2
Apr
2016

Prima l’Olio Tunisino, ora le piattaforme di gas naturale: la politica scivolosa

La politica continua a scivolare. Prima è stato sull’olio tunisino, ora su quelle che impropriamente sono chiamate trivelle.

Su questo ultimo argomento torneremo in seguito, se non per dire che non si tratta di trivelle, ma di piattaforme che estraggono in gran parte gas naturale che altrimenti importeremmo da Russia e Libia.

Ma torniamo sull’inutile polemica che si è venuta a creare contro la decisione del Parlamento Europeo sull’olio tunisino che è cresciuta in maniera esponenziale in Italia sotto le spinte del populismo.

Ma cosa è successo? I Governi europei hanno deciso di incrementare la quota esportata di olio tunisino senza dazi verso la Unione Europea per 35 mila tonnellate. Per due anni, il 2016 e il 2017.

È bene tuttavia tornare alla realtà dei dati facendosi scivolare addosso una qualunque voglia di andare alla pancia degli elettori.

In Italia si sono consumati nell’ultimo anno circa 580 mila tonnellate di olio. Un consumo tra i più elevati in Europa, grazie alle nostre buone abitudini alimentari.

Nello stesso anno la produzione di olio “italico” ha raggiunto solo 350 mila tonnellate. Un dato che dimostra che esiste un enorme deficit di produzione di olio nel nostro Paese. Esattamente sono 230 mila tonnellate “mancanti”.

Oltre a questi dati che dimostrano come l’Italia abbia bisogno d’importare olio dall’estero, c’è da aggiungere che l’olio italiano è ricercato all’estero e che fortunatamente siamo in grado di vendere bene il nostro prodotto “Made in Italy”.

Per tale ragione le esportazioni di olio italiano, sempre nell’ultimo anno hanno raggiunto le 220 mila tonnellate.

Il deficit di produzione di olio per gli italiani sale dunque a circa 450 mila tonnellate. Un dato impressionante che ancora una volta evidenzia come ci sia la necessità di importare olio dall’estero.

Si potrebbe obiettare che tale mancanza è dovuta ai problemi produttivi degli ultimi due anni. Anche tale obiezione è falsa nel momento in cui andiamo incontro alla realtà dei dati.

Se prendiamo i dati dal 2009, nei 7 anni la produzione annua italiana di olio è stata in media di 388 mila tonnellate, mentre il consumo di 606 mila tonnellate annue.

Anche in questo caso il deficit produttivo è evidente. La domanda è superiore per oltre 200 mila tonnellate annue rispetto alla domanda.

A cosa serve dunque la decisione dell’Unione Europea? Serve ad eliminare i dazi per 35 mila tonnellate, pari all’1,7 per cento della produzione totale di olio del nostro Continente.

Una goccia in mezzo al mare.

Ad oggi, la mancanza di libero scambio con la Tunisia provoca una doppia perdita: per il Paese del Nord Africa, che ricordiamo essere l’unica vera democrazia al di là del Mediterraneo, che è sfavorita dai dazi doganali imposti attualmente dall’Unione Europea. Tale mancanza è inoltre una perdita anche per l’Italia che non è in grado di supplire con la propria produzione le esigenze dei consumatori.

Ad oggi il “gioco” della concorrenza è sfavorevole alla Tunisia poiché si impongono dei dazi per esportare verso l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione Europea.

Quindi, permettendo alla Tunisia di esportare il proprio olio senza le barriere doganali dei dazi, si favorirebbe quello che in economia è chiamato “gioco a somma positiva”. Vincono tutti i consumatori italiani e vince la Tunisia che può sviluppare la propria economia (il famoso slogan aiutiamoli a casa loro).

È chiaro che le paura di frodi possa essere comprensibile in alcuni consumatori, ma questo non ha nulla a che vedere con i dazi. Le frodi sono una vera e propria concorrenza sleale e avvengono nel momento in cui si attua il comportamento illegale di alcuni produttori.

A chi serve imporre dazi? Chiaramente alla categoria dei produttori che in questo modo possono tenere dei prezzi più elevati.

Tuttavia voler difendere pochi, i produttori, sfavorendo tutti, i consumatori, è una scelta assurda e tafazziana.

Si dice che l’olio italiano sia di qualità e per questo i prezzi devono essere più alti? Perfetto, ma non è possibile imporre a tutti i consumatori le proprie scelte individuali.

Se personalmente posso essere disposto a pagare maggiormente un litro di olio extravergine premium italiano, non posso decidere anche delle scelte di consumo di altre famiglie.

