14
Set
2009

Il discorso di Obama a Wall Street: non forza ma debolezza

L’intervento di oggi pomeriggio di Barack Obama alla Federal Hall di Lower Manhattan avrà domani vasta eco sulla stampa mondiale. Personalmente, mi ha lasciato molto freddo. Esattamente come è successo ai mercati, che finora negli USA non hanno fatto un plissé. Obama ha dovuto sfoderare toni duri, a un anno dal fallimento di Lehman Brothers. È sotto gli occhi di tutti che i governi di mezzo mondo hanno dovuto impegnare l’aumento di circa 20 punti del proprio Pil di debito pubblico aggiuntivo nel prossimo decennio. Per gli USA addirittura il debito passerà dal 41% pre crisi all’82% del PIL. Ma a fronte di tale ingente falò di denaro del contribuente, sino ad oggi nel tempio malato da cui è nata la crisi – la finanza mondiale – nulla è ancora cambiato. A cominciare proprio dagli Stati Uniti, la culla di un’intermediazione finanziaria ad alta leva, bassa congruenza tra riserve patrimoniali e rischi assunti e intermediati, e massima tensione per ottenere una redditività a doppia cifra del capitale finanziario, realizzata non attraverso le tradizionali attività della banca commerciale, ma comprando e vendendo prodotti e servizi di finanza strutturata di valore sempre più dubbio.

In America, sinora, non è cambiata la vigilanza, dispersa tra più regolatori e inefficace. Non si sono stabiliti nuovi requisiti di capitale, per contenere la crescita di istituti tanto grossi da diventare Too Big To Fail, “obbligando” a salvarli con capitali pubblici. Non sono cambiate le regole né per i bonus ai manager – falso problema molto agitato a fini demagogici – né per la trasparenza da offrire al consumatore, né per la disciplina dei derivati (limitandosi magari ad alzare i margini per parteciparne al mercato, non mettendoli al bando come molti sciocchi propongono). Vedremo come, quando e se verrà approvata dal Congresso la sin qui languente proposta di riforma avanzata dall’Amministrazione. Sinora, si è capito che le proposte più puntute dispiacciono, più che unire. Dall’ampliamento dei poteri della Fed, che dovrebbe vigilare su banche e istituzioni finanziarie che pongono un rischio sistemico. Al nuovo Consiglio per la vigilanza finanziaria, composto da rappresentanti di tutte le autorità di controllo e presieduto dal Tesoro. All’estensione dei poteri della Fdic, che d’intesa con la Fed dovrebbe decidere la chiusura di istituzioni insolventi che mettessero a rischio il sistema.  Alla registrazione presso la Sec per gli advisor di hedge fund, che dovrebbero iscriversi come consulenti all’investimento. Alla chiusura dell’Office of Thrift Supervision, che vigilava sulle casse di risparmio. Alla creazione di un’agenzia per la protezione finanziaria dei consumatori, al fine di tutelarli anche attraverso una semplificazione dei contratti.

Sinora, non si è visto nulla. Ecco perché Obama oggi ha dovuto alzare la voce, dire che Wall Street non si deve più aspettare nuovi salvataggi, vantare il 17% di ritorno sul capitale che hanno fruttato i primi 70 miliardi di dollari del contribuente già oggi restituiti dalle banche: faccio notare che si tratta in sei mesi del doppio su base annua del costo lordo dei Tremonti bonds che qui non piacciono alle nostre banche nostrane.  Non resta che sperare che al G20 di Pittsburgh, tra due settimane, davvero la tanto annunciata riforma della finanza prenda forma.

