12
Lug
2011

Flamenco sketches – La strada verso la prosperità: deregolazione, meno stato e più società

Quali sono i problemi economici della Spagna e come risolverli in modo da favorire la crescita? Questi i principali temi del corso “El camino a la prosperidad” del campus FAES, tenutosi a Navacerrada dal 1 al 9 luglio. Secondo Andrei Shleifer, docente di Economia all’università di Harvard, le difficoltà fondamentali sono almeno tre: il primo è la necessità di tempi molto lunghi e una gran quantità di denaro per creare un’impresa (la Banca Mondiale colloca la Spagna al quarantanovesimo posto per la libertà nel fare affari); il secondo è la rigidità del mercato del lavoro, che protegge soprattutto quanti ne sono dentro, a scapito di quanti ne restano esclusi; l’ultimo, infine, è rappresentato dall’elevata disoccupazione giovanile, pari a circa il 45%.  Inoltre, sostiene María Dolores de Cospedal (segretaria generale del Partito Popolare e presidente della Comunità di Castilla La Mancha), in Spagna esiste un’amministrazione pubblica che con i suoi lunghi e ramificati tentacoli gestisce quasi il 50% del PIL, innalzando la spesa pubblica.

La possibile soluzione? Ovviamente la libertà economica, soprattutto per facilitare le esportazioni e l’occupazione nei servizi, due settori in cui la Spagna è particolarmente preparata. Shleifer sottolinea come, prima della crisi, in tutto il mondo il libero mercato ha consentito una crescita pari al 40%, non solo nei paesi ricchi, ma soprattutto in quelli emergenti. Al contrario, dove si è scelto di mantenere un elevato livello di regolazione, come in Giappone, la ripresa e lo sviluppo economico sono stati rallentati. Senza una maggiore deregolazione, quindi, non può esserci crescita economica.

Il problema principale, però, è capire se sia effettivamente possibile intraprendere questa strada. Una delle questioni emerse, infatti, è come la crisi economica sia legata a una certa concezione del potere che giustifica una forte presenza pubblica e da cui deriva un concetto sbagliato della politica governativa: la gestione pubblica delle risorse è spiegata dalla diffusa convinzione che né i cittadini né la società avrebbero abbastanza intelligenza e capacità per governare se stessi. Come dice Manuel Pizzarro, presidente della Bakker & Mackenzie in Spagna, questa crisi è quindi interpretabile come un “problema morale, di principi”, le cui conseguenze si manifestano in una gestione delle risorse pubbliche inefficiente, in quanto non era necessario dar conto a nessuno di ciò che veniva fatto. Influenzati da questa ormai radicata convinzione, spesso la liberalizzazione dei servizi sociali viene ostacolata in nome dell’universalità dell’accesso, ignorando come in realtà la liberalizzazione finalizzata a una gestione efficacie delle risorse pubbliche destinate ai servizi sociali non implichi un taglio di tali servizi. Piuttosto, come ben spiega de Cospedal,  “la prima garanzia dei servizi pubblici essenziali è una gestione efficace delle risorse pubbliche”. Non è però semplice riuscire a far comprendere questa differenza in un paese dove, similmente all’Italia, l’ostacolo maggiore è rappresentato dalla radicata e diffusa convinzione che sia lo Stato a dover fornire ogni servizio. Inoltre ci si scontra con un problema istituzionale, legato alla forte regolazione da parte dello stato, indispensabile per giustificarne la sua esistenza. Quale possibile soluzione, Shleifer suggerisce di leggere queste barriere come un’opportunità per rendere il settore più flessibile. È quindi necessario ripensare al ruolo dello stato e dell’amministrazione pubblica, che devono essere resi più competitivi, trasparenti e partecipativi. A tal fine, sono necessarie due riforme: innanzitutto, servono degli indicatori che dicano cosa stanno facendo e cosa è prioritario fare, soprattutto in un momento di crisi. Le amministrazioni che si doteranno di questi indicatori, saranno quelle davvero credibili. È poi essenziale ripensare al ruolo dello Stato, limitandone la presenza, ossia acquistando i servizi da una pluralità di fornitori e delimitando la portata delle prestazioni personali universali. Questo non significa non garantire servizi sociali universali, ma legarli al diretto pagamento del servizio. In altre parole, la novità consiste nel focalizzarsi non sull’aumento di produttività dello stato – così facendo si continuerebbe a essere sempre legati all’idea che il pubblico sia moralmente più efficiente del privato – quanto sul restituire la guida dello stato alla società, per facilitarne lo sviluppo. Come sintetizza il think tank Civismo: “meno stato, più società”.

