27
Set
2010

L’invettiva di Penati sul caso Rep-Prof

Ogni tanto ci vuole. Una sana invettiva che svuota i polmoni e scarica le meningi, collassa le endorfine e ripristina l’equilibrio metabolico. Tipo quella diAlessandro Penati oggi su Repubblica, che purtroppo non lo linka se non a pagamento, dunque se non l’avete letto qui solo una sintesi. E’ una replica invettivista all’intervista che Cesare Geronzi ha rilasciato a Massimo Giannini di Repubblica, dopo che questi aveva romanzato la vicenda della defenestrazione di Profumo come una resa all’asse Berlusconi-Letta-Geronzi. L’allineata delle tre botte mediatiche di Repubblica  Giannini-Geronzi-Penati dice molto , per me, di come si seguano in Italia le vicende finanziarie.

Prima lettura della vicenda Profumo: tutta politica – nella parte del male il centrodestra, naturalmente, della famigerata macchina occupapotere che è il centrodestra, ci mancherebbe – presentata come master&commander della finanza.  Polvere negli occhi ai lettori intribaliti, i molti che se anche parli del colore degli occhi dicono che la colpa è tutta di Silvio oppure tutta di pierluigi: la politica pagherebbe se fosse vero e andasse davvero così, ma con questo bel modo i media scaldano gli spalti calcistici di una politica ridotta a circo.

Seconda lettura: si cede una pagina intera a chi viene attaccato in prima lettura come fosse un incrocio tra Belzebù e Astarotte, e Geronzi obiettivamente ha buon gioco nel rispondere alle panzane della prima lettura con considerazioni che appaiono talora addirittura di elementare buon senso, tipo quelle dedicate all’evoluzione involutiva delle fondazioni.  Con questo artificio i rapporti di Repubblica con Geronzi restano in realtà ottimi, perché il giornalista che ha dato una prima lettura tanto forzatamente lontana dalla replica, per quanto sia bravo esita a reggere il fronte e dunque ecco la nostalgia delle sane fondazioni di un tempo, ché quelle sì difendevano stabilità banche e non facevano politica (tradotto, se la facevano per la Dc e per i post Dc non è politica, se in Intesa Bazoli le spiana quando pensano di avanzare candidati propri fa bene, perché “difendere la stabilità della banca” significa “difendere i banchieri  che guidano le banche”, di conseguenza fondazioni autoreferenziali e banchieri autoreferenziali uguale Eden in Terra: ma si può dico? io mi sbellico in solitudine… ho considerato l’intervista di Geronzi qualcosa da ritagliare e appendere al muro per la sua bravura, a conferma del fatto che chi nei decenni ha creato Capitalia e l’ha poi dissolta negli attivi di Unicredit poco prima della crisi insegna che il miglior banchiere italiano è appunto quello relazionale, un evocatore di realismo magico, uno strepitoso psicologo di politici malretti e imprenditori malgestiti, perchè quel che conta è la visione “sistemica” come si suol dire  e non i numeri; gli incroci azionari e i relativi semafori e non le strade fluide del mercato; gli intrecci e le rotatorie di potere e mai i viadotti su livelli diversi in cui ciascuno, banche, assicurazioni, imprese, segua la sua strada senza inchinarsi a logiche improprie diverse da sana crescita, stabilità patrimoniale e massimizzazione del risultato….: ha torto Geronzi? sui libri e nella teoria noi diciamo di sì, ma nella realtà italiana lui ha ragione, ragionissima, ragionissimissima da ven de re.., e capisco da molto tempo che rida sorrida e derida, chi crede in cose diverse )

Terza lettura: solo dopo e solo alla fine, contando sul fatto che per i lettori quel che continuerà a contare è la prima sceneggiata tutta politica rappresentata da Repubblica a cadavere di Profumo ancora caldo; solo dopo e solo alla fine, numeri e considerazioni di mercato lasciati ad Alessandro Penati, sempre più nella veste di lupo solitario che ulula alla luna nella steppa. E così, ooplà, chi propone letture deformate e devianti si copre il sedere sia con chi il potere lo esercita davvero e ne sorride, sia con la sparuta minoranza di noi mercatisti che vorrebbero a contare fossero solo numeri e bilanci e attivi, sia soprattutto con coloro che Profumo lo hanno cacciato davvero, cioè i tedeschi di Rampl e i signori delle fodnazioni Crt, Cariverona e Cassamarca e Carimonte.

Palle in politica, rinculi di potere, e parole vane di mercato: che cosa questa triade c’entri con far capire come e perchè Profumo sia andato a casa, o sono scemo io oppure spiegatemelo voi.

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3 Responses

  1. Luca

    Gent.mo Dott. Giannino,
    Le confesso che per la prima volta non ho capito il leitmotiv del suo articolo, ma daltronde relativamente all’intera vicenda Profumo ho molti dubbi e poche ipotesi. Ciò che comunque ritengo sconfortante è vedere che l’allontanamento di Profumo è stato perseguito avvalendosi del “peso” della azioni di Unicredito Italiano e non di Unicredit; e così il disegno complesso e mutevole sviluppato negli ultimi sette anni di gestione Profumo (fusione con HBV e con Capitalia…) cadrà nell’oblio per effetto di due anni di ridotti utili da distribuire nelle provincie e nei comuni di appartenenza delle Fondazioni Bancarie socie.
    Resta il fatto che i meriti ed i demeriti di Profumo sono agli occhi di tutti in Europa mentre i contributi e gli intralci delle Fondazioni sono appannaggio soltanto dei soliti piccoli salottini di provincia.
    Non mi stupirei qualora la vicenda Profumo fosse stata infiammata anche da disegni di ampiezza nazionale; ma è stata una offensiva della destra (o della sinistra) o una rivendicazione della sinistra (o della destra)? Ha qualche attinenza con la logica con cui si è consumato il teatrino tardo primaverile della Compagnia di San Paolo? E infine rientrano nello stesso disegno anche le recenti manovre contro l’istituto per le Opere Religiose?
    Ci sono molte cose che non capisco, e per questa ragione nel futuro, non soltanto in quello immediato, personalmente non investirò in Unicredit; sono comnque curioso di conoscere il parere di qualche fondo di investimento straniero, possibilmente non tedesco.

  2. antonio

    se posso chiederle, di questo cosa ne pensa ? :- Il presidente di Cassamarca, Dino De Poli, «bacchetta» il suo omologo delle Generali, Cesare Geronzi, per le critiche rivolte alle Fondazioni azioniste di Unicredit su come hanno gestito l’avvicendamento dell’amministratore delegato, Alessandro Profumo. De Poli rivendica «le scelte rilevanti per il Paese», nonostante «il sacrificio di tante e comprensibili ragioni locali», fatte dalle Fondazioni azioniste di Unicredit nel percorso che ha portato la banca a crescere in Italia e in Europa, inclusi i due recenti aumenti di capitale. Grazie buonasera

  3. Luciano Pontiroli

    La Fondazioni possono avere sbagliato nel metodo e nella sostanza, ma restano pur sempre i principali azionisti di Unicredit; era ed è loro diritto porre fine alla collaborazione con un manager che non soddisfaceva le loro attese di valore e rendimento delle partecipazioni.
    In qualche misura, le dichiarazioni di De Poli sembrano confermare che le Fondazioni da tempo non gradivano la gestione di Profumo, ponendo l’accenno sui sacrifici fatti in passato.
    Le considerazioni del giornalista, se ho bene inteso il riassunto proposto da Giannino, esprimono un modo di vedere le cose che appartiene al chiacchericcio politico, che si compiace se una banca italiana cresce e si internazionalizza, la elegge a campione nazionale, la carica di funzioni sociali, a discapito dell’interesse degli azionisti: questi dovrebbero essere acquiescenti di fronte a qualsiasi scelta dei managers, perché non si deve turbare la stabilità, valore supremo.
    Qui si gioca sull’equivoco semantico: la stabilità che deve essere assicurata è quella del sistema, che dev’essere protetto contro i rischi tipici dell’attività bancaria, non quella dei managers. Per i giornalisti di Repubblica, invece, la sostituzione di un A.D., purché sufficientemente noto e celebrato, non può essere altro che il frutto di un complotto politico (ovviamente, ordito da SB).

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