Due fatti sono però attestati dai sondaggi d’opinione americani, e disegnano lo sfondo dell’attuale impasse di Obama. Da una parte, la fiducia degli americani nel presidente è scesa di 18 punti ed è al 50%, per via dell’eccesso di deficit, della disoccupazione e della riforma  sanitaria. Dall’altra non stanno meglio le banche. Come attesta il recente sondaggio Harris sul giudizio degli americani in materia creditizia e finanziaria. Mentre nel 1977 il  19 % degli americani esprimeva grande fiducia in Wall Street, e complessivamente i diversi gradi di giudizio positivo superavano il 67%, nel 2009 gli americani riservano a Wall Street solo il 4% della loro fiducia più alta, il 33% “una certa fiducia”, mentre un devastante  57% risponde “nessuna fiducia”. È il livello di fiducia più basso da che esiste l’Harris Financial Opinion Poll, Wall Street diventa ultima tra 15 diverse istituzioni USA nella graduatoria di fiducia censita, sotto addirittura il Congresso che sta anch’esso a un poco confortevole  9%. I sondaggi contano quel che contano. Ma spiegano perché Obama, in crisi di credibilità e sin qui in assenza di riforme concrete, rotei i pugni con tanta energia verso chi gode di ancor meno fiducia di lui.

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3 Responses

  1. Piero

    sicuramente Obama è in difficoltà.. ed i suoi nemici politici e finanziari certo fan di tutto x ferirlo.. ma CHI non lo sarebbe al suo posto ?

    io credo che A MONTE di tutti i dettagli che elenchi ci sia una ragione ben + strutturale: gli americani (e non solo) hanno speso x decenni troppo vs loro redditi.. le diseguaglianze hanno relativamente impoverito la massa ceto medio mentre il pil cresceva (misteri di Trilussa).. la guerra in Iraq al di là dei palesi interessi personali di Bush&amici ha fatto il resto col deficit..le materie prime mondiali scarseggeranno sempre più..la competizione globale ti fa capire che lentamente non sarai più il leader del mondo…

    politici&finanza avrebbero dovuto dire la VERITA’ :
    “riducete lo stile di consumi a livello sostenibile”…
    ma ciò era ed è “politicamente” impossibile.. nessuno MAI sarà così sincero in nessuna parte del mondo..
    così il debito ha rimandato il problema.. la bolla è scoppiata… ora nuovi debiti+m3… nuovo rinvio dei problemi.. nuovo scoppio futuro peggio di quello attuale..
    corsi e ricorsi Vichiani.. l’eterno ritorno dell’uguale Niciano..
    la miopia umana implica che solo il dolore futuro potrà FORSE fungere da molla dialettica verso la sintesi Hegeliana…

    come avrai capito mi piace mischiare filosofia e scienze delle quantità..spero non vi dispiaccia… uno sguardo dall’alto a volo d’uccello può aiutare a dare un senso a particolari di cui può sfuggire l’unità… secondo me..

  2. damiano

    per come la vedo io , i limiti allo sviluppo in futuro si potranno forse rimuovere … (colonizzazione di altri pianeti ? energia solare a basso costo ? ) ma ormai ci stiamo andando a sbattere contro troppo in fretta . Ne’ la teoria economica keynesiana ne’ quella neoclassica secondo me possono evitare che andiamo a colpire questi limiti ;ripeto , forse tra un migliaio d’anni la terra fara ‘ parte di una lega commerciale composta da piu’ pianeti , ma per l’immediato (qualche decennio ? ) la recessione /decrescita e’ inevitabile …

  3. Oscar Giannino

    Piero: sono d’accordo. sono convinto che agli americani bisognava dire le cose come stavano, proprio a cominnciare dall’eccesso di debito privato che va riequilibrato. Così facendo, però, si sarebbe wsccommesso di più sulla risposta “dal basso” in termini di produttività e risparmio, colpendo più duramente gli eccessi di Wall Street.
    Damiano: ti invito a non sottovalutare uan cosa. Circa 3 miliardi di terrestri – il più di loro solo in Asia – si apprestano a far crescere il commercio mondiale di quasi il 10% l’anno prossimo. il meccanismo globale è ben lungi dall’averci fatto toccare i limiti dello sviluppo. accetto scommesso, su questo… e non di lungo periodo, quando saremo tutti morti, ma verificabili di qui a 3-5 anni….

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