9
Lug
2013

Il decreto del fare, Artt. 4-6 – Energia

Il Decreto del fare interviene con numerose misure sul settore dell’energia. Misure talvolta condivisibili, in altri casi potenzialmente dannose, ma comunque affogate in un tecnicismo legale che ne rende difficile la lettura. Inoltre, gli stessi articoli – quelli che vanno dal 4 al 6 – affrontano simultaneamente temi molto diversi tra di loro, rendendo molto complesso lo sforzo di individuare una coerenza tra i singoli provvedimenti. Piuttosto che analizzarli singolarmente, quindi, mi limiterò a richiamare i principali.

Molto positiva è la decisione di ridurre il perimetro del “servizio di tutela” nel mercato gas ai soli clienti domestici (art.4, comma 1), “espellendo” quindi dal regime di prezzi (di fatto) amministrati le piccole imprese. A 13 anni dall’avvio della liberalizzazione, appare del tutto obsoleto l’attuale sistema, il cui unico effetto è quello di inibire la domanda dal diventare attiva sul mercato. Peraltro, è proprio da questa impostazione che derivano alcune discutibili decisioni assunte recentemente dall’Autorità per l’energia. Resta però inevasa la domanda perché lo switch off non possa essere esteso a tutti i clienti elettrici e gas: se li riteniamo sufficientemente maturi per votare, firmare un contratto telefonico e fare sesso, perché non dovrebbero essere in grado di scegliere la migliore offerta per la luce o il metano?

Opportuna è pure la “scossa” che viene data alle gare per le reti di distribuzione locale del gas (art.4, commi 2-6), anche se essa andrebbe messa nella prospettiva di una normativa assai criticabile. Poiché, però, non sembrano esservi grandi spazi di miglioramento su questo fronte, è positivo che il governo spinga per uscire dal limbo. In quest’ottica è comprensibile l’allungamento dei termini – una sorta di “tributo” pagato alla loro “vera” perentorietà – mentre è difficile valutare le conseguenze (anche in termini di tempi) della delega al ministero dello Sviluppo economico per “emanare linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti”. Tale valutazione è, assieme alla dimensione (vasta) degli ambiti, l’aspetto più critico della normativa vigente.

Uno dei provvedimento peggiori contenuti nel decreto, almeno in ambito energetico, è l’estensione della platea delle imprese colpite dalla Robin Hood Tax (l’addizionale Ires di 10,5 punti per il settore energetico) a tutte le imprese che abbiano ricavi superiori a 3 milioni di euro e imponibile superiore a 300 mila euro (precedentemente tali soglie corrispondevano a 10 milioni e 1 milione, rispettivamente) (art.5 comma 1). La Robin Tax è un’imposta pericolosa, ideologica, stupida e distorsiva: essa andrebbe rimossa immediatamente, anziché essere continuamente “stirata”.

Il comma 2 destina il gettito così raccolto (stimato in 150 milioni di euro, rispetto a un gettito complessivo dell’imposta di 1,5 miliardi nel 2012) alla riduzione della componente A2 della bolletta elettrica, ma solo per la misura eccedente le esigenza di copertura determinate dall’articolo 61 del decreto stesso. Quest’ultimo “cattura” quasi 60 milioni di euro. Ne segue che restano, per la bolletta elettrica, circa 90 milioni di euro, cioè 1,5 euro pro capite per gli italiani, ovvero circa il 2% del costo dei soli incentivi al fotovoltaico. Credo di non dover commentare la sproporzione tra il risibile beneficio tariffario e l’elevato costo in termini di distorsività del sistema fiscale.

Il comma 3 aggiorna i valori per i sussidi Cip6 in modo coerente con le altre normative di riferimento (cioè determinando l’entità del trasferimento in funzione del costo del gas, anziché di quello petrolifero, in considerazione del fatto che ormai l’olio combustibile è sostanzialmente assente dalla generazione elettrica). Viene però introdotta un’inspiegabile deroga per i termovalorizzatori di recente realizzazione. Misteri della fede (e del lobbying delle imprese pubbliche…).

Viene poi eliminato un sussidio a favore dei produttori di elettricità da “bioliquidi sostenibili” (olio di palma, colza, ecc.) facendo risparmiare al consumatore (secondo le stime) circa 300 milioni di euro all’anno. Su questo punto, applausi.

L’articolo 6 riguarda infine le esenzioni per il gasolio nelle serre.

Nel complesso, questi articoli contengono alcune misure molto apprezzabili, ma altre decisamente negative sia per il loro contenuto, sia per il “messaggio” che lanciano. Inoltre, come detto, la mancanza di chiarezza e coerenza rappresenta un grave limite non solo di questi articoli, ma dell’intero decreto.

Per vedere tutti i commenti degli esperti dell’Istituto Bruno Leoni, clicca qui.

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