8
Mag
2013

Il muro di gomma del Potere

Mai come negli ultimi anni il legislatore ha tentato di sostanziare i principi di efficienza ed efficacia che, ai sensi dell’art. 97 Cost., devono improntare l’attività della Pubblica Amministrazione, in relazione alle esigenze della collettività. La crisi economica ha da ultimo non solo caratterizzato una realtà in evoluzione, ma soprattutto e in modo sempre più rilevante evidenziato nuove istanze di tutela dei cittadini nei riguardi dello Stato e la necessità di interlocutori idonei a soddisfarle.

Eppure, lodevoli intenti normativi, ispirati a finalità di trasparenza, semplificazione, definizione precisa dei soggetti pubblici e dei relativi ruoli nel rapporto con il soggetto privato, non risultano tali da indurre la P.A. a condotte connotate dagli stessi principi, quasi che la conservazione di un qualche margine di opacità sia comunque funzionale alla tutela del Potere. Così l’innovazione tecnologica, strumento essenziale perché qualunque riforma della P.A. possa tradursi in un agire concretamente efficiente ed efficace, finisce per costituire il veicolo nuovo di una realtà amministrativa vecchia: sempre uguale a se stessa per l’incertezza normativa, l’apatia operativa, i risultati insoddisfacenti e talora iniqui.

 

Equitalia[1] ne è un esempio evidente. Si tratta di uno di quei soggetti pubblici che oggi ormai ognuno conosce almeno indirettamente, ma di cui non riesce a comprendere la portata fino a che non s’imbatte nel muro di gomma che esso – almeno in talune ipotesi e in una sorta di legalizzata complicità con l’ente creditore per conto del quale opera in qualità di Agente della Riscossione (AdR) – rappresenta per il privato che ne venga a contatto.

Eppure, a seguito dell’approvazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, (c.d. Legge di Stabilità), si era ritenuto che un primo passo fosse stato compiuto, nel senso di meglio definire i ruoli e gli ambiti di azione tra ente creditore e Equitalia, sì che il cittadino potesse conoscere in modo trasparente attori, responsabilità e conseguenze di ogni fase procedimentale. Si era così voluto rendere più agevole il confronto fra privati e AdR, andando incontro all’esigenza di maggiore tutela dei primi nei riguardi delle richieste del secondo. Esigenza oltremodo importante quando, a fronte della richiesta del pagamento di più o meno ingenti somme di denaro, è necessario che il rapporto fra i soggetti interessati sia caratterizzato dalla certezza delle reciproche pretese e dalla simmetria degli strumenti giuridici dei quali rispettivamente ci si può avvalere: in sintesi, dall’equilibrio delle rispettive posizioni.

Invece, si è reso ancora una volta evidente che mere prescrizioni procedimentali, svincolate dall’efficiente agire degli uffici, non garantiscono alcuna certezza nell’applicazione del diritto; che l’informatizzazione dei processi emancipa in ampia misura dai supporti cartacei, non invece dagli schemi obsoleti di un’amministrazione sempre sovraordinata rispetto alla propria controparte; che la trasparenza, il cui veicolo essenziale è l’ingegnerizzazione e il cui effetto è l’accountability del soggetto cui si riferisce, non è ancora nella cultura di una P.A. nei riguardi della quale, in ultima istanza, si finisce per doversi tutelare solo attraverso le antiche pratiche delle code agli sportelli al fine di esporre le proprie ragioni all’impiegato di turno, quando ciò basti.

La richiamata Legge di Stabilità 2013[2], prevede un termine di 90 giorni entro il quale il destinatario della comunicazione[3] di Equitalia può presentare all’AdR la domanda di sospensione della procedura. Unitamente a essa deve fornire idonea documentazione comprovante l’insussistenza della pretesa dell’ente creditore.[4] All’AdR è fatto obbligo di sospendere la riscossione e rimettere entro 10 giorni detta istanza e gli atti a supporto all’ente creditore, che provvederà “al controllo puntuale delle circostanze documentate”. La legge sottrae così a Equitalia qualunque valutazione di merito dei predetti atti, rimessa esclusivamente all’ente che avanza la pretesa verso il debitore. Decorsi 60 giorni, all’istante verrà fornita conferma della correttezza della documentazione prodotta in allegato alla domanda oppure gli  sarà comunicata l’inidoneità di quest’ultima a mantenere sospesa la riscossione, con la conseguente riattivazione dell’azione esattiva.

Questo è il procedimento, lineare nel suo svolgimento teorico, non nell’esperienza pratica. Si è detto che a supporto della domanda di sospensione devono essere forniti i documenti previsti dalla legge: non si tratta di un’elencazione tassativa, essendo idoneo qualunque tipo di atto, come la formula normativa finale prevede, attestante l’insussistenza della pretesa creditoria.

Ma esiste una particolare tipologia di provvedimento amministrativo a tutti gli effetti[5] che è impossibile, per definizione, produrre: si tratta del silenzio-assenso cui, in alcune fattispecie, il legislatore attribuisce la funzione di accogliere la domanda dell’istante,  mediante il riconoscimento della fondatezza delle ragioni da quest’ultimo addotte. Un esempio è il silenzio-accoglimento da parte del Prefetto previsto dal codice della strada (art. 204): alla domanda di sospensione rivolta a Equitalia, l’istante può allegare il ricorso presentato al Prefetto, non invece, com’è ovvio, il silenzio-assenso di quest’ultimo, che costituisce ai sensi di legge l’atto estintivo della pretesa creditoria.