Ancora una volta il populismo va di pari passo con collettivismo, come nel caso dei mutui. (link articolo:

Decidere addirittura delle scelte di consumo, tramite l’attuazione di dazi che sfavoriscono tutti i cittadini italiani è l’ennesima riprova che l’Italia soffre di una tragica malattia quale è il collettivismo.

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3 Responses

  1. Giovanni Bravin

    La EU impone rigore agli agricoltori europei sull’uso di pesticidi e concimi, ammettendo le produzioni agricole fatte nella EU, secondo le regole fissate da qualche burocrate. Poi si permette l’importazione di oli, agrumi dal Nordafrica, dove usano prodotti chimici a noi vietati, oppure concentrato di pomodoro dalla Cina…

  2. Emiliano Pepa

    Ritengo di essere liberale nello spirito, per cui mai e poi mai mi opporrò alla liberalizzazione degli scambi commerciali ed alla abolizione degli stramaledetti dazi commerciali. Non ho obiettato mai nulla contro i prodotti cinesi, a detta di molti (ma non mia) al limite del damping, figuratevi se ho qualcosa da obiettare contro l’import facilitato dell’olio tunisino o dell’ortofrutta del marocco. Tanto più che nel caso dell’olio molti siti di produzione olivicola tunisina sono di proprietà di italiani (volendo anche fare dell’insensato ma sempre tanto amato nazionalismo).
    Dove sono invece nettamente contrario è nella estrazione mineraria e di idrocarburi, e quindi la questione referendum. Personalmente parlando, ritengo l’italia un paese troppo ecologicamente fragile e troppo altamente antropizzato per farla sede di qualsiasi lavorazione industriale inquinante (compreso la produzione di energia). Troppi i rischi di avvelenare uomini ed ambiente e troppa corruzione e familismo amorale nella classe dirigente, politica ed industriale. Una cosa è sversare liquami di estrazioni pieni di bario nel sottosuolo della basilicata, unica regione del sud “donatrice” di acqua per altre regioni del meridione (come la puglia), una cosa è farlo in uno “scatolone di sabbia” spopolato ed in pieno deserto.
    A parte i miei convincimenti, che ritengono l’industria pesante ed estrattiva una cosa che implica troppe responsabilità per darla in mano all’ irresponsabile popolo italico, la mia contrarietà al prolungamento dei permessi estrattivi viene da un discorso di “IGIENE DEI CONTRATTI PUBBLICI”. Ma come ?! …. Abbiamo tanto criticato Berlusconi e compagnia quando volevano concedere gli arenili per 30 anni ai “soliti noti”, che già spadroneggiano e fagocitano il mercato del turismo balneare, ed ora non diciamo nulla nel regalare l’uso estrattivo delle piattaforme estrattive entro le 12 miglia alle multinazionali?
    Fossero stati anche solo campi di patate, invece che piattaforme di trivellazione ed estrazione, io sarei comunque stato comunque contrario all’estensione temporale delle concessioni … PERCHE’ IL MECCANISMO DELLE CONCESSIONI, PER ESSERE EFFICACE, POCO PERMEATO DA CORRUZIONE E GARANTIRE INTROITI DI BUON LIVELLO, DEVE AVERE UNA DURATA LIMITATA NEGLI ANNI, POI IL BENE IN CONCESSIONE DEVE ESSERE RIMESSO A BANDO!!!
    E’ UNA BANALE QUESTIONE DI PRINCIPIO OLTRE CHE DI BUONSENSO E NON POSSONO ESSERE FATTE ECCEZIONI!

  3. Marco

    Buongiorno,
    ho letto il post e credo che non sia affrontato il problema principale: i metodi di produzione del paese estero dal quale proviene il prodotto. Far entrare senza dazio dei prodotti che vengono fabbricati con metodi che qui in Italia (o Europa) sarebbero illeciti non mi sembra corretto. Qui in Italia un dipendente ha diritto a ferie, assicurazione obbligatoria (INPS INAIL) maternità, malattia, ecc. I produttori in Italia devono rispettare rigide norme di sicurezza sul lavoro e sicurezza alimentare e sono sottoposti a rigidi controlli su tantissimi adempimenti formali. I produttori di alcuni paesi esteri (compresa Tunisia) producono senza avere il peso del rispetto di tutti i diritti dei lavoratori e consumatori che qui in Italia è imposto. Non trovo giusto questo squilibrio. Qual è la via d uscita? Battersi, e sottolineo battersi, per stabilire degli standard internazionali di produzione che garantiscano il rispetto dei diritti essenziali dei lavoratori e la sicurezza sul lavoro e alimentare ovunque. Quando questo sarà fatto allora si potrà riparlare di libero scambio.

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