30
Nov
2009

Fiat e i sindacati nel pallone

L’incontro tra i sindacati della FIAT e il Ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, in merito alla situazione di Termini Imerese, si è aperto nel modo peggiore. Le parole di  Antonino Regazzi, segretario generale della UILM, che ha affermato di ritenere necessario che “Fiat indichi quali siano le condizioni per aumentare la produzione a 1,5 milioni di auto l’anno” indicano che i sindacati sono completamente al di fuori del mondo produttivo italiano.

Lo scorso anno in Italia sono stati prodotti 659 mila autoveicoli, contro i 5,5 milioni usciti dalle fabbriche tedesche, i 2,2 milioni francesi e i 1,9 milioni inglesi. Tutte queste vetture sono state prodotte dalla casa automobilistica torinese perché, in Italia, nessun gruppo straniero ha il coraggio di investire (forse anche a causa dell’atteggiamento dei sindacati).

In Italia si producono meno auto della Repubblica Ceca e del Belgio e il settore automobilistico è in declino. Fiat ormai ha deciso di diventare un gruppo multinazionale e va a produrre dove le condizioni sono migliori. Condizioni migliori non significano solo costo del lavoro, ma soprattutto semplificazione burocratica e facilità nel fare business.

I sindacati non si sono mai chiesti perché in Gran Bretagna o Spagna, dove non esiste più un gruppo automobilistico nazionale, si producano 3 volte il numero di veicoli che in Italia?

Questa domanda è da rivolgere anche ai diversi governi italiani, che per anni hanno incentivato il settore auto dal lato della domanda. Gli incentivi auto 2009, che hanno dopato il mercato perché in gran parte hanno anticipato una domanda futura, sono costati circa 400 milioni di euro, ma non hanno avuto effetti da un punto di vista produttivo.

I governi Italiani hanno incentivato la domanda, ma mai si sono posti il problema di come aiutare la produzione. Questo doveva essere fatto cercando di favorire l’installazione di produttori esteri, con una semplificazione burocratica e con una maggiore certezza nelle condizioni di business. Non è mai stato fatto e ora ci si trova davanti ad un declino che difficilmente potrà essere recuperato.

Questo non significa che sia impossibile invertire la rotta. Ma al posto di spendere centinaia di milioni di euro in politiche di incentivazione alla domanda, il governo dovrebbe fare delle riforme strutturali per favorire l’arrivo di investitori esteri nel nostro paese.

Una di questa riforma strutturale forse riguarda proprio il mondo sindacale, che con le affermazioni di Regazzi ha mostrato di non comprendere le problematiche italiane.

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9 Responses

  1. Bel post…un motivo in più per mandare a….NEW YORK la famiglia Agnelli e tutta la corte (oltre ovviamente al sindacato).

    Domanda: si hanno dei dati sul volume dell’indotto?
    Mi spiego. Ormai i costruttori bisognerebbe chiamarli progettisti/assemblatori.
    Qual è invece l’entità dell’indotto automobilistico italiano relazionato a quello degli altri Paesi europei? anche lì marchiamo il passo oppure le cose si rovesciano?
    grazie

  2. andrea lucangeli

    Bel post: una ricettina….semplice semplice, ridurre la burocrazia, snellire le procedure, incentivare ad investire nel nostro paese con riforme strutturali, tutto molto giusto MA…..purtroppo siamo in Italia non a fantasyland….- Ho 45 anni e sento parlare “di questa minestra” da quando ne avevo 15….e ne sentirò parlare finchè campo…..-L’unico rimedio per non sentir più parlare di questo schifoso pantano immobilista che è il’Italia è quello di andarmene in Canada, cosa che spero di fare al più presto…

  3. Andrea Giuricin

    Cari lettori,

    considerando l’indotto la posizione italiana non cambia di molto.
    I dati a mia disposizione si fermano ad alcuni anni fa, ma mostrano che anche includendo l’indotto, i livelli italiani rimangono distanti da Germania, Francia, Spagna e UK. Non siamo più un grande paese produttivo nel settore automotive.

    Il problema che mai è stato affrontato è quello di rovesciare le politiche attuali. Dopare le vendite con incentivi è certamente molto più facile da fare, mentre riformare strutturalmente un sistema produttivo è estremamente complicato.
    Sono politiche che da decenni il nostro Paese necessita.
    Nel corso dell’ultimo decennio la produzione italiana (al 100 per cento FIAT) si è dimezzata non perchè FIAT sia “cattiva”, ma perchè nel nostro paese le condizioni sono estremamente penalizzanti.
    E’ necessario attrarre le case automobilistiche straniere e forse sarebbe meglio che il Governo, al posto di incontrare i sindacati che chiedono la riduzione della produzione Fiat all’estero, incontri i managers dei gruppi automotive esteri.

  4. Renato

    Concordo. Governo e sindacati che si sono dimostrati un misto tra miopia ed incompetenza favorendo, i questo modo, solo una politica “distruttiva” per le nostre industrie (anche quelle piccole e per non parlare di come entrambi sono stati promotori e/o accondiscendenti della politica di favorire il trasferimento all’estero delle linee di produzione).

  5. armando

    il problema non e solo italiano ma europeo visto che mercedes
    ha uno stabilimento in sudafrica e gm voleva abbandonare l europa

  6. Andrea Giuricin

    Le case automobilistiche produno non solo in funzione dei costi produttivi, ma anche in base alla vicinanza del mercato di sbocco.
    Perchè Volkswagen o altri produttori vanno in Cina? Non certo per una questione di costi, ma perchè il mercato cinese è diventato per il gruppo tedesco il primo al mondo, superando anche quello tedesco.

    La situazione di GM era ed è molto particolare. Il colosso di Detroit voleva vendere la filiale europea a causa della crisi che il gruppo stava attraversando. Era un processo di ristrutturazione, non di delocalizzazione.

    Il problema è molto italiano nel caso della incapacità di sapere attrarre investitori stranieri. Non solo nel settore automotive.
    La produzione all’estero della case automobilistiche è un processo in corso, inevitabile, grazie al fatto che ormai esiste un mercato mondiale dell’auto e non tanti piccoli mercati protetti, come era negli anni ’70-80.
    Questo permette ai diversi gruppi automotive di effettuare importanti economie di scala che fanno abbassare i prezzi di vendita e al contempo aumentano la velocità dell’innovazione tecnologica.

  7. Andrea Giuricin

    Concordo che i sindacati non fanno in generale gli interessi dei lavoratori, come hanno dimostrato anche nella vicenda della privatizzazione di Alitalia.
    Il problema di Termini Imerese è molto legato ai problemi della logistica italiana. Il costo di un automobile che esce dallo stabilimento siciliano, secondo fonti FIAT, deve scontare un aggravio di circa 1000 euro a causa della “posizione logistica” dello stabilmento.
    Ringrazio l’ultimo lettore per aver segnalato l’articolo che ho scritto sempre sul tema sindacale e Fiat.

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