You may also like

L’emergenzialismo
Punto e a capo n. 18
Autonomia differenziata: più parole che fatti
Digitalizzare la PA: la sfida dei processi e delle competenze

10 Responses

  1. DPzn

    Il paradigma è Berlusconi: entrato in politica con idee liberali, ne sta uscendo da socialista (l’ultima manovra è una rapina del piccolo risparmio). E se anche lui si è fatto incantare dalle sirene del potere (la debacle delle ultime amministrative dimostrano che gli italiani l’hanno capito), non vedo chi possa introdurre in Italia una riforma liberale.

  2. Lucia Quaglino

    a parte che il titolo riprende il nome del corso, l’associazione meno stato più crescita economica è corretta, come dimostrano gli anni precedenti la crisi.

  3. Gianni

    Sì,Sì, corretta…,
    -a parte che “gli anni precedenti la crisi” me li deve definire con precisione, cioè precedenti alla crisi:
    -quella finanziaria delle catene di Sant’Antonio del Debito delle grandi banche, dirottate sul groppone dei cittadini, ancora in fase di digestione, (vedi pericolo di fallimento degli USA).
    -o quella della deindustrializzazione del paese italico operata vent’anni fa col REGALO delle grandi aziende a chiunque
    -o quella di un paese ridotto alla piccola e media industria (che è un effetto collaterale della grande e che di per sè è asfittica e priva di futuro),
    -o quella delle manifatture che man mano chiudono per PAGARE il progresso cinese
    -o quella di una finanza che non è stata mai forte e ormai ridotta al lumicino, con le banche senza soldi da dare a prestito.

    Mi dica quale di queste crisi.
    Lei mi dirà: fuori lo stato dai piedi, ed io le rispondo: BENE, tremilioni di espulsi.
    Che ne fa? li brucia? Ed il lavoro irregolare che scaccia quello regolare, che ne fa? Lo ignora?

    Una buona regola mantiene il convento, e non altro: regole ferree, un programma di austerità nel mondo del lavoro a lungo termine, un contratto unico per tutti e non precari e sottoprecari. Solo questo ci porta fuori dal baratro.

    Le medicine salvifiche immediate sono una grande CAZZATA, chi le propone è un INFANTE, un bambino che gioca con cose più grandi di lui.

    Cordialità

  4. Lucia Quaglino

    Con questo articolo non si propone nessuna medicina salvefica per uscire dalla crisi, anche perchè non si può pensare di analizzare un problema così complesso in un articolo tanto breve. Un eccesso di semplificazione sarebbe altrettanto INFANTILE. Quello che si cercava di fare era soprattutto far riflettere su quella che è una concezione molto diffusa dello stato, che ha giustificato in passato una politica pubblica invasiva, anche a costo di essere inefficiente. A causa di tale politica, oggi siamo costretti a fare qualche sacrificio, ma se rimandiamo i danni saranno ancora peggiori. E’ ovvio che non si può pensare di agire solo tagliando le spese (lasciare a casa tutti i lavoratori in eccesso), ma neanche solo aumentando le entrate, considerando quanto è già alto il prelievo fiscale in Italia. Tra le possibili misure non possiamo ignorare le opportunità offerte dalle privatizzazioni, oltre che un bel taglio ai costi e ai benefici della politica. E’ ovvio che nessuna misura sarà indolore. Però qualcosa va fatto, e in fretta.

  5. Gianni

    messo in questo modo mi trova d’accordo e specificamente:

    1- fondamentale regolare il rapporto contrattuale di lavoro; un paese dove i giovani non hanno credito, meglio, sono discriminati come paria rispetto agli altri, NON HA FUTURO: manca ogni progettualità per cui impegnarsi. E l’economia è la somma di milioni di comportamenti virtuosi.

    2- Sganciamento graduale dello stato e degli enti locali da attività economiche tipiche del privato

    3- Pagamento diretto di TUTTI i servizi da parte dei diretti fruitori e gestione economicamente positiva di ogni fattispecie.

    4- Annullamento di OGNI obbligo di contributo a fondi pensione capestro, che alla fine saranno delle ENORMI TRUFFE e daranno origine a vecchi in povertà.
    Rimodulazione dei nuovi vitalizi INPS sulla base dell’aspettativa di vita: era il miglior sistema pensionistico mondiale, bastava gestirlo con lungimiranza.
    Ripeto, i fondi pensione obbligatori sono una TRUFFA.

    5-Accorpamento dei presidi sanitari (OSPEDALI), che sono solo stipendifici.

    6-Dirottamento delle risorse su un programma di GRANDI LAVORI PUBBLICI.

    7-Efficienza del pubblico impiego, scuola in testa.

    Tempi: Partire ora per realizzare in dieci anni.

    Intanto bisogna tenere sotto controllo il deficit con le tasse.
    Tertium non datur.

    Tagli ai costi della politica? Una bella lenzuolata, ma alla fine… peanuts!

    Cordialità

  6. Preg. dr.Giannino ,fra le bellisime cose che scrive e ci informa , io non riesco a portare aconoscenza a mezzo stampa ,una cosa che mi fa rabbrivvidire pensando alle tasse che verranno imposte con nuova finanziaria, ma NESSUNO accena al fatto che da quando c’è il governo Berlusconi hanno tolto la tassa di stazionamento delle imbarcazioni,non posseggo una barca,ma ci vado spesso con amici, noto che ogni anno le barche per diporto aumentano e non solo di numero ma anche di dimensione, certamente chim possiede un motoscafo o barca a vela di oltre 10-12 metri penso sia in grado di pagare questa tassa anche perchè il posteggio in una darsena va da un m inimo di 4500 fino anche 10000 euro ,queste persone potrebbero contribuire un po al risanamento… consideri che un motoscafo di media stazza per fare un pieno di gasolio neccessita di almeno 1000 litri –se lA FINANZA cominciasse a verificare nelle darsene e nelle marine della Croazia oltre che da noi quante battono bandiera italiana e nessuno conosce i proprietari, grazie ,ho cercato di rendere noto in qualche giornale ma io non ho nessuna influenza spero che Lei una persona corretta lo possa fare , grazie ,cordialmente Luciano Idi.

  7. Curzio

    Senza dcimenticarsi una cosa, che il paese sostenitore e attuatore della massima liberalizzazione, gli USA sono un paese con un debito pubblico e privato stratosferico, che ha socializzato le perdite di questo decantato sistema imploso perchè nelle mani di troppa turbo-finanza, che per restare in piedi ha e continua a stampare moneta con ritmi forsennati (quantitative easing) fuori da ogni logica di mercato, ma esiste ancora il mercato?

    Penso invece che lo stato debba riappropriarsi di quelle fonti strategiche per lo sviluppo e la convivenza di una nazione, energia, telefonia, sanità, ricerca ……liberalizzando invece la gestione del commercio e dei servizi non essenziali…

    Ovviamente il problema quando si parla di stato si deve parlare in primis di abbattimenti di lacci e lacciuoli burocratici, di snellimento delle procedure, di accelerazione dei procedimenti amministrativi, e last but not least, qui sta il nocciolo del problema di risanamento etico, di riduzione e ridimensionamento della classe politica, perchè senza un forte dimagrimento e taglio di benefit e privilegi della casta e di quei costi parassitari e improduttivi collegati non si va da nessuna parte.

  8. Curzio

    L’Italia è il paese europeo, rispetto a Germania, Francia, , che ha privatizzato di più in questi decenni, parlo di privatizzato.
    Ho vissuto per questioni lavorative in Germania (tre anni) e viaggiato molto in Gb. Ebbene la Germania detiene ancora gran parte del capitale statale nelle aziende “strategiche”, noi le abbiamo regalate per dei bruscolini ai soliti noti, amici degli amici. Un esempio eclatante è Telecom. Azienda pubblica che distribuiva dividendi, occupava manodopera diretta e indiretta. Oggi è una cattedrale di debiti, ridotta a un call center e distribuisce problemi. E così via…

    La Germania ha privatizzato molto poco rispetto all’Italia ma in compenso si è giovata della compartecipazione del lavoro nella gestione delle aziende ed ha fatto sistema delle sinergie pubbliche-private.

    La GB ha si molto privatizzato e liberalizzato, ma vi assicuro che è messa molto male, basta viverci e non accontentarsi di leggere i gioenali. Regge perchè beneficia dell’agreement anglosassone delle agenzie di rating, ma basta che usciate dalla Londra turistica per tastare il downgrade sociale-economico del paese. Ma la GB non era un paese estremamente liberalizzato, un esempio da seguire?

    A mio avviso una nuova privatizzazione massiccia servirà solo nuovamente a far casso, per ridurre un po’ di debito, ma dopo si tornerà come prima. Occorre un patto tra stato e produttori, uno stato etico e cittadini, che accettano di rideimensionarsi per tornare a offrire un futuro alle nuove generazioni. Quale genitore non lo farebbe? Ma prima via tutta la struttura di privilegi delle caste, stipendi e pensioni dei politici, dei dirigenti statali, falsi invalidi, pensioni baby, doppie e triple, evasori senza ritegno pubblici e privati…Questa è la via, altre strade sono soltanto scorciatoie verso la depressione e l’accattonaggio sociale.

Leave a Reply