28
Set
2009

Germania: altri quattro anni di incertezza con un sistema in cambiamento

Mi voglio ricollegare a quanto scritto da Oscar Giannino sulle elezioni in Germania per fare due ulteriori brevi considerazioni.

Come ha notato Gian Enrico Rusconi negli scorsi giorni su La Stampa e come ha ripetuto ieri sera al Goethe Institut di Torino, il tentativo di stabilire un nesso tra politica italiana e politica tedesca è destinato rovinosamente a fallire. E questo sotto più punti di vista: innanzitutto, dal punto di vista dell’importabilità di un modello elettorale, che se già in Germania è momentaneamente inceppato, figuratevi in Italia quale potrebbero esserne gli esiti. Da Prima Repubblica. E mi fermo qui. In secondo luogo, però, anche il tentativo di dipingere la frammentazione tedesca come un elemento di italianizzazione non è del tutto corretto. Ciascun paese ha la sua specificità e la sua evoluzione storica. La Germania ha già avuto a che fare in più occasioni con momenti di crisi del proprio sistema elettorale. In realtà la crisi si è rivelata poi solo una fase di cambiamento che è sfociata in un riequilibrio. La capacità di garantire l’alternanza e una rapida formazione di un esecutivo stabile ha sempre retto piuttosto bene. Con la prima grande coalizione tra il 1966-1969 si temeva per l’esito antidemocratico e potenzialmente distruttivo delle grandi intese. Stessa cosa nel 1983, quando i Verdi entrarono per la prima volta al Bundestag, spezzando il monopolio dell’FDP quale unico “partito di coalizione”. E poi ancora dopo il 1990 con l’estensione del sistema partitico all’Est. La PDS è rimasta a lungo confinata nei nuovi Länder e solo in un secondo tempo FDP e Verdi hanno incominciato a penetrarvi (questi ultimi sino ad oggi senza mai ottenere un grosso successo). Il sistema pentapartitico, quindi, è un portato del crollo del Muro e della capacità della PDS di resistere e radicarsi in quelle zone meglio di quanto siano riusciti a fare le altre formazioni politiche. Ora, grazie anche all’opera di saldatura di Lafontaine e della sua WASG, questa instabilità ha contagiato l’intero paese. Il sistema è inceppato, ha detto D’Alimonte. Alcuni studiosi, meno pessimisti, considerano che quando sarà venuto meno il periodo della conventio ad excludendum dei postcomunisti  (oggi Die Linke) un riequilibrio sia nella natura delle cose. Proprio come fu con i Verdi. Ma più partiti si aggiungono, più sarà difficile raggiungere intese elettorali e compromessi al momento di governare. Lo scenario da Repubblica di Weimar non è poi così remoto.
Proprio a tal proposito, permettetimi ancora due battute sull’alleanza FDP-CSU/CSU. Se fino ad oggi ha governato una “grande coalizione”, d’ora in poi ne avremo per così dire la bella copia.  La mediazione e il litigio continueranno ad essere all’ordine del giorno. I partiti di governo hanno obiettivi comuni in campo energetico, fiscale (ma attenzione a non illudervi, Giannino l’ha spiegato bene) e il no al salario minimo generalizzato (come ho già scritto altrove, quelli nei vari settori finora varati rimarranno). Sostanziale consonanza invece sulla politica estera e di difesa (a parte l’impiego dell’esercito all’interno dei confini tedeschi). Grosse difficoltà in tema di riforma sanitaria, obbligo di leva (che l’FDP vuole abolire) e alleggerimento delle regole sul licenziamento. Se si aggiunge che la CSU vorrà fare come al solito la prima donna e metterà i bastoni fra le ruote, stiamo pure certi che la Germania va incontro ad altri quattro anni in cui l’incertezza continuerà a regnare sovrana.

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3 Responses

  1. oscar giannino

    hai assolutamente ragione, sulla peculiarità di ogni modello-Paese istituzionale, parlavo del modello elettorale solo aragionando su chi in Italia, appunto, pensa di “importare”

  2. @oscar giannino

    Proprio così. Chi fa questi discorsi ignora che nel far comparazione bisogna conoscere gli “stili” sottesi a ciascun sistema giuridico, il contesto in cui nascono le norme ed in cui vengono applicate. Quello che i comparatisti chiamano “formante”.

    Ciò detto, i trapianti giuridici possono talora avvenire. La mera recezione di quel modello porterebbe però ad esiti completamente diversi da quelli che si pensa possa in realtà produrre. E il motivo è semplice: l’Italia non è la Germania.

    Per il resto, ti segnalo un bel corsivo molto critico della FAZ di sabato.
    http://www.faz.net/s/Rub4D6E6242947140018FC1DA8D5E0008C5/Doc~E94AF7DA6833E447781C602FB9A2BA9A4~ATpl~Ecommon~Scontent.html

  3. americo

    Osservazione determinante, quella del dott. Giannino: L’Italia non è la Germania. Storia, cultura e struttura sono per molti versi “parallelamente” antitetici. Basti pensare alle differenze fra nazionalsocialismo e fascismo… E la realtà tedesca di oggi continua in ampia misura ad essere “figlia” (o “nipote”) del 1919 e – soprattutto – delle sue conseguenze. Penso che tutto (compresa, in particolare, le configurazione politica dello Stato Tedesco: legge elettorale, legge sui partiti, ripartizione federalista dei poteri fra Bundestag e Bundesrat, poteri della presidenza della Repubblica) debba essere letto tenendo conto del ruolo “improntante” (nel senso di ‘imprinting’) dei traumi di Weimar: iperinflazione, svaltuazione, disoccuppazione ed instabilità politica. Nel 1949 la Germania ha fatto tutto il possibile (e l’impossibile) per tentare di escludere una “ricaduta su Weimar” e si è (auto?-)assegnata una sorta di tutela “autoritaria” della democrazia (esclusione dello strumento referendario, “barriere” elettorali, possibilità di proibire partiti “anticostituzionali”, istituzionalizzazione del controllo dell’informazione etc.) che ha comunque stabilizzato volens nolens il Paese. E cosí (stabile) resterà: fino a quando il sistema economico reggerà e sarà in grado di sostenere i costi di questa struttura e di quella che i tedeschi chiamano “rete sociale”. Non è detto – soprattutto alla luce dei possibili sviluppi della crisi – che debba restare cosí in eterno… E penso che l’affermazione della Linke possa essere letta anche come un primo “scricchiolio”. Che gli eredi della SED potessero contare su un certo bacino elettorale nel loro ex-Paese (cioè ex DDR) era ed è scontato – ma che comincino a raccogliere significativi risultati anche nei Länder “occidentali”, alla vigilia di un (previsto) forte aumento della disoccupazione…

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