16
Nov
2009

Le troppe Università del Nordest

Perché il Nordest deve farsi superare dal Nordovest? La domanda sorge immediata, alla vista di quel che sta capitando a Torino e Milano. Le due città stanno rapidamente scoprendo in queste settimane ciò che in decenni era solo argomento di convegni. L’Alta Velocità ferroviaria che tra poche settimane metterà le due città del Nordovest alla distanza di meno di un’ora sta rendendo finalmente d’attualità per le loro classi dirigenti la realizzazione di una vera integrazione. Il cosiddetto progetto Mi-To non era mai decollato, finché si trattava di Fiat e Pirelli. Era al più il brand di un riuscitissimo festival musicale, che ha unito insieme l’anima culturale pubblica di Settembre Musica a Torino con la sponsorship privata meneghina e internazionale del finanziere Francesco Micheli. Ora, invece, vedremo se le classi dirigenti nordovestine si sveglieranno, e ci crederanno davvero, a Mi-To. Comunque in men che non si dica i rettori della seconda e della terza università italiana per qualità di studi, Francesco Profumo del Politecnico di Torino e Giulio Ballio del Politecnico di Milano, hanno comunemente annunciato la volontà di iniziare un  processo di fusione. Non siamo ancora a un solo Senato accademico. Ma alla possibilità per gli studenti di fruire intanto di corsi ed insegnamenti dei due Atenei. Con l’accordo delle Autonomie di entrambe le Regioni, la richiesta di premialità al Ministero, e l’obiettivo di rendersi ancor più capaci di attirare risorse private, da parte delle molte imprese per le quali gli ingegneri dei due atenei sono i migliori d’Italia. E al Nordest?

E’ vero, l’Alta Velocità nel Nordest è lungi dall’essere compiuta, fino a Venezia e al corridoio verso l’Est Europa. Ma non mettiamo scuse. Tra Padova e Venezia o Verona, non ci sono tre ore di treno. Il problema maggiore riguarda Trieste, dove Generali fa presente da tempo che se continuerà a essere tagliata fuori dai grandi collegamenti veloci, sarà giocoforza sostare altrove la sede. Ma quanti anni è che l’integrazione delle eccellenze universitarie del Nordest è materia di convegni?  Ne ho contati otto tra i maggiori, solo negli ultimi due anni. C’è un gruppo di studio apposito presso il ministero  guidato da Maria Stella Gelmini, e che parte dal presupposto che Friuli Venezia-Giulia, Veneto e Trentino Alto-Adige siano sufficientemente omogenee sia dal lato della struttura socio-economica, sia dal lato dell’offerta universitaria. Anche se la presenza di due Regioni a Statuto speciale rende le  loro competenze non omogenee e maggiori, di quelle del Veneto.

Eppure stiamo parlando di otto atenei tra Trieste, Udine, Trento, Bolzano, Padova, Verona, Venezia Ca’ Foscari, l’Istituto di Architettura a Venezia, dei quali sette di medie o piccole dimensioni e uno, quello patavino, che è un vero megateneo. Ma in realtà i bacini di utenza sono in moltissimi casi sovrapposti. E restando non integrati la possibilità di fare massa critica verso donazioni e investimenti privati da parte delle imprese resta molto limitata. Dipenderà anche da questo, che in 4 casi su 8 la prima retribuzione mensile dei neolaureati nordestini risultava al 2007 inferiore alla media nazionale che è di 1050 euro? Che l’alta qualità della formazione universitaria era solo il settimo fattore su 13, indicato dalla imprese come motivo che spinge all’investimento, nel panel curato dalla fondazione Nordest? E che secondo lo stesso panel  il rapporto con scuola e università fosse solo il quinto fattore su 10, nella spinta  a radicarsi nel territorio invece che a delocalizzare? Aggiungo che per essere l’area del Paese, almeno prima della crisi,  notoriamente più dinamica per piccola e media impresa, la dispersione in 8 Atenei non coordinati non aiuta certo i giovani, che con l’eccezione di Bolzano e Verona per il resto sono esattamente nella media nazionale, quanto a tempi d’attesa per la prima occupazione.

I Rettori si sono visti e ne hanno parlato molte volte tra loro. Cristiana Compagno di Udine, Vincenzo Milanesi di Padova, Francesco Peroni di Trieste hanno spiegato molte volte ai presidenti delle diverse Regioni di che cosa avrebbero bisogno, a fronte di trasferimenti in calo da Roma e da spese procapite regionali per studente tanto differenziate tra Veneto da una parte, e le due autonomie speciali dall’altra. Ma ora ora è venuto il momento di smettere di far solo parole. Di decidere qualcosa. Dalla crisi non si esce come indistinta economia nazionale. Lo sappiamo benissimo, che  sono invece le macroaree locali a fare la differenza, in termini di competitività di costo, di infrastrutture, di logistica, di capitale fisico e soprattutto di capitale umano. Ora che Milano e Torino si muovono, politici, rettori e imprenditori del Nordest non restino con le mani in mano. Oppure molte mani resteranno in tasca, nel futuro, invece di lavorare e costruire il futuro.

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2 Responses

  1. Alex Bernard

    Da laureato di una delle università del Nord-Est condivido in parte quest’analisi. Il vero problema sta probabilmente nella struttura industriale della regione. Secondo me é propio la predominanza di PMI a determinare questo risultato (bassi salari d’ingresso, scarso assorbimento dei laureati, etc.). Le piccole e medie imprese italiane, in sostanza, non sanno che farsene dei tanti laureati che le università sfornano. Per un laureato di Trento trovare impiego a Milano é un impresa titanica poiché sono le imprese stesse a scartarti anche se sei disposto a muoverti. Non per la qualità dell’istruzione ma per il rischio che “la risorsa” rifiuti, se ne vada, ha difficoltà economiche (vedi trovare casa a Milano quando sei uno stagista a 400 Euro al mese). I responsabili del personale scartano per residenza. O si imbroglia o si muore al primo screening.
    Non so se sia l’industria a dover far crescere l’università o l’università a far crescere l’industria. Ma la collaborazione (ad es. fra due piccoli atenei come Trento e Bolzano) potrebbe essere un primo passo.

  2. andrea lucangeli

    In Italia, si sa, una sede universitaria non si nega a nessuno.- Vuoi mettere il “prestigio” per politici, amministratori ed industriali di avere l’università….in casa! Efficienza, razionalizzazione delle risorse, benessere degli studenti? Chissenefrega.- Una sede per regione, no: una sede per provincia; no: una sede per città; no: una sede per circoscrizione, anzi una sede sottocasa di ogni professore….così – poverino – non fa fatica.- Da ex-giovane universitario del nordest (scappato a Bologna…) dico che il “sistema università” italiano è marcio ed autoreferenziale, la famosa meritocrazia non è di casa in quei postriboli…..- E dall’interno di quel mondo non verrà alcuna pulizia ed autoriforma, questo è certo.- Ma chi (dall’esterno) avrà la voglia ed il coraggio di mettere le mani in quel letamaio: la povera Gelmini? Campa cavallo….

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