissà perchè,torna a salire.Il PIL,chissà perchè,invece di salire,scende.Quello della Germania va al contrario.Per carità di patria e per non annoiare non parliamo degli altri indicatori economici,tutti negativi.Guarda,un miracolo!La “nostra” amata e irreversibile moneta si rafforza sul dollaro!Ah,questi antieuro disfattisti!Chi vuole intendere,in tenda.Gli altri in camper.

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