11
Lug
2013

Il decreto del Fare, Artt. 13-16 – Agenda Digitale

Triste destino, quello dell’Agenda digitale italiana, frenata dalle pastoie burocratiche e dalle titubanze politiche. Se l’obiettivo della rilevante sezione del decreto del Fare era quello di slegare le prime e dissipare le seconde, restiamo ben lontani dal risultato. Il nodo focale è quello delle responsabilità, con cui si cimenta l’articolo 13, tentando di disciplinare la governance del dossier e di dare una forma più funzionale alle relazioni tra gli enti che, a vario titolo, contribuiscono all’elaborazione delle policy in materia. Con esiti discutibili.

Entrano a far parte della Cabina di regia – introdotta dal decreto Semplificazioni (sic; d.l. 5/2012) – un sindaco e un presidente di regione, i quali affiancheranno il premier – che la presiede, salva la possibilità di delega – e i seguenti ministri: sviluppo economico; pubblica amministrazione e semplificazione; coesione territoriale; istruzione, università e ricerca; salute; economia e finanze; nonché, volta per volta, gli ulteriori «ministri interessati alla trattazione di specifiche questioni». In seno a questa sorta di Consiglio dei ministri ristretto, viene istituito un Tavolo permanente per l’innovazione e l’agenda digitale, a cui partecipano esperti e rappresentanti d’imprese e università: il tutto sotto la guida del Commissario per l’attuazione dell’agenda digitale (Francesco Caio), a propria volta assistito da tre esperti e responsabile di una struttura di missione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. L’edificio si completa con il parto travagliato dell’Agenzia per l’Italia Digitale – ancora paralizzata e priva di statuto, a distanza di oltre un anno dalla sua creazione con il decreto Sviluppo (d.l. 83/2012) – e ora, quanto meno, sottoposta alla vigilanza del solo presidente del Consiglio. Questo il quadro barocco dei soggetti.

La faccenda si complica ulteriormente con riferimento alle rispettive attribuzioni, su cui vige una preoccupante confusione. È evidente che la frammentazione delle competenze nel quadro sin qui delineato ostacola, da un lato, la tempestività delle procedure di definizione degli obiettivi concreti; e impedisce, dall’altro, lo scrutinio pubblico sull’operato di ciascun attore. La partita dell’agenda digitale passa giocoforza per una radicale semplificazione delle strutture di controllo e per la pronta messa a punto di policy misurabili.

Venendo alle altre – più specifiche – norme, un giudizio moderatamente favorevole può essere espresso. L’art. 14 collega all’istanza di rilascio del documento unificato l’assegnazione di una casella di posta elettronica certificata, così da garantire una via privilegiata di comunicazione tra amministrazione e cittadino; sennonché, la diffusione del documento unificato appare ampiamente migliorabile e in parte vanifica le intenzioni del legislatore. Infine, l’art. 16 pone le basi per una razionalizzazione dei data center delle amministrazioni, quelle sanitarie su tutte, e per una maggior efficienza dell’infrastruttura informatica dello stato e degli altri enti pubblici: tuttavia si tratta di mere indicazioni di principio, la cui valutazione è rimessa all’applicazione concreta.

Per vedere tutti i commenti degli esperti dell’Istituto Bruno Leoni, clicca qui.

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