Ciò non costituirebbe un problema se l’ente creditore procedesse effettivamente agli adempimenti che la legge prescrive a suo carico: quindi, valutasse le ragioni del debitore e, accertata l’esistenza di un atto di silenzio-accoglimento – vale a dire la mancata adozione da parte dell’autorità preposta di un’ingiunzione di pagamento entro i termini previsti – emettesse un provvedimento di sgravio nei riguardi del debitore. Ma l’ente creditore si ferma prima, alla verifica delle “circostanze documentate”: non potendo essere “documentato” un atto di silenzio-assenso e con esso l’estinzione della pretesa creditoria, detto ente comunica al debitore l’inidoneità della documentazione trasmessa, determinando così il venir meno della sospensione e, quindi, la nuova legittimazione del concessionario a procedere alla riscossione.

E’ qui che il cittadino avverte il sopruso, il senso di impotenza di fronte a un Potere che, da un lato,  chiede di produrre un atto materialmente impossibile da produrre, dall’altro,  omette di compiere gli accertamenti che la legge pone a suo carico verificando, attraverso le procedure informatiche che vanta di aver adottato, il comportamento di un’altra autorità, cioè il silenzio, che vale come assenso e quindi come accoglimento delle ragioni dell’istante.

Ma non finisce qui.

Dopo essersi visto richiedere un atto che è impossibile produrre  e dopo aver constatato la mancanza da parte dell’ente creditore di verifiche che agevolmente condurrebbero a riconoscere l’infondatezza della pretesa creditoria in forza della quale l’AdR richiede il pagamento, il cittadino subisce un’ulteriore prevaricazione: riceve una lettera, inviata per conto dell’ente creditore, nella quale l’AdR si limita a dire: “..ci spiace comunicarLe che la documentazione da lei trasmessa non risulta idonea a giustificare la non sussistenza della pretesa creditoria…”. Come un muro di gomma, è il respingimento di quanto prodotto dall’istante a comprova delle proprie ragioni, senza ulteriori precisazioni. Il diniego senza spiegazioni, una sorta “est quia est”, il potere fine a se stesso, l’autorità che diviene autoritarietà.

E’ qui che il Potere raggiunge livelli da apoteosi. Il cittadino prova a sostanziare le proprie ragioni nei riguardi della pretesa creditoria della P.A. con i documenti di cui dispone, ma la condizione di minorità rispetto a un’amministrazione che opera arbitrariamente è evidente: a essa non compete forse dimostrare le cause a fondamento dell’inidoneità documentale che  afferma?

Eppure, l’art. 3 della legge sul procedimento amministrativo (L. n. 241/90), intitolato “Motivazione del provvedimento”, è molto chiaro al riguardo: “Ogni provvedimento amministrativo (…) deve essere motivato (…). La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.

L’inidoneità della documentazione non è un concetto compiuto, né nella lingua italiana né in quella tecnicamente giuridica, non trova cioè in se stesso la propria giustificazione. Necessiterebbe dell’indicazione degli atti utili ad integrare quelli già prodotti, ma la P.A. non opera in questo senso: come potrebbe richiedere l’integrazione di un atto non esistente in natura (silenzio-assenso), ancorché esistente nel mondo del diritto? E quindi perché non provvede essa stessa, come la legge prevede, all’accertamento dell’esistenza di quell’atto, circostanza facilmente verificabile in via informatica nei 60 giorni che la legge le riserva a tal fine? Ma evidentemente una lettera standard inviata al debitore, se da un lato è un più semplice adempimento per l’ente interessato, dall’altro ha più possibilità di indurre nel cittadino, anche quando sappia di avere ragione, quell’atteggiamento rinunciatario che consegue alla percezione della disparità della lotta con uno Stato che non adempie a quegli obblighi che impone alla propria controparte.

Ma a volte accade che chi riceve quella lettera non sia un soggetto inconsapevole. Accade altresì che quel soggetto, dopo ore di coda allo sportello della P.A. interessata, secondo le antiche e consolidate pratiche di un’amministrazione ben trincerata nella propria roccaforte di opacità e burocrazia, per ottenere il riconoscimento delle proprie ragioni – quelle che l’ente creditore aveva i suddetti 60 giorni per accertare e che allo sportello sono state verificate in non più di qualche minuto – ne scriva su un blog. Perché si sappia che su quel muro di gomma del Potere si può almeno provare a non rimbalzare.

Le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono in alcun modo l’ente di appartenenza (Consob)


[1] Circa l’istituzione e l’operato di Equitalia, cfr. “Sudditi – Un programma per i prossimi cinquant’anni”, a cura di Nicola Rossi, IBL Libri, p. 84 ss. http://www.brunoleoni.it/e-commerce.aspx?ID=11585 .

[2] Art. 1, commi da 537 a 542.

[3] Tale comunicazione si può concretare nella notifica del primo atto di riscossione utile o di un atto della procedura cautelare o esecutiva esattoriale

[4] L’art. 1, comma 538, menziona espressamente: prescrizione o decadenza della pretesa tributaria, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo; provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore; sospensione amministrativa della pretesa tributaria comunque concessa dall’ente creditore; sospensione giudiziale, oppure sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte; pagamento, riconducibile al ruolo, effettuato in favore dell’ente creditore in data antecedente alla formazione del ruolo stesso; qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso.

[5] Cfr. art. 20 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

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3 Responses

  1. francine

    Io piango anche di piu’ quando penso che ministro per la Pubblica Amministrazione e’ diventato l’on.Micciche’ campione dell’amministrazione pubblica siciliana nota a livello internazionale per la sua efficienza ed efficacia..che dire di piu’?dimenticavo di aggiungere che e’stato felicitato da Dell’Utri e alla sua nomina ha contribuito l’on.Verdini..Auguri a tutti